NISE, Federico Cavann@ in Genova "work-shop" 2009-2010

Fallschirmjäger, 1. Division contro l'Operazione HUSKY
Studio uniformologico e storico

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Genova per Noi

I fallschirmjäger contro l'Operazione HUSKY

I fatti: storia e analisi

All'inizio del 1943, l'Alto Comando Alleato Anglo-Americano aveva stabilito che la liberazione dell'Italia sarebbe iniziata proprio dalla Sicilia, e non dalla Sardegna come erroneamente i Tedeschi supponevano.
Il 24 giugno del 1943, Benito Mussolini fece un discorso al Direttorio del P.N.F., passato alla storia come "discorso del bagnasciuga", in cui dichiarò che un possibile sbarco Alleato, in Sicilia, sarebbe stato stroncato proprio sul nascere.
Ma, gli Alleati, non erano proprio della stessa opinione: 160.000 uomini, 3.000 navi, 600 carri armati, 1.800 cannoni e 14.000 veicoli, sbarcarono sulle spiagge siculi al fine di dare il via all'invasione dell'Italia, in codice identificata come "Operazione Husky".
Secondo Eisenhower e il suo staff, l'occupazione dell'isola avrebbe richiesto solo quindici giorni e un numero di perdite, umane, non considerevole.
Al fine di raggiungere pienamente lo scopo, si ritenne strategico inviare, nella prima metà di luglio, un ulteriore contingente di 2.000 paracadutisti inglesi (1st Parachute Brigade) e di circa 3.500 paracadutisti americani (82nd Airborne Division).
I paracadutisti avevano, come obiettivo primo, quello di prendere posizione sulle vie di transito e sui ponti relativi, ciò per ridurre la capacità di risposta delle Forze dell'Asse lungo le coste e specialmente nella zona di Catania.
Le cose, però, non andarono come previsto e l'occupazione richiese ben 38 giorni di scontri e le perdite furono di gran lunga maggiori rispetto a quanto stimato dal vecchio "Eike".
Da parte dell'Asse, per contrastare lo sbarco lungo le coste fra Siracusa e Licata, vennero inviati gli uomini delle divisioni italiane commandate dal Generale Guzzoni e le forze del Generale Hube ovvero la 14a Divisione Panzer Korps, costituita dalla Herman Göring Panzer Division e dalla 15a Panzer Grenadier Division.
Questa era la situazione in quel caldo luglio del 1943. Tra i giorni 9 e 10 iniziarono i lanci dei parà Alleati.
Diversi furono i problemi che insorsero durante tutta l'operazione, persino legati a diverse incomprensioni tra gli stessi americani e inglesi.
Comunque lo sbarco, bene o male, avvenne e questo spinse il Comando Tedesco a ritenere che l'unica possibilità di rallentare il nemico fosse quella di consolidarsi nell'interno e aspettare nella parte orientale dell'isola, dato che la parte occidentale era "ormai" troppo ardua da difendere.
La strategia degli Alleati consisteva proprio nel tentativo di attraversare la Piana di Catania per poi attestarsi nella parte orientale; a fronte di ciò lo stesso Hitler decise quindi che l'unico efficace strumento da impiegarsi fosse la 1a Divisione Paracadutisti (Fallschirmjäger, 1. Division). La 1a Divisione era di stanza nel sud della Francia, in attesa di "partire" già da alcuni giorni.
Questi uomini, altamente specializzati nella tecnica della blitzkrieg, avrebbero dovuto anticipare la presa dei ponti antistanti Catania e fondamentali al nemico per poter proseguire nella piana.
Nelle notti tra il 12 e il 16 luglio iniziarono i lanci dagli Junkers 52, tutti in prossimità di Catania.
Proprio la notte del 12 luglio accadde un episodio molto curioso in un momento così drammatico: per una coincidenza, quanto mai non voluta, i tedeschi lanciarono i propri equipaggiamenti proprio nell'area dove erano presenti truppe inglesi. Possiamo immaginare cosa accadde, gli inglesi si impossessarono dei contenitori con le armi lasciando così i paracadutisti tedeschi con il solo equipaggiamento personale composto da qualche MP40 e dalle pistole di ordinanza.
A partire dal 13, gli scontri divennero intensi e quanto mai cruenti.
Il Ponte di Primosole e il Ponte dei Malati furono due teatri dove in un primo momento le forze tedesche, coadiuvate da quelle italiane, sembravano i protagonisti assoluti. Ma il 16, con sorpresa di tutti, giunsero la 4th Tank Brigade e la 151st Durham a dar manforte agli stremati parà inglesi. I ponti furono occupati dagli inglesi e venne stabilizzata la posizione di attacco, come prima sottolineato, fondamentale per poi dilagare nella Piana di Catania.
Il giorno dopo iniziava finalmente la riconquista dell'Italia, ma è una storia che avrò il piacere di raccontare in un altro articolo.

Permettete in conclusione, alla cronaca di questo episodio bellico, di proporvi una breve riflessione di strategia militare. Quanto accaduto in Sicilia dimostrò che per fermare realmente un tentativo di invasione, occorreva un tempestivo e deciso intervento per ributtare letteralmente a mare l'avversario accompagnando la possibile difesa costiera con attacchi " a tenaglia" nelle retrovie; rispondere non solo all'atto dello sbarco stesso, come Rommel sosteneva, ma successivamente riducendo al minimo tutti i tentavi di accerchiamento dalle retrovie come invece Von RUNDSTEDT all'opposto teorizzava.
Solo così l'azione di difesa avrebbe sortito l'effetto desiderato.
Il concedere terreno o "bagnasciuga", come erroneamente disse Mussolini (di "battigia" si trattava), permise solo l'attestarsi del nemico e l'accrescere il suo potere di sopportare qualsiasi risposta difensiva, vedi quella della 1a Divisione Paracadutisti.
Peccato che un anno dopo, il 6 giugno del 1944, l'Alto Comando Militare Tedesco questa importante lezione l'aveva, per l'ennesima volta, dimenticata. Purtroppo, proprio in Normandia. Qui si dimostrò che nessuna delle due tesi di difesa, attuate singolarmente, avrebbero garantito una vincente risposta agli sbarchi.

L'uniforme e l'equipaggiamento

Gli uomini della 1a Divisione Paracadutisti erano equipaggiati con materiale proveniente dalle scorte preparate per la campagna d'Africa, e rimaste inutilizzate dopo la fine del 42.
Nel 1943 vennero comunque forniti dei nuovi tipi di indumenti sia da lancio che da combattimento, in particolare le tute mimetiche modello 1943. A differenza di modelli precedenti, queste tute erano confezionate con tessuto leggero non trattato con gommature impermeabili di tipo "duck".
La colorazione per stampaggio, marrone e verde, era scura e tendeva a schiarirsi con la solarizzazione naturale.
Quanto oggi visionabile, come cimeli, è da ritenersi comunque in parte alterato e poco affidabile a livello di intensità cromatica. Il disegno mimetico era del tipo "Splittermuster 41" ("disegno a schegge") e le tute non erano dotate della geometria di taglio e foggia dei primi modelli reversibili. Sul petto, lato destro, era cucita l'aquila della Luftwaffe che era realizzata su una base di stoffa e ricavata con ricamo in filo grigio. I pantaloni erano in cotone leggero colore kaki, privi di tasche aggiuntive e chiusi all'altezza delle caviglie (tramite elastici o bottonature). Le buffetterie erano in cuoio e, in alcuni casi, in cotone ritorto (tipico dell'equipaggiamento tropicale). L'elmetto era il modello classico da parà che poteva non avere il telino mimetico ma una copertura in pasta zimmerit di color sabbia. Non era corredato delle decalcomanie classiche dato che, sulla pasta di zimmerit, non avrebbero fatto presa in fase di reazione chimica. In alcuni e rari casi, veniva manualmente dipinta l'aquila uncinata sul lato sinistro, ma non ho mai avuto evidenza fotografica di ciò. La bustina era sempre in cotone con colorazione tropicale. I fregi erano l'aquila in stoffa e il simbolo dell'Heer (tondo con colorazione concentrica nero, bianco e rosso). Le camice potevano essere sia in cotone grigio che tropicale, il tipo era puramente casuale e dipendeva dalle forniture ricevute. Per quanto riguarda l'indossare la fliegerbluse (giubbino corto), visto il caldo estivo, molti preferivano indossare solo una camicia. Gli stivaletti da lancio erano quelli neri con lacci disposti lungo il collo del piede e non sul lato esterno (come erano i primi modelli). Le armi in dotazione erano di vario tipo: MP40 come fucile mitragliatore che era tenuto dal parà anche durante il lancio, una pistola con o senza fondina (in dipendenza del tipo di tuta), coltello a gravità o a lama fissa. Teoricamente, durante il lancio, non era consigliato avere armi a canna lunga perché potevano intralciare l'apertura delle funi del paracadute, ma a Creta ("Operazione Mercurio") si dimostrò troppo rischioso atterrare senza armi di difesa. Difatti il tempo di recupero, delle armi dai contenitori, poteva variare dai pochi minuti a qualche quarto d'ora (di troppo). I contenitori, a loro volta dotati di paracadute, permettevano di portare nella zona di lancio fucili e armi pesanti come mitragliatrici e mortai più l'equipaggiamento personale dei parà (borracce, zaini, tende, etc.). Per la truppa in genere non veniva fornito un mitragliatore di tipo MP40 oppure MP38 ma fucili a colpo singolo o di tipo automatico. In teoria il mio soggetto doveva avere un Mauser K98, ma ho immaginato che alcuni campioni di GW 43 fossero stati forniti a piccoli reparti specialistici. Il GW43 era un fucile automatico su base Tokarev che non fu mai sufficientemente sviluppato, acquisendo così la fama di arma poco affidabile. Nonostante ciò, dalla sua uscita avvenuta nell'aprile del 43, venne prodotto in quasi 400.000 esemplari. Utilizzava proiettili da 7,9 mm del tipo standard, poteva montare un'ottica di precisione e cinghia per lo spallaggio. Insomma, un bel giocattolino, niente da dire.

Bibliografia

- Uniformi & Armi N° 56 - 1995.
- Andrew Mollo "Le Forze Armate della Seconda Guerra Mondiale", Ist. Geografico De Agostini - Novara.
- Wade Krawczyck "Le uniformi dell'Esercito Tedesco nella Sec. G. Mondiale", Ermanno Albertelli Editore - Parma.
- G. Markham "Armi del Terzo Reich", Fratelli Melita Editori - La Spezia.
- F. Von Senger und Etterlin " La guerra in Europa" - TEA STORICA Ediz. 2005.
 

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