NISE, Federico Cavann@ in Genova "work-shop" 2009 - 2012

SOLDATEN
Combattere - Uccidere - Morire

Lo spirito interiore, etico e morale del soldato tedesco

Modellismo

Pittura e grafica

Cinefoto

Genova per Noi

Galleria 2° Conflitto mondiale

Documentazione 2°conflitto mondiale

 

Sulla scrivania, dopo l'acquisto, il libro non vi é restato per molto. Prenderlo tra le mani e leggerlo è stata una tentazione semplice e diretta. Lo si sfoglia con leggerezza, non ci si aspetta altre novità storiche di rilievo, tutto pare ormai noto.
 Ma poi arriva il colpo, il primo a cui ne seguiranno a decine e micidiali: diretti alla bocca dello stomaco della propria coscienza storica.
La Storia che si costruisce dentro ognuno di NOI  é diversa da quella che si percepisce con le pubblicazioni, i documentari, le analisi iconografiche. Un momento in cui questo distinguo diviene fondamentale ma altrettanto difficile da mantenere oggettivo durante tutta la lettura del libro.
 
A fronte di diversi soggetti militari della Seconda Guerra Mondiale che ho realizzato, in scala, e le relative vicende, che ho cercato di raccontare e riassumere nei testi di ogni soggetto, il libro "SOLDATEN" é il cutter che, concretizzato nelle penne di NEITZEL e WELZER, squarcia in due la tela che fino a ieri teneva su quell'immagine della WEHRMACHT, dei suoi comandanti e dei suoi soldati, come delle forze armate che erano fondate sulla correttezza, la disciplina e il senso morale migliore che una guerra può mostrare.
 
Riportando anche parte di un recente articolo di Furio COLOMBO pubblicato su IL FATTO, proprio in questi giorni, eccoci introdotti in quel complesso sistema che fu la guerra da parte dei Tedeschi, un mondo macchinoso e contorto che però dovrebbe essere conosciuto almeno per avere un quadro chiaro di quel periodo storico.

 "Quando il Tribunale di Stoccarda, il tribunale di un Paese rispettato che fa da motore a questa Europa, nega, con il peso della sua credibilità e del suo prestigio, che sia accaduta la strage(1) di Sant’Anna di STAZZEMA(2), non nega solo un episodio fra tanti di una guerra crudele e terribile. Nega il suo immenso debito e stabilisce una distanza pericolosa. La bella e moderna Germania di oggi non deve, non può sfiorare quel passato senza rendersi conto di quanto sia grave evocare un debito mai saldato, e rifiutare di saldarlo, sia pure, ormai, solo come gesto simbolico. Meglio essere amico degli amici ritrovati e tentare insieme la salvezza di tutti".
 Furio Colombo, Il Fatto del 07/10/2012:
Strage di STAZZEMA, il debito immenso che la GERMANIA nega.
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 Ludwig Göring, nato a ITTERBASH (GERMANIA), il 18 dicembre 1923, è stato di professione tornitore di casse per orologi. Arruolato nelle Waffen SS, durante la Seconda Guerra Mondiale, fu uno dei protagonisti della strage di Sant’ANNA. Quello di seguito riportato è ciò che ha dichiarato e fatto verbalizzare davanti alla Procura della Repubblica di STOCCARDA - anche davanti alla procura militare italiana - ed è la sua testimonianza della strage.
 “L’avevano chiamata «operazione antipartigiani». Dopo la notte trascorsa vicino a LA SPEZIA, ci ritrovammo di fronte a quelle donne disarmate.  L’ufficiale di grado più elevato era molto impaziente, ci sollecitò a fare presto. Urlò: posizionare la mitragliatrice!. Dopo l’ordine di fare fuoco, sparai sulle donne. Durò pochissimo. Tre uomini cosparsero di benzina i cadaveri e vi appiccarono il fuoco. Improvvisamente vidi che dalla catasta in fiamme si levava correndo un bambino, un ragazzo di circa 10-11 anni, che si allontanò subito di corsa, scomparendo dietro la scarpata che distava circa tre metri. Non avevo visto prima il bimbo. Neanche mentre sparavo avevo notato che vi fosse un bambino con le donne”. Durante la deposizione dell’ex Waffen SS l’aria si fa tesa; il procuratore generale Bernard Häubler lo avvertì: “Al testimone si fa rilevare che, qualora sostenga di aver sparato, diviene indiziato di concorso di omicidio e potrebbe rendersi perseguibile per concorso in omicidio doloso semplice o omicidio doloso grave”.
 Göring rispose così: “Devo parlare, non importa cosa accadrà. Ora voglio dire la verità. In quello spiazzo si trovava una sola mitragliatrice, azionata da me e dall’artigliere addetto alle munizioni. Ero consapevole che una simile fucilazione era proibita. Ma non avevo scelta: un ordine è un ordine”
(3).
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La nazificazione e la denazificazione, introduzione ai due concetti

Hitler assume l'incarico di Cancelliere del Reich nel 1933 Una dichiarazione di tale drammaticità, come quella del soldato Göring, mette in risalto il processo di nazificazione che le forze armate tedesche subirono dal 1933 al 1945 e che il libro "SOLDATEN" sa raccontare con dovizia di analisi psicosociale. Per oltre quarant’anni la GERMANIA, prima con il riassetto successivo alla fine del conflitto (Conferenza di POTSDAM) e poi con la denazificazione USA/GERMANIA OVEST fino al 1989, ha cercato di calarsi in un cupo sarcofago fatto di oblio e omertà. La Procura di STOCCARDA ne da un esplicito esempio.
 Questo processo di riabilitazione globale dimostra però falle sempre più grandi man mano che il tempo trascorre da quegli anni bui.
 Le testimonianze raccolte nel corso dell'ultimo ventennio e la pubblica visione degli archivi militari angloamericani (NARA Archive), e quindi meno influenzate da correnti politiche passate, mettono in luce che le forze armate tedesche erano consapevoli delle loro azioni e che non furono così frequentemente obbligate, o spinte involontariamente, all’uso della forza contro chiunque fosse catturato o rappresentasse una forma di nemico, civile o militare.
 Sin dal primo dopo guerra, coincidente con la chiusura dei dibattimenti processuali, l'immagine del soldato tedesco, comprendendo con questo termine chiunque portasse allora una uniforme, é stata idealizzata fino ad essere totalmente mutata in una figura fuori del suo tempo e soprattutto non partecipe del dramma della guerra.
 Nel dopoguerra il soldato "Fritz" era divenuto simpatico all'occidente libero, con attenzione venne "scollato" il soldato WEHRMACHT da quello SS; questo grazie alla letteratura non impegnata a tema (Sven HASSEL), al modellismo statico, ai fumetti che raccontavano  storie quanto mai improbabili di biondi, algidi e disperati eroi del Terzo REICH (per citarne alcuni: Guerra d'Eroi, Supereoica, Capolavori). Persino il cinema dedicò massicce produzioni di film (spesso però di Serie B), ponendo sempre in evidenza la forza visiva ed emotiva consegnata alla Storia, nel bene e nel male, dal soldato tedesco.
 Anche quando é sconfitto questo modello di militare é vincente, almeno moralmente nell'approccio del rapporto vincitore-sconfitto.
 La negazione del passato militare dell'intero esercito tedesco, come dei suoi alleati, é ancora oggi un argomento quanto mai delicato e complesso.
Nel corso degli anni questa delicatezza e la sua complessità non si sono attenuate nella loro magnitudo.

 La nazificazione avvenne dal 1933 in poi, quando HITLER fu capo del governo e in grado di offrire alle varie élite, militari e industriali, vantaggi considerevoli se si fossero prestate al processo di nazificazione. Lo scopo base era quello di creare una forza militare costituita da soggetti totalmente privi di cognizioni politiche, di un'assenza delle capacità di critica per qualunque aspetto pertinente la vita militare. Socialmente questi individui erano assenti, se non passivi, di fronte al contesto sociale e politico della GERMANIA di allora. Una nazificazione vincente, almeno nei suoi primi anni di vita, che non trovò nessun ostacolo di sorta nemmeno da parte delle forze di opposizione tedesche (intellettuali, politiche, sindacali, artistiche).
 La denazificazione non fu il processo inverso, fu invece un metodico e sistematico rimuovere i tizzoni lasciati da una dittatura durata 12 anni e di folle inebetite con le menti incendiate dalle parate militari, dalle opere imponenti ma inutili, dalle conquiste militari e territoriali rapide con costi umani enormi. Fu un processo culturale che mostrava ai Tedeschi una vita diversa rispetto a quella sotto il Terzo REICH, dove l'autonomia culturale e imprenditoriale avrebbe ridato nuova dignità a quella nazione che fu la causa della peggiore guerra del millennio scorso. La denazificazione però aveva la necessità di un potente antidoto contro possibili ricadute: il dimenticare tutto e in fretta. Pare ancora assurdo ma ad accelerare tale processo venne in aiuto la separazione della GERMANIA,  quel muro che dividendo OVEST e EST dava ancor più risalto al dramma del popolo tedesco e del suo desiderio di denazificazione.

Comandare e obbedire, le armi del Terzo REICH

Lo sterminio degli ebrei in Unione Sovietica Per comprendere quanto potenti furono le armi del comando e dell'obbedienza, é bene ricordare cosa dichiarò uno degli uomini di maggior cultura nella GERMANIA del 1933.
 In quell'anno Martin HEIDEGGER venne nominato rettore dell’Università di FRIBURGO ed espresse pieno ed inequivocabile appoggio al regime nazista. Con il suo famoso discorso su “L’autoaffermazione dell’università tedesca”, per HEIDEGGER non c’era alcun dubbio che HITLER fosse "il Messia" del popolo tedesco, come ripeterà   in uno  scritto sul giornale degli studenti dell’università,  il 3 novembre del 1933: “Il Fuhrer stesso e lui soltanto è la realtà tedesca e la sua legge, oggi e da oggi in poi. Rendetevene conto sempre di più: da ora ogni cosa richiede decisione, e ogni azione responsabilità”.
 Comando e obbedienza sono, fin dall'inizio, le materie che il soldato deve imparare ancor prima dell'uso delle armi e della violenza. Nessun soldato era utile se le sue forze non erano fini al servire il comando.
 Dal 1929 al 1933 il Partito Nazista si mostrava come un'organizzazione paramilitare più che politica, la cosa funzionava perché i Tedeschi erano allora esasperati dal proliferare continuo di forze politiche subito dopo la costituzione della Repubblica di WEIMAR nel 1919. Vedere i membri del partito, e gl'iscritti, con uniformi e organizzazioni articolate quanto ordinate, piaceva e faceva percepire un senso generale di ordine e controllo. Il partito quindi invogliava gl'iscritti a indossare uniformi, a fare sfilate dal vago sapore austro-prussiano, a inscenare manifestazioni pubbliche che rasentavano la percezione di un imminente presa del potere al di la delle regole che lo avrebbero permesso. Le leggende in merito riempiono la bocca dei Tedeschi: manifestazioni dove pochi fedelissimi difendono a mani nude il loro capo (Fuhrer) contro orde di operai comunisti violenti e delinquenti, famiglie che sono assistite quotidianamente [economicamente soprattutto] dal partito pur se non sono vi sono iscritte, la polizia che chiede loro aiuto per ripristinare l'ordine durante gli scioperi. Il marketing di allora, pur se spartano, è all'opera in ogni momento della vita del partito e del suo capo. HITLER celebra e osanna, nei suoi discorsi fiume, una GERMANIA produttiva e fedele al lavoro per la Patria. Il concetto piacque molto agli imprenditori e agli industriali che allora avevano grossi problemi con i sindacati e i movimenti politici di sinistra che, con i loro comportamenti, influenzavano negativamente l'andamento produttivo nazionale. L'imprenditoria tedesca sposò e finanziò la causa nazista. Il nuovo credo venne così divulgato in modo capillare assumendo nelle fabbriche iscritti del partito, incentivando forme sindacali che fossero propense ad appoggiare la classe dirigente rinunciando agli scioperi e favorendo la produzione a cottimo.
 Comandare e obbedire erano i pilastri del nuovo credo politico e sociale, un credo che se attuato con diligenza poi ripagava con molti vantaggi: lavoro, ordine pubblico, un popolo e la sua nazione come unica entità. Ciò però richiedeva che il suo Messia fosse in grado di argomentare sulla base di un testo sacro. Nacque così l'idea di raccogliere scritti e brogliacci di HITLER, o presunti tali, di ordinarli e arricchirli con profonde digressioni visionarie di vario genere: venne così pubblicato MEIN KAMPF, che restò anche l'unica opera scritta del dittatore, le cui vendite avvenivano capillarmente all'interno di fabbriche e uffici grazie al consenso degli imprenditori e dei movimenti sindacali di parte. Il libro verrà in grossa misura misconosciuto dal suo stesso autore che, all'alba del 45, non si riconosceva più in quei pensieri e ne rinnegava il valore politico e testamentario.
 Dal 1933 in poi, la sperimentazione politica del comando-obbedienza si consolida e inizia la stessa sperimentazione nelle forze armate. Qui non fu così semplice l'inculcare questi due elementi di controllo. Si dovettero fare numerose concessioni agli alti ufficiali, promuoverne di nuovi che fossero quanto mai fedeli al partito neonazista.
 Quando HITLER impose il giuramento di fedeltà verso il partito nazista, ad ogni soldato tedesco, la fase di comando-obbedienza era al suo culmine. Ma ciò non fu sufficiente per i piani segreti di HITLER e dell'establishment del partito.
 L'odio razziale fu organizzato nelle sue sinistre teorie e divenne arma psicologica per istigare le masse tedesche alla
"judenaktion", colpire gli Ebrei era la dimostrazione che si sconfiggeva il male della GERMANIA e del suo popolo che erano difesi da un solo vero partito e da un solo grande uomo, il quale si era attirato gl'odi spietati del mondo ebraico.
 Per molti, anche ai livelli più bassi della società, appariva vantaggioso questo accanimento razziale: posti di lavoro a loro tolti, il sequestro dei beni e dei capitali, l'estromissione dal diritto di voto; un Ebreo in meno rappresentava tanti vantaggi in più per ogni Tedesco. Ovviamente non si poteva motivare l'eccidio di massa per pure ragioni economiche, applicando però le teorie del comando-obbedienza si poteva trovare motivazioni efficaci che ogni Tedesco avrebbe utilizzato moralmente di fronte allo sterminio (etniche, religiose, sociali, politiche, persino genetiche).
Il soldato tedesco, così come il civile, l'impiegato amministrativo o pubblico, avevano allora un ruolo importante nella distruzione del giudaismo: combatterlo con ogni mezzo ma non facendosi toccare da ciò, con il comando-obbedienza erano estinti pregiudizi umani, etici e morali di sorta. Il soldato uccide, deporta, violenta non per puro piacere ma perché é necessario alla sconfitta del male. A ideare e condurre il "
Progetto T4" non vi erano solo SS ma tanti funzionari e impiegati della pubblica amministrazione oltre a medici e personale delle strutture sanitarie dove erano in cura persone diversabili. Un ufficiale, dell'HEER, rimase dispiaciuto del fatto che l'Amministrazione Sanitaria era costretta a spendere del denaro pubblico per mantenere la sua sorella mentalmente diversabile; al ricevimento della notifica del decesso improvviso della sorella, presso una struttura sanitaria in cui era ricoverata, non ebbe ragione di chiedere chiarimenti in merito.
 Una drammatica ulteriore testimonianza ci proviene dagli interrogatori nel carcere di SPANDAU: il soldato racconta che non obbediva soltanto, ma faceva suo l'obbedire per esaltare il comando anche [e specie] quando questo era al limite dell'accettabile:
"Ad Auschwitz ho visto delle cose incredibili. Diverse guardie delle SS non ce la facevano più e le hanno mandate in una clinica per malattie nervose a GIESSEN. Quando sono arrivato con il mio gruppo siamo stati divisi in due sezioni: quelli veramente convinti di tutta quella storia e quelli come me che chiedevano qualcosa per distrarsi. [...] ci facevamo mandare di continuo dei buoni libri e ascoltavamo buona musica. Una compagnia di SS si é addirittura ammutinata, cercando di farsi mandare al fronte. Ma dovevamo eseguire gli ordini"
(4).
 Da questa testimonianza emergono due informazioni fondamentali per comprendere il concetto di comando-obbedienza: chi comanda non da spiegazioni e tantomeno ammette che ci siano dei rifiuti nell'eseguire un proprio ordine, chi obbedisce non sa e quindi non si preoccupa minimamente di cosa sta per compiere.
 Sui campi di battaglia vennero emanati ordini che non avevano alcun senso strategico e tanto meno tattico; proprio perché senza alcun senso non erano da capire e da interpretare.
 Occorre fare attenzione a non codificare tutto ciò sotto l'aspetto del fanatismo e del sacrificio estremo; in alcuni casi si combatteva, si uccideva e si moriva solo perché era stato ordinato  e non si dovevano anteporre a ciò argomenti e credi personali. Il fatto di seguito narrato é esplicativo di tale contesto dove si obbediva a una regola e non a una personale lettura di questa.
 Durante gli scontri per la conquista di FORT DRIANT vicino alla città di METZ, il
capitano Jack GERRIE assistette a situazioni al limite tra la follia e l'inspiegabile: i soldati tedeschi sparavano sui loro stessi camerati che gli Americani avevano catturato e che venivano mandati a recuperare i soldati, sia americani sia tedeschi, rimasti feriti a terra (5).
 Nello spirito dei soldati, che aprivano il fuoco, non vi era altro che l'impeto di impedire che quelli americani fossero soccorsi e quindi era loro compito fermare, anche sparando, chiunque li soccorresse. Terminati gli scontri a fuoco, notò la totale indifferenza di coloro che avevano fino a pochi minuti prima sparato sui propri camerati a cui, ora, prestavano amorevoli cure.
 Pur se rari, casi di fanatismo genuino si verificarono anche quando ormai la guerra era, per tutti i soldati tedeschi, letteralmente finita. Ecco un altro episodio che fa riflettere in merito. Un ufficiale delle Waffen SS venne ferito e catturato durante l'avanzata americana ad ovest, era l'aprile del 1945. L'infermiere che lo curava gli disse che se voleva sopravvivere doveva sottoporsi a delle trasfusioni di sangue. Malignamente, dopo aver visto che si trattava di un ufficiale delle Waffen SS, il paramedico anticipò la possibilità che il sangue ricevuto potesse provenire da "un ebreo" o da "uno di colore". L'ufficiale tedesco allora rifiutò le cure e morì dissanguato poche ore dopo. La regola stabiliva il rifiuto a contatti di sorta (sangue come sesso) con esseri non ariani
(5).

Nel dubbio dell'onore e della fedeltà assoluta

L'avanzata degli Americani in Germania nel 1945 Dall'attenta lettura del libro "SOLDATEN", si evince che nessun soldato tedesco abbia mai tradito il REICH e il Fuhrer, in particolare arrendendosi al nemico senza combattere strenuamente. Nelle loro discussioni, specie gli ufficiali, ci tengono a chiarirsi [tra loro stessi e poco con i pubblici ministeri dell'accusa] che in alcuni casi non erano d'accordo sugl'ordini da eseguire ma questi venivano eseguiti comunque per non essere bollati come traditori di un'intera nazione e dei suoi capi. Non essere d'accordo non significava rispondere con coscienza ma semplicemente dubitare che quell'ordine non si sarebbe potuto eseguire. Eugene HORAK non vuole svolgere il suo compito in quelle condizioni (chiede dei confort o meglio delle distrazioni, come musica e libri) e non mette minimamente in dubbio che uccidere altri uomini resti un crimine.
 Il dubbio è solo in relazione ad aspetti logistici dell'ordine ricevuto, poche volte riguarda l'entità del comando e da chi viene impartito.
 Dopo la sconfitta di STALINGRADO (1942/1943) i dubbi sul futuro del REICH iniziarono a serpeggiare nell'esercito come nella popolazione. Ma non erano dubbi tanto ideologici verso il partito e la nazione quanto prestazionali verso i suoi singoli esponenti.
 Cerchiamo di approfondire questa affermazione citando un esempio di fedeltà al partito ma non ai suoi leader. Erroneamente si affianca l'immagine del colonnello von STAUFFENBERG, noto a molti grazie al film interpretato da Tom CRUISE "Operazione Valchiria", a colui che nell'esercito si opponesse strenuamente al regime e al suo fanatico governo. Questo non era vero solo per l'aspetto prestazionale che prima é stato menzionato. Di fatto Hans Bernd GISEVIUS
(6), oppositore al regime nazista, conobbe il colonnello e così lo descrisse: "STAUFFENBERG voleva mantenere tutti gli elementi totalitari, militaristici e socialisti del Nazionalsocialismo. Ciò che aveva in mente era la salvezza della Germania da parte di generali che potessero spazzare via la corruzione e la cattiva amministrazione, che potessero instaurare un governo militarmente ordinato e che ispirasse il popolo a compiere un ultimo grande sforzo. Ridotto ad un motto, voleva che la nazione rimanesse militarizzata e socialista. [...]".
 
La fedeltà, come evidenza oggettiva dell'appartenenza al mondo militare, si estrinsecava in modalità verbali e gestuali: nelle registrazioni degli Alleati a TRENT PARK, gli ufficiali tedeschi prigionieri precisano sempre che la loro cattura era avvenuta dopo scontri furibondi, dove era impossibile spuntarla contro un nemico armato meglio e numericamente superiore, dove si era arrivati quasi alla morte prima di cedere. Tutti quegli episodi erano veritieri in una parte molto ridotta. Nella maggior parte dei casi, almeno, le rese verso gli angloamericani avvenivano in modo pacifico e quasi sempre dopo essersi accordati sulle condizioni di resa. Solo in rari casi gl'ufficiali si erano consegnati dopo veri e propri scontri a fuoco. Vale la pena leggere con attenzione come si svolse la
caduta di CHERBOURG (1844) e come la maggior parte degli ufficiali si comportò prima della resa. Il Generale americano COLLINS, un tipo molto pragmatico e di poche garbate maniere, non perse tempo nel stanarli a colpi di cannoni e trivellamenti perpendicolari alle gallerie dei bunker, attraverso quei pozzi vennero fatte cadere decine di cariche esplosive che intasarono i condotti dell'aria e obbligarono i Tedeschi a uscire per arrendersi. Quando la guarnigione si arrese, molti ufficiali tedeschi fecero le loro rimostranze al Comando americano per il modo "poco militare" con cui era stato condotto l'assedio e su come erano stati espugnati i bunker, modo che aveva impedito ai Tedeschi di poter combattere prima di essere catturati. Ma l'importante per molti era il poter avere una pezza giustificativa al fatto di passare la loro prigionia a TRENT PARK piuttosto che verso un gulag sovietico o davanti a un plotone di SS perché accusati di tradimento.

La caduta degli dei, degli ideali, della fedeltà e del dovere

Il feldmaresciallo Wilhelm Keitel firma la resa tedesca nel 45 
Come già documentato nello speciale sulla
Battaglia di BERLINO, la fine del conflitto non coincise con un tributo collettivo di sangue verso il REICH e HITLER.
 Molti di coloro che morirono negli ultimi sei mesi del conflitto non lo fecero certamente con desiderio di dedizione assoluta al concetto di comando e obbedienza. Per la maggior parte dei militari, come dei civili, si era esaurita la carica emotiva pro regime. Le continue sconfitte dal 1943 fino al 45, i bombardamenti a tappeto sulla GERMANIA che GOEBBELS era convinto di fermare con la sola retorica radiofonica, il numero sempre più elevato di morti su ambedue i fronti, la paura che si sarebbero scoperti gl'innumerevoli massacri di militari e civili, spinsero molti a cercare una dignitosa uscita di scena e la speranza di fuggire. Se catturati, esserlo da parte degli angloamericani e non dei sovietici, sapendo che le probabilità di rimanere vivi con questi ultimi sarebbero state minime.
 Nelle conversazioni degli ultimi prigionieri vi era sempre il rimando all'aver combattuto per la GERMANIA e non per HITLER. Quasi tutti quelli provenienti dall'HEER, dalla KRIEGSMARINE e dalla LUFTWAFFE, parlavano di combattimenti in nome della patria. Pochissimi i prigionieri tra le Waffen SS che ebbero modo di confermare la loro assoluta fedeltà a HITLER e al REICH, praticamente nessuno tra queste e le altre organizzazioni del partito testimoniò il suo credo finale dato che furono subito giustiziati e quelli rimasti vivi erano già al sicuro da qualche settimana verso il SUD AMERICA o altre destinazioni poco popolate e battute dai nemici del REICH.
 Nei primi anni 90 ebbi modo di conoscere una testimonianza scritta di sottufficiale dell'ARMATA ROSSA che aveva partecipato alla presa di BERLINO. Il vetusto ma pimpante ex ufficiale diede la seguente testimonianza sui militari tedeschi che la sua pattuglia prendeva prigionieri: "... tolti gli ufficiali, quelli delle SS [Waffen come non] venivano finiti con un colpo alla testa o alla schiena; i soldati delle altre specialità venivano disarmati, depredati di ogni cosa e presi a calci nel sedere intimandogli di gridare HITLER KAPUTT!- DEUTSCHLAND KAPUTT! finché non ci stufavamo o loro smettevano perché esausti dalla sete. I soldati tedeschi che avevano combattuto fino all'ultimo li riconoscevi dall'insieme di odori che si portavano addosso: era un misto di cuoio della buffetteria ingrassata e dall'uniforme lercia, dalla polvere da sparo che finiva sotto le loro unghie e nei loro capelli, ma soprattutto dall'odore di sudore e urina. Quei pazzi erano stati per ore in quelle buche ad aspettarci, non ne erano usciti nemmeno per pisciare tanta la paura di essere accusati di codardia e tradimento".

Note:
(1) La strage (ufficialmente riconosciuto come un eccidio) si consumò nel'agosto del 1944 con l'uccisione di 560 civili.
(2) Il film "Miracolo a Sant'Anna", diretto da Spike LEE (2008), racconta la vicenda  attraverso quanto successe ad un gruppo di soldati americani presenti nel luogo dell'eccidio.
(3) Nicolò ZANCAN "LA CONFESSIONE DELL'EX SS: E' VERO UCCISI 25 DONNE", LA STAMPA DEL 07/10/2012.
(4) Eugen HORAK, interprete nel GRUPPE VI/C dell'RSHA, conversazione registrata su nastro in data 03/11/2012 (R. OVERY "INTERROGSTORI", MONDADORI EDITORE 2003).
(5) S. AMBROSE "BANDA DI FRATELLI",  Ed. TEA 2010.
(6) Hans Bernd GISEVIUS Biography on en.wikipedia.org/wiki/Hans_Bernd_Gisevius

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