Galleria 2° Conflitto mondiale
Documentazione 2°conflitto mondiale
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Sulla scrivania, dopo l'acquisto,
il libro non vi é restato per molto.
Prenderlo tra le mani e leggerlo è stata una tentazione semplice e diretta.
Lo si sfoglia con leggerezza, non ci si aspetta altre novità
storiche di rilievo, tutto pare ormai noto.
Ma poi arriva il colpo, il primo a cui ne seguiranno a decine
e micidiali: diretti alla bocca dello stomaco della propria coscienza
storica.
La Storia che si costruisce dentro ognuno di NOI é diversa da quella che si
percepisce con le pubblicazioni, i documentari, le analisi
iconografiche. Un momento in cui questo distinguo diviene fondamentale
ma altrettanto difficile da mantenere oggettivo durante tutta la lettura del
libro.
A fronte di
diversi soggetti militari della Seconda Guerra Mondiale che ho
realizzato, in scala, e le relative vicende, che ho cercato di
raccontare e riassumere nei testi di ogni soggetto, il libro "SOLDATEN"
é il cutter che, concretizzato nelle penne di NEITZEL e WELZER, squarcia in due la tela che fino a ieri teneva su
quell'immagine della WEHRMACHT, dei suoi comandanti e dei suoi soldati,
come delle forze armate che erano fondate sulla correttezza, la
disciplina e il senso morale migliore che una guerra può mostrare.
Riportando anche parte di un recente articolo di
Furio COLOMBO pubblicato su IL FATTO, proprio in questi giorni, eccoci introdotti in quel
complesso sistema che fu la guerra da parte dei Tedeschi, un mondo
macchinoso e contorto che però dovrebbe essere conosciuto almeno per
avere un quadro chiaro di quel periodo storico.
"Quando
il Tribunale di Stoccarda, il tribunale di un Paese rispettato che
fa da motore a questa Europa, nega, con il peso della sua
credibilità e del suo prestigio, che sia accaduta la strage(1) di
Sant’Anna di STAZZEMA(2), non nega solo un episodio fra tanti di una
guerra crudele e terribile. Nega il suo immenso debito e stabilisce
una distanza pericolosa. La bella e moderna Germania di oggi non
deve, non può sfiorare quel passato senza rendersi conto di quanto
sia grave evocare un debito mai saldato, e rifiutare di saldarlo,
sia pure, ormai, solo come gesto simbolico. Meglio essere amico
degli amici ritrovati e tentare insieme la salvezza di tutti".
Furio Colombo, Il Fatto del 07/10/2012:
Strage di STAZZEMA, il debito immenso
che la GERMANIA nega.
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Ludwig Göring, nato a
ITTERBASH (GERMANIA), il 18 dicembre 1923, è stato di professione
tornitore di casse per orologi. Arruolato nelle Waffen SS, durante la Seconda Guerra
Mondiale, fu uno dei protagonisti
della strage di Sant’ANNA. Quello di seguito riportato è ciò che ha
dichiarato e fatto verbalizzare davanti alla Procura della
Repubblica di STOCCARDA - anche davanti alla procura
militare italiana - ed è la sua testimonianza della strage.
“L’avevano chiamata «operazione antipartigiani». Dopo la notte
trascorsa vicino a LA SPEZIA, ci ritrovammo di fronte a quelle donne
disarmate. L’ufficiale di grado più elevato era molto
impaziente, ci sollecitò a fare presto. Urlò: posizionare la
mitragliatrice!. Dopo l’ordine di fare fuoco, sparai sulle donne.
Durò pochissimo. Tre uomini cosparsero di benzina i cadaveri e vi
appiccarono il fuoco. Improvvisamente vidi che dalla catasta in
fiamme si levava correndo un bambino, un ragazzo di circa 10-11
anni, che si allontanò subito di corsa, scomparendo dietro la
scarpata che distava circa tre metri. Non avevo visto prima il
bimbo. Neanche mentre sparavo avevo notato che vi fosse un bambino
con le donne”. Durante la deposizione dell’ex Waffen SS l’aria
si fa tesa; il procuratore generale Bernard
Häubler lo avvertì: “Al
testimone si fa rilevare che, qualora sostenga di aver sparato,
diviene indiziato di concorso di omicidio e potrebbe rendersi
perseguibile per concorso in omicidio doloso semplice o omicidio
doloso grave”.
Göring
rispose così: “Devo parlare, non importa cosa accadrà. Ora voglio
dire la verità. In quello spiazzo si trovava una sola
mitragliatrice, azionata da me e dall’artigliere addetto alle
munizioni. Ero consapevole che una simile fucilazione era
proibita. Ma non avevo scelta: un ordine è un ordine”
(3).
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La nazificazione e la denazificazione, introduzione ai due concetti
Una dichiarazione di tale drammaticità, come quella del soldato
Göring, mette in
risalto il processo di nazificazione che le forze armate
tedesche subirono dal 1933 al 1945 e che il libro "SOLDATEN" sa
raccontare con dovizia di analisi psicosociale. Per oltre quarant’anni la
GERMANIA, prima con il riassetto successivo alla fine del conflitto
(Conferenza di POTSDAM) e poi con la denazificazione USA/GERMANIA
OVEST fino al 1989, ha cercato di calarsi in un cupo sarcofago fatto di
oblio e omertà. La Procura di STOCCARDA ne da un esplicito esempio.
Questo processo di riabilitazione globale dimostra
però falle sempre più grandi man
mano che il tempo trascorre da quegli anni bui.
Le testimonianze
raccolte nel corso dell'ultimo ventennio e la pubblica visione degli
archivi militari angloamericani (NARA Archive), e quindi meno
influenzate da correnti politiche passate, mettono in luce
che le forze armate tedesche erano consapevoli delle loro azioni e
che non furono così frequentemente obbligate, o spinte
involontariamente, all’uso della forza contro chiunque fosse
catturato o rappresentasse una forma di nemico, civile o militare.
Sin dal primo dopo guerra, coincidente con la chiusura dei
dibattimenti processuali, l'immagine del soldato tedesco,
comprendendo con questo termine chiunque portasse allora una
uniforme, é stata idealizzata fino ad essere totalmente
mutata in una figura fuori del suo tempo e soprattutto non partecipe
del dramma della guerra.
Nel dopoguerra il soldato "Fritz"
era divenuto simpatico all'occidente libero, con attenzione venne
"scollato" il soldato WEHRMACHT da quello SS; questo grazie alla letteratura non
impegnata a tema (Sven HASSEL), al modellismo statico, ai fumetti
che raccontavano storie quanto mai improbabili di biondi,
algidi e disperati eroi del Terzo REICH (per citarne alcuni: Guerra d'Eroi, Supereoica,
Capolavori). Persino il cinema dedicò massicce produzioni di film
(spesso però di Serie B), ponendo sempre in evidenza la forza visiva
ed emotiva consegnata alla Storia, nel bene e nel male, dal soldato tedesco.
Anche
quando é sconfitto questo modello di militare é vincente, almeno
moralmente nell'approccio del rapporto vincitore-sconfitto.
La negazione del passato militare dell'intero esercito
tedesco, come dei suoi alleati, é ancora oggi un argomento quanto
mai delicato e complesso. Nel corso degli anni
questa delicatezza e la sua complessità non si sono attenuate nella
loro magnitudo.
La nazificazione avvenne dal 1933 in poi, quando HITLER fu capo del
governo e in grado di offrire alle varie élite, militari e
industriali, vantaggi
considerevoli se si fossero prestate al processo di nazificazione.
Lo scopo base era quello di creare una forza militare costituita da
soggetti totalmente privi di cognizioni politiche, di un'assenza
delle capacità di critica per qualunque aspetto pertinente la vita
militare. Socialmente questi individui erano assenti, se non
passivi, di fronte al contesto sociale e politico della GERMANIA
di allora. Una nazificazione vincente, almeno nei suoi primi anni di
vita, che non trovò nessun ostacolo di sorta nemmeno da parte delle
forze di opposizione tedesche (intellettuali, politiche,
sindacali, artistiche).
La denazificazione non fu il processo inverso, fu invece un
metodico e sistematico rimuovere i tizzoni lasciati da una dittatura
durata 12 anni e di folle inebetite con le menti incendiate dalle parate militari, dalle opere
imponenti ma inutili, dalle conquiste militari e territoriali rapide con costi
umani enormi. Fu un processo culturale che mostrava ai Tedeschi una vita
diversa rispetto a quella sotto il Terzo REICH, dove l'autonomia
culturale e imprenditoriale avrebbe ridato nuova dignità a quella
nazione che fu la causa della peggiore guerra del millennio scorso.
La denazificazione però aveva la necessità di un potente antidoto
contro possibili ricadute: il dimenticare tutto e in fretta. Pare
ancora assurdo ma ad accelerare tale processo venne in aiuto la
separazione della GERMANIA, quel muro che dividendo OVEST e
EST dava ancor più risalto al dramma del popolo tedesco e del suo
desiderio di denazificazione.
Comandare e obbedire, le armi del Terzo REICH
Per comprendere quanto potenti furono le armi del comando e
dell'obbedienza, é bene ricordare cosa dichiarò uno degli uomini di
maggior cultura nella GERMANIA del 1933.
In quell'anno Martin HEIDEGGER venne nominato
rettore dell’Università di FRIBURGO ed espresse pieno ed
inequivocabile appoggio al regime nazista. Con il suo famoso
discorso su “L’autoaffermazione
dell’università tedesca”,
per HEIDEGGER non c’era alcun dubbio che HITLER fosse "il Messia" del
popolo tedesco, come ripeterà in uno scritto sul giornale degli
studenti dell’università, il 3 novembre del 1933: “Il
Fuhrer stesso e lui soltanto è la realtà tedesca e la sua legge,
oggi e da oggi in poi. Rendetevene conto sempre di più: da ora ogni
cosa richiede decisione, e ogni azione responsabilità”.
Comando e obbedienza sono, fin dall'inizio, le materie che il soldato deve
imparare ancor prima dell'uso delle armi e della violenza. Nessun
soldato era utile se le sue forze non erano fini al servire il
comando.
Dal 1929 al 1933 il Partito Nazista si mostrava come un'organizzazione
paramilitare più che politica, la cosa funzionava perché i Tedeschi
erano allora esasperati dal proliferare continuo di forze politiche
subito dopo la costituzione della Repubblica di WEIMAR nel 1919.
Vedere i membri del partito, e gl'iscritti, con uniformi e
organizzazioni articolate quanto ordinate, piaceva e faceva percepire un senso
generale di ordine e controllo. Il partito quindi invogliava
gl'iscritti a indossare uniformi, a fare sfilate dal vago sapore
austro-prussiano, a inscenare manifestazioni pubbliche che rasentavano la percezione di
un imminente presa del potere al di la delle regole che lo
avrebbero permesso. Le leggende in merito riempiono la
bocca dei Tedeschi: manifestazioni dove pochi fedelissimi difendono
a mani nude il loro capo (Fuhrer) contro orde di operai comunisti
violenti e delinquenti,
famiglie che sono assistite quotidianamente [economicamente
soprattutto] dal partito pur se non
sono vi sono iscritte, la polizia che chiede loro aiuto per
ripristinare l'ordine durante gli scioperi. Il marketing di allora, pur se spartano, è
all'opera in ogni momento della vita del partito e del suo capo.
HITLER celebra e osanna, nei suoi discorsi fiume, una GERMANIA produttiva e
fedele al lavoro per la Patria. Il concetto piacque molto agli
imprenditori e agli industriali che allora avevano
grossi problemi con i sindacati e i movimenti politici di sinistra
che, con i loro comportamenti, influenzavano negativamente l'andamento produttivo
nazionale.
L'imprenditoria tedesca sposò e finanziò la causa nazista. Il nuovo credo venne
così divulgato in modo capillare assumendo nelle fabbriche iscritti
del partito,
incentivando forme sindacali che fossero propense ad appoggiare la
classe dirigente rinunciando agli scioperi e favorendo la produzione
a cottimo.
Comandare e obbedire erano i pilastri del nuovo credo politico e sociale,
un credo che se attuato con diligenza poi ripagava con molti
vantaggi: lavoro, ordine pubblico, un popolo e la sua nazione come
unica entità. Ciò però richiedeva che il suo Messia fosse in grado
di argomentare sulla base di un testo sacro. Nacque così l'idea di
raccogliere scritti e brogliacci di HITLER, o presunti tali, di
ordinarli e arricchirli con profonde digressioni visionarie di vario
genere: venne
così pubblicato MEIN KAMPF, che restò anche l'unica opera scritta del
dittatore, le cui vendite avvenivano capillarmente all'interno di
fabbriche e uffici grazie al consenso degli imprenditori e dei
movimenti sindacali di parte. Il libro verrà in grossa misura
misconosciuto dal suo stesso autore che, all'alba del 45, non si
riconosceva più in quei pensieri e ne rinnegava il valore politico e
testamentario.
Dal 1933 in poi, la sperimentazione politica del comando-obbedienza si
consolida e inizia la stessa sperimentazione nelle forze armate. Qui
non fu così semplice l'inculcare questi due elementi di controllo.
Si dovettero fare numerose concessioni agli alti ufficiali,
promuoverne di nuovi che fossero quanto mai fedeli al partito
neonazista.
Quando HITLER impose il giuramento di fedeltà verso il partito
nazista, ad ogni soldato tedesco, la fase di comando-obbedienza era
al suo culmine. Ma ciò non fu sufficiente per i piani segreti di HITLER e dell'establishment
del partito.
L'odio razziale fu organizzato nelle sue sinistre teorie e divenne arma
psicologica per istigare le masse tedesche alla
"judenaktion",
colpire gli Ebrei era la dimostrazione che si sconfiggeva il male
della GERMANIA e del suo popolo che erano difesi da un solo vero
partito e da un solo grande uomo, il quale si era attirato gl'odi
spietati del mondo ebraico.
Per molti, anche ai livelli più bassi della società, appariva vantaggioso
questo accanimento razziale: posti di lavoro a loro tolti, il
sequestro dei beni e dei capitali, l'estromissione dal diritto di
voto; un Ebreo in meno rappresentava tanti vantaggi in più per ogni
Tedesco. Ovviamente non si poteva motivare l'eccidio di massa per
pure ragioni economiche, applicando però le teorie del
comando-obbedienza si poteva trovare motivazioni efficaci che ogni
Tedesco avrebbe utilizzato moralmente di fronte allo sterminio
(etniche, religiose, sociali, politiche, persino genetiche).
Il soldato tedesco, così come il civile, l'impiegato amministrativo
o pubblico, avevano allora un ruolo importante nella distruzione del
giudaismo: combatterlo con ogni mezzo ma non facendosi toccare da
ciò, con il comando-obbedienza erano estinti pregiudizi umani, etici
e morali di sorta. Il soldato uccide, deporta, violenta non per puro
piacere ma perché é necessario alla sconfitta del male. A ideare e
condurre il "Progetto T4"
non vi erano solo SS ma tanti funzionari e impiegati della pubblica
amministrazione oltre a medici e personale delle strutture sanitarie
dove erano in cura persone diversabili. Un ufficiale, dell'HEER,
rimase dispiaciuto del fatto che l'Amministrazione Sanitaria era
costretta a spendere del denaro pubblico per mantenere la sua
sorella mentalmente diversabile; al ricevimento della notifica del
decesso improvviso della sorella, presso una struttura sanitaria in cui era
ricoverata, non ebbe ragione di chiedere chiarimenti in merito.
Una drammatica ulteriore testimonianza ci proviene dagli interrogatori nel
carcere di SPANDAU: il soldato racconta che non obbediva soltanto, ma faceva suo l'obbedire per esaltare il
comando anche [e specie] quando questo era al limite dell'accettabile:
"Ad Auschwitz ho visto delle cose incredibili. Diverse guardie delle
SS non ce la facevano più e le hanno mandate in una clinica per
malattie nervose a GIESSEN. Quando sono arrivato con il mio gruppo
siamo stati divisi in due sezioni: quelli veramente convinti di
tutta quella storia e quelli come me che chiedevano qualcosa per
distrarsi. [...] ci facevamo mandare di continuo dei buoni libri e
ascoltavamo buona musica. Una compagnia di SS si é addirittura
ammutinata, cercando di farsi mandare al fronte. Ma dovevamo
eseguire gli ordini"(4).
Da questa testimonianza emergono due informazioni fondamentali per
comprendere il concetto di comando-obbedienza: chi comanda non da
spiegazioni e tantomeno ammette che ci siano dei rifiuti
nell'eseguire un proprio ordine, chi obbedisce non sa e quindi non si
preoccupa minimamente di cosa sta per compiere.
Sui campi di battaglia vennero emanati ordini che non avevano alcun
senso strategico e tanto meno tattico; proprio perché senza alcun
senso non erano da capire e da interpretare.
Occorre fare attenzione a non codificare tutto ciò sotto l'aspetto
del fanatismo e del sacrificio estremo; in alcuni casi si
combatteva, si uccideva e si moriva solo perché era stato ordinato
e non si dovevano anteporre a ciò argomenti e credi personali. Il
fatto di seguito narrato é esplicativo di tale contesto dove si
obbediva a una regola e non a una personale lettura di questa.
Durante gli scontri per la conquista di FORT DRIANT vicino alla città di
METZ, il
capitano Jack GERRIE
assistette a situazioni al limite tra la follia e l'inspiegabile: i
soldati tedeschi sparavano sui loro stessi camerati che gli
Americani avevano catturato e che venivano mandati a recuperare i
soldati, sia americani sia tedeschi, rimasti feriti a terra
(5).
Nello spirito dei soldati, che aprivano il fuoco, non vi era altro che
l'impeto di impedire che quelli americani fossero soccorsi e quindi
era loro compito fermare, anche sparando, chiunque li soccorresse.
Terminati gli scontri a fuoco, notò la totale indifferenza di coloro
che avevano fino a pochi minuti prima sparato sui propri camerati a
cui,
ora, prestavano amorevoli cure.
Pur se rari, casi di fanatismo genuino si verificarono anche quando ormai la guerra
era, per tutti i soldati tedeschi, letteralmente finita. Ecco un
altro episodio che fa riflettere in merito. Un ufficiale delle
Waffen SS venne ferito e catturato durante l'avanzata americana ad
ovest, era l'aprile del 1945. L'infermiere che lo
curava gli disse che se voleva sopravvivere doveva sottoporsi a
delle trasfusioni di sangue. Malignamente, dopo aver visto che si
trattava di un ufficiale delle Waffen SS, il paramedico anticipò la
possibilità che il sangue ricevuto potesse provenire da "un ebreo" o da
"uno di colore". L'ufficiale tedesco allora rifiutò le cure e morì
dissanguato poche ore dopo. La regola stabiliva il rifiuto a
contatti di sorta (sangue come sesso) con esseri non ariani
(5).
Nel dubbio
dell'onore e della fedeltà assoluta
Dall'attenta lettura del libro "SOLDATEN",
si evince che nessun soldato tedesco abbia mai tradito il REICH e il
Fuhrer, in particolare arrendendosi al nemico senza combattere
strenuamente. Nelle loro discussioni, specie gli ufficiali, ci
tengono a chiarirsi [tra loro stessi e poco con i pubblici ministeri
dell'accusa] che in alcuni casi non erano d'accordo sugl'ordini da
eseguire ma questi venivano eseguiti comunque per non essere
bollati come traditori di un'intera nazione e dei suoi capi. Non essere
d'accordo non significava rispondere con coscienza ma semplicemente
dubitare che quell'ordine non si sarebbe potuto eseguire. Eugene HORAK non vuole svolgere il suo compito in quelle condizioni (chiede
dei confort o meglio delle distrazioni, come musica e libri) e non
mette minimamente in dubbio che uccidere altri uomini resti un
crimine.
Il dubbio è solo in relazione ad aspetti logistici dell'ordine
ricevuto, poche volte riguarda l'entità del comando e da chi viene
impartito.
Dopo la sconfitta
di STALINGRADO (1942/1943) i dubbi sul futuro del REICH iniziarono a serpeggiare
nell'esercito come nella popolazione. Ma non erano dubbi tanto
ideologici verso il partito e la nazione quanto prestazionali verso
i suoi singoli esponenti.
Cerchiamo di approfondire questa
affermazione citando un esempio di fedeltà al partito ma non ai suoi
leader. Erroneamente si affianca l'immagine del colonnello von STAUFFENBERG, noto a molti grazie al film interpretato da Tom CRUISE
"Operazione Valchiria", a colui che nell'esercito si opponesse
strenuamente al regime e al suo fanatico governo. Questo non era
vero solo per l'aspetto prestazionale che prima é stato menzionato.
Di fatto Hans Bernd GISEVIUS (6),
oppositore al regime nazista, conobbe il colonnello e così lo
descrisse: "STAUFFENBERG voleva mantenere tutti gli elementi
totalitari, militaristici e socialisti del Nazionalsocialismo. Ciò
che aveva in mente era la salvezza della Germania da parte di
generali che potessero spazzare via la corruzione e la cattiva
amministrazione, che potessero instaurare un governo militarmente
ordinato e che ispirasse il popolo a compiere un ultimo grande
sforzo. Ridotto ad un motto, voleva che la nazione rimanesse
militarizzata e socialista. [...]".
La fedeltà, come evidenza oggettiva dell'appartenenza al mondo
militare, si estrinsecava in modalità verbali e gestuali: nelle
registrazioni degli Alleati a TRENT PARK, gli ufficiali tedeschi
prigionieri precisano sempre che la loro cattura era avvenuta dopo
scontri furibondi, dove era impossibile spuntarla contro un nemico
armato meglio e numericamente superiore, dove si era arrivati quasi
alla morte prima di cedere. Tutti quegli episodi erano veritieri in
una parte molto ridotta. Nella maggior parte dei casi, almeno, le
rese verso gli angloamericani avvenivano in modo pacifico e quasi
sempre dopo essersi accordati sulle condizioni di resa. Solo in rari
casi gl'ufficiali si erano consegnati dopo veri e propri scontri a
fuoco. Vale la pena leggere con attenzione come si svolse la
caduta
di CHERBOURG (1844) e come la maggior parte degli ufficiali
si comportò prima della resa. Il Generale americano COLLINS, un tipo
molto pragmatico e di poche garbate maniere, non perse tempo nel stanarli a
colpi di cannoni e trivellamenti perpendicolari alle gallerie dei
bunker, attraverso quei pozzi vennero fatte cadere decine di cariche
esplosive che intasarono i condotti dell'aria e obbligarono i
Tedeschi a uscire per arrendersi. Quando la guarnigione si arrese, molti ufficiali
tedeschi fecero le loro rimostranze al Comando americano per il modo
"poco militare" con cui era stato condotto l'assedio e su come erano
stati espugnati i bunker, modo che aveva impedito ai Tedeschi di
poter combattere prima di essere catturati. Ma l'importante per molti era il
poter avere una pezza giustificativa al fatto di passare la loro
prigionia a TRENT PARK piuttosto che verso un gulag sovietico o
davanti a un plotone di SS perché accusati di tradimento.
La caduta degli
dei, degli ideali, della fedeltà e del dovere
Come già documentato nello speciale sulla
Battaglia di BERLINO, la
fine del conflitto non coincise con un tributo collettivo di sangue
verso il REICH e HITLER.
Molti di coloro che morirono negli ultimi sei mesi del conflitto non lo
fecero certamente con desiderio di dedizione assoluta al concetto di
comando e obbedienza. Per la maggior parte dei militari, come dei
civili, si era esaurita la carica emotiva pro regime. Le continue
sconfitte dal 1943 fino al 45, i bombardamenti a tappeto sulla
GERMANIA che GOEBBELS era convinto di fermare con la sola retorica
radiofonica, il numero sempre più elevato di morti su ambedue i
fronti, la paura che si sarebbero scoperti gl'innumerevoli massacri
di militari e civili, spinsero molti a cercare una dignitosa uscita
di scena e la speranza di fuggire. Se catturati, esserlo da parte
degli angloamericani e non dei sovietici, sapendo che le probabilità
di rimanere vivi con questi ultimi sarebbero state minime.
Nelle conversazioni degli ultimi prigionieri vi era sempre il rimando
all'aver combattuto per la GERMANIA e non per HITLER. Quasi tutti
quelli provenienti dall'HEER, dalla KRIEGSMARINE e dalla
LUFTWAFFE, parlavano di combattimenti in nome della patria.
Pochissimi i prigionieri tra le Waffen SS che ebbero modo di
confermare la loro assoluta fedeltà a HITLER e al REICH,
praticamente nessuno tra queste
e le altre organizzazioni del partito testimoniò il suo credo finale
dato che furono subito giustiziati e quelli rimasti vivi erano già
al sicuro da qualche settimana verso il SUD AMERICA o altre
destinazioni poco popolate e battute dai nemici del REICH.
Nei primi anni 90 ebbi modo di conoscere una testimonianza scritta di sottufficiale dell'ARMATA ROSSA che aveva
partecipato alla presa di BERLINO. Il vetusto ma pimpante ex
ufficiale diede la seguente testimonianza sui militari tedeschi
che la sua pattuglia prendeva prigionieri: "... tolti gli
ufficiali, quelli delle SS [Waffen come non] venivano finiti con un
colpo alla testa o alla schiena; i soldati delle altre specialità
venivano disarmati, depredati di ogni cosa e presi a calci nel
sedere intimandogli di gridare HITLER KAPUTT!- DEUTSCHLAND KAPUTT!
finché non ci stufavamo o loro smettevano perché esausti dalla sete.
I soldati tedeschi che avevano combattuto fino all'ultimo li
riconoscevi dall'insieme di odori che si portavano addosso: era un
misto di cuoio della buffetteria ingrassata e dall'uniforme lercia,
dalla polvere da sparo che finiva sotto le loro unghie e nei loro
capelli, ma soprattutto dall'odore di sudore e urina. Quei pazzi erano stati
per ore in quelle buche ad aspettarci, non ne erano usciti nemmeno
per pisciare tanta la paura di essere accusati di codardia e
tradimento".
Note:
(1) La strage (ufficialmente riconosciuto come un eccidio) si
consumò nel'agosto del 1944 con l'uccisione di 560 civili.
(2) Il film "Miracolo a Sant'Anna", diretto da Spike LEE (2008),
racconta la vicenda attraverso quanto successe ad un gruppo di
soldati americani presenti nel luogo dell'eccidio.
(3) Nicolò ZANCAN "LA CONFESSIONE DELL'EX SS: E' VERO UCCISI 25
DONNE", LA STAMPA DEL 07/10/2012.
(4) Eugen HORAK, interprete nel GRUPPE VI/C dell'RSHA, conversazione
registrata su nastro in data 03/11/2012 (R. OVERY "INTERROGSTORI",
MONDADORI EDITORE 2003).
(5) S. AMBROSE "BANDA DI FRATELLI", Ed. TEA 2010.
(6) Hans Bernd GISEVIUS Biography on
en.wikipedia.org/wiki/Hans_Bernd_Gisevius
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