NISE, Federico Cavann@ in Genova "work-shop" 2009 - 2012

LA BATTAGLIA DI STALINGRADO 1942 - 43
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Documentazione 2°conflitto mondiale

"Con tutta la roba che ti dovevi trascinare dietro, non era proprio possibile portare anche un ferito. Eravamo costretti a lasciarli li".
 Hans ROSTEWITZ, soldato della 76a Divisione di Fanteria dell'Heer.

STALIN (nella foto qui a fianco) in parte aveva ragione nel sostenere che i Tedeschi non avevano il polso della situazione dopo il fallimento dell'Operazione BARBAROSSA (1941). Una questione di mesi, e di azioni belliche logoranti, sarebbero stati gli elementi sufficienti per mettere in ginocchio la VI Armata del Generale Friedrich PAULUS.
 Qui occorre fare una considerazione di tipo strategico e politico prima di calarsi nella storia che porterà all'assedio di STALINGRADO da parte dei Tedeschi: nel 1942 l'URSS non era a corto di divisioni per combattere la Wehrmacht, anzi, disponeva degli uomini necessari per poter respingere le divisioni naziste nel caso fossero riuscite a passare il fiume VOLGA. Erano sconosciute le reali potenzialità dell'intera Armata Rossa: non solo i Tedeschi non conoscevano nel dettaglio le cifre reali ma gli stessi alleati angloamericani non avevano il quadro e il computo esatto dello stato militare dell'URSS al giugno di quell'anno (posizioni geografiche sotto controllo, numero di divisioni/carri armati/cannoni/aerei). Per confondere le idee e le previsioni, il governo sovietico creava diversivi di vario tipo come l'invio a WASHINGTON di richieste per equipaggiamenti e viveri per le proprie truppe motivando così l'ipotesi che l'Armata Rossa non fosse in grado di reggere più attacchi e più fronti nemici. Se gli Americani ritenevano necessario aprire un fronte a Ovest per logorare i Tedeschi e in parte alleggerire gli alleati sovietici, con CHURCHILL gl'Inglesi fecero pressioni perché il fronte in FRANCIA non fosse aperto di modo che i Russi fossero maggiormente impegnati contro i  Tedeschi e non in grado di proseguire il fronte verso ovest ed arrivare al cuore dell'EUROPA. Per farla breve: CHURCHILL era convinto che un'avanzata sovietica si sarebbe estesa fino al centro del Vecchio Continente e che, a quel punto, nemmeno gli Americani avrebbero potuto contenerla politicamente e militarmente.
 Invece, soldati e risorse belliche sufficienti, STALIN le possedeva ma era riluttante al loro impiego perché queste rappresentavano la forza ultima in caso di avanzata nazista verso MOSCA. Se gli Americani avessero seguito le ipotesi di ROOSVELT, e quindi iniziato lo sbarco in FRANCIA anticipandolo di due anni, la distanza tra loro e BERLINO sarebbe stata di un solo anno mentre di due per i Russi.
 Lo sbarco in AFRICA e poi in SICILIA, nell'estate del 42, avrebbe assunto l'entità di fattore diversivo mentre il massimo dell'impatto ci sarebbe stato in FRANCIA portando in GERMANIA le forze alleate nel giugno del 43 invece che nel maggio del 45. Ma le posizioni inglesi circa questa strategia erano discordanti e conseguentemente CHURCHILL non era moto disposto a dare supporto per questa possibile operazione d'invasione, cioè dare la disponibilità all'uso delle basi sulle coste inglesi per l'avvio dell'operazione (che nel 44 sarà identificata come OVERLORD.


 La situazione, a metà del gennaio del 1943 é al limite dell'assurdo: sono oltre 200.000 i soldati tedeschi chiusi nella sacca di STALINGRADO, schiacciati contro la riva ovest del fiume VOLGA.
 I soldati non muoiono solo durante i combattimenti, molti restano congelati nelle lunghe notti passate nelle trincee, non hanno sufficienti medicine per cui si ammalano di tifo e il cibo scarseggia.
 I casi di morte per denutrizione e scarse cure mediche hanno un innalzamento esponenziale a partire proprio da gennaio. Sotto il Generale Friedrich PAULUS, l'Alto Comando della VI Armata é obbligato, da HITLER stesso, a rifiutare le offerte di resa che i Russi propongono sin dai primi giorni dell'anno.
Sia i Sovietici sia i Tedeschi sapevano cosa stava accadendo e il dramma che nel giro di pochi mesi sarebbe esploso senza possibilità di mutarlo o ridurlo nelle sue conseguenze.

Il tipo di combattimento urbano necessario a STALINGRADO non era stato contemplato nell'addestramento dell'esercito tedesco e non molto di meglio erano in grado di fare le Waffen SS. I comandanti sovietici ne erano consci e furono loro i primi a ridurre la città in un cumulo di macerie, proprio per facilitare la difesa a uomo (nella foto a fianco un battaglione di pionieri a fatica riesce ad avanzare tra le macerie della città, fonte BUNDESARCHIV).
 Gli stessi comandanti russi erano a conoscenza di altri punti deboli della Wehrmacht: il tipo di arma del soldato tedesco non era adatta al combattimento ravvicinato (fu un grosso errore la non distribuzione di pistole alla truppa e il divieto di poter usare quelle degli ufficiali caduti in combattimento o non più in grado di combattere). Il vestiario non adatto e la fornitura del rancio a gruppi e non su scorte a uomo.
 La questione "rancio" può apparire insignificante ma i soldati in genere hanno fame e mangiano quando e dove possono, il dover fare la distribuzione a gruppi significava: doverne spostare quantità considerevoli non meno di due volte al giorno, mettere a rischio la vita di chi lo portava (in genere in grosse taniche a zaino), e il non poterlo consumare se in quel momento si stava combattendo o dandosi all'arte della guerra.
 I soldati russi sfruttavano la collaborazione degli abitanti ancora presenti, piccoli punti di ritrovo autogestiti, razioni personali che erano consumabili ovunque (anche se poi consistevano in salsiccia secca, lardo e pane raffermo).
Infine le condizioni igieniche e dell'acqua erano terribili. Lavarsi era un vero e proprio lusso, come lo era l'acqua potabile. Anche con l'arrivo delle nevi, il problema idrico non mutò di molto dato che spesso la neve veniva imbrattata con urina e feci.

I Russi preferivano gli attacchi e le sortite notturne dato che la LUFTWAFFE non poteva entrare in azione e (secondo lo stesso Generale CHUIKOV) i soldati tedeschi erano meno propensi al combattimento. I più giovani (qui a fianco l'arrivo a STALINGRADO di due reclute, riconoscibili perché avanzano con indosso l'intero equipaggiamento, scoprendo molto presto che era un errore che poteva costare loro la vita) erano terrorizzati dal buio e dalle gesta di certi reparti nemici, come i Siberiani della 284a Divisione fucilieri. Le sentinelle tedesche sparavano su tutto e tutti, creando così confusione nelle stesse linee e dando un notevole contributo al consumo di 25 milioni di proiettili registrato nel solo mese di settembre del 42.
 Inoltre vi erano dei fattori terrorizzanti che i Russi usavano con estrema capacità: lanci di bengala in piena notte e che simulavano attacchi che non si verificavano quasi mai. L'assalto alle trincee tedesche armati di vanghe che servivano per finire i soldati nemici feriti; questa procedura barbara e inumana era nata per evitare di farsi rintracciare con il rumore dei colpi di grazia inferti al nemico ferito ma poi prese piede perché terrorizzava il Landser ventenne appena giunto in trincea. Infine gli attacchi degli aerei U-2 che di notte impedivano di dormire e che indebolivano le truppe fino al punto di generare crolli, da stress per i raid aerei, per intere compagnie.
 I soldati di STALIN furono addestrati, su ordine dello stesso Generale CHUIKOV,  a combattere in squadre di otto uomini. Erano armati di mitra, vanga e coltello, un discreto quantitativo di granate e/o bombe a mano. Quest'ultime, soprannominate "artiglieria tascabile", permettevano di avere ottime chance sia in attacco sia in ritirata per difesa.
 Un'altra arma che si rivelò strategica da ambo le parti, quanto pericolosa per tutti, fu il lanciafiamme. Muovendosi tra rovine di edifici, fognature e sotterranei, quest'arma assunse un ruolo chiave. Il problema era nella scarsa conoscenza nell'uso e nel pericolo dato dall'impiego in spazi chiusi.
 In quella carneficina continua, i civili pagarono un prezzo enorme e non solo per colpa del fuoco tedesco ma soprattutto di quello russo. I soldati dell'Armata Rossa sparavano punto e basta: chi si metteva fra loro e i nemici veniva fatto fuori senza tanti preavvisi. Del resto era imperativa la citazione di LENIN "Chi non aiuta l'Armata Rossa in tutti i modi  non collabora al suo ordine e alla sua disciplina , é un traditore e deve essere ucciso senza alcuna pietà". Più chiari di così!

I soldati sovietici non furono particolarmente bene equipaggiati durante il corso dell'intera battaglia. Tolti gli indumenti protettivi e le calzature relative, per il resto impiegarono le medesime armi che avevano già in dotazione sin dal 1939.
 Quando venne la neve, le tute bianche per mimetismo - che poi non eran
o foderate e protettive dal freddo - scarseggiarono ben presto e quindi vennero tolte ai morti e ai feriti gravi, in quest'ultimo caso al più presto per evitare che s'inzuppassero di sangue.
 Come per i Tedeschi, anch'essi avevano scarse razioni alimentari e altrettante scarse attrezzature sanitarie e di cura. La vodka e l'alcol metilico erano gli anestetici più in uso durante le amputazioni e gl'interventi chirurgici.
 Per sopperire alla mancanza di armi moderne e dedicate alla guerriglia urbana, molti di loro si diedero ad ingegnose soluzioni belliche che in diverse occasioni si rivelarono vincenti.
Furono create bombe a mano con inneschi a ritardo, proiettili con raggi balistici molto personalizzati e poco prevedibili, mirini da cecchino montati su cannoni controcarro per migliorare il puntamento.
 A differenza di quelli tedeschi, i soldati dell'Armata Rossa vivevano molto più d'improvvisazioni, alcol e tabacco. Le improvvisazioni potevano essere assalti punitivi stabiliti dal solito commissario politico di turno che magari era stato deriso durante una precedente azione da parte di qualche veterano. Oppure assalti decisi autonomamente per procurarsi una trincea più comoda, un bunker, se non qualche razione di cibo e dell'alcol.
 Tra i Tedeschi prese piede l'uso di alcolici ma in quantità minime rispetto a quelle che un soldato di STALIN poteva consumare. Queste dosi, per un soldato russo, potevano variare dai 10 centilitri ai 100 centilitri giornalieri (un litro, per capirci!).
 Attraversare il VOLGA, dalla sponda orientale a quella occidentale, si rivelava un'impresa che immancabilmente aveva costi umani enormi, questi traghettamenti avvenivano su barche e chiatte di fortuna e senza la protezione di artiglieria e aviazione.
 Ma anche per i Tedeschi, muoversi nelle proprie retrovie poteva rivelarsi un finire in un vicolo cieco. Se sui lati della sacca riuscivano a spostarsi camion carichi di KATIUSCIA, non vi erano molte probabilità che mezzi corazzati, convogli di feriti, così come rifornimenti e truppe fresche, giungessero alla destinazione stabilita. Accadde così che una decina di OPEL BLITZ carichi di forti e fresche reclute volontarie, non arrivarono mai a STALINGRADO dato che il loro battesimo del fuoco avvenne senza sparare un colpo contro altrettanti Organi di Stalin posti in una strada parallela a quella percorsa dai Tedeschi ma a diverse centinaia di metri. Nessuno di quei ragazzi si accorse di morire finché non udì, molto probabilmente, il sibilo lancinante di quei razzi che sarebbero esplosi su di loro pochi istanti dopo.

n GERMANIA poco o nulla era giunto, a livello informativo, in merito alla sacca di STALINGRADO. I feriti non vennero tradotti dalle retrovie agli ospedali in patria.
 Non si volle mostrare, ai civili tedeschi e agl'altri militari, cosa realmente avveniva sul fronte russo (la foto a fianco mostra una pattuglia tedesca che aveva l'onere di ripulire il perimetro difensivo della città, purtroppo impegnata a trasportare con una barella-slitta un camerata probabilmente ferito gravemente).
 Alcuni di loro furono ricoverati e curati in POLONIA ma solo a fine guerra riuscirono a tornare a casa. Il 26 gennaio l'ARMATA ROSSA tagliava in due il blocco difensivo della città. Il numero dei soldati tedeschi che si suicidava cresceva di giorno in giorno.
 L'Alto comando della VI Armata si rifugiò negli scantinati di un magazzino posto nella parte sud della città. Qui, al caldo e con molto cibo, attesero lo scorrere del tempo senza minimamente porsi il dubbio sulla resa. Convinti che il loro FUHRER li avrebbe salvati? Forse.
 Utile il racconto del capitano Gerard DENGLER, ufficiale della 3a Div. di fanteria. Arrivato nello scantinato sede del comando, DENGLER scoprì che i 20 alti ufficiali avevano carne da fare alla griglia, cognac e sigari. Moltissimi generi alimentari di ogni sorta e stufe con cui scaldare lo scantinato. Una situazione assurda, ma DENGLER vuole a tutti i costi convincere PAULUS di accettare la resa proposta dai sovietici.
 "PAULUS, alla mia domanda, mi rispose seccato: per lei é tutto più facile ...a quanto pare, capitano, é arrivato il momento della verità e l'iniziativa passa agli ufficiali di truppa". DENGLER si congedò schifato del comportamento da vigliacco di PAULUS.

 La situazione, dopo 4 mesi di duri scontri, é ormai al limite per le forze naziste. Nell'Alto Comando si decide di mandare un ufficiale in udienza all'OKW per dare massima chiarezza sul dramma che si sta consumando a STALINGRADO. Venne scelto il giovane ufficiale, capitano dell'HEER, Winrich BEHR (nella foto qui a fianco). Il 14 gennaio avvenne l'incontro tra il Fuhrer e il capitano.
 Ma il colloquio, che durò oltre tre ore, si concluse con un nulla di fatto e con la conferma, almeno per il giovane capitano, che colui che comandava la GERMANIA non aveva nessuna capacità militare e umana per rendersi conto dei fatti.
 Il soldato tedesco intanto era chiuso nella morsa gelida fatta di rovine, ghiaccio e desolazione: doveva nutrirsi con 50 grammi di pane al giorno, quasi niente zuccheri e grassi. Atti di cannibalismo si consumarono da ambo le parti. Il responsabile del Servizio sanitario della VI Armata definì STALINGRADO "... un gigantesco esperimento di digiuno".
 Questo soldato non aveva modo di proteggersi dal freddo che alla notte raggiungeva anche i 50° C sotto lo zero; per tale ragione si bruciava qualsiasi cosa che producesse calore, persino le casse da morto che giungevano da BERLINO e le tavole dei pavimenti.
 Non era possibile lavarsi, i pidocchi mordevano le carni dei vivi come quelle dei morti che non si riescono a seppellire tanto il terreno é duro.
 A fine gennaio i feriti nascosti nelle cantine e nei sotterranei della città erano oltre 40.000 e quasi tutti non ricevevano cure sufficienti. Le amputazioni furono l'unica medicina distribuita e un colpo alla tempia il solo calmante contro le agonie.
 
 Il Feldmaresciallo Hermann GOERING promise una copertura aerea sufficiente a garantire scorte di viveri, medicinali e munizioni. Ma ciò avvenne solo in minima parte. Gli aerei che portavano i rifornimenti vennero impiegati, al loro ritorno nelle retrovie tedesche, per l'evacuazione dei feriti e del personale specializzato. In teoria quasi nessun ufficiale avrebbe dovuto, secondo disposizioni di HITLER, lasciare il proprio comando nella città.
 Invece molti di loro, e le testimonianze arrivano dai soldati e dagli avieri presenti, si imbarcavano con false disposizioni e lo facevano costringendo a rimanere a terra decine di feriti gravi. Questi ufficiali si dimostrarono la feccia e la vergogna dell'intera VI Armata.

Il 2 febbraio avvenne finalmente la resa: 100.000 soldati con in testa il Feldmaresciallo PAULUS uscirono allo scoperto e si consegnarono al nemico.
 HITLER andò su tutte le furie: PAULUS doveva suicidarsi e invece, era vivo e prigioniero dei comunisti. Per il suo capo PAULUS " ... é un rammollito senza spina dorsale. Non era mai successo che un feldmaresciallo tedesco si consegnasse al nemico".
Per i soldati tedeschi la resa é siglata non solo dall'esaurimento dei viveri ma anche delle munizioni e del carburante per i mezzi corazzati (nel fotogramma di ottima qualità, un carro tedesco abbandonato non perché colpito ma perché ha semplicemente esaurito proiettili e carburante).
 I soldati russi iniziano i rastrellamenti tra le macerie di una città che non esiste più.
 Per settimane saranno catturati soldati sporchi, affamati e malati ormai stremati per i comabttimenti.
 Da documenti sovietici di recente conoscenza, si viene ora a sapere che quasi 10.000 soldati tedeschi si erano nascosti nei sotterranei e per settimane si nutrirono delle favolose riserve abbandonate dal personale di staff degli alti ufficiali a loro volta, da parecchi giorni, già scappati in GERMANIA. Questi soldati riuscirono in qualche modo a continuare un'assurda, e quanto inutile resistenza, fino ai primi di marzo.
Poi anche per loro venne la resa dopo aver terminato cibo e munizioni. Un soldato tedesco racconterà anni dopo: "Dopo due settimane passate a scappare per le fogne della città e a dormire tra i calcinacci, ero così sporco che non mi resi conto che la biancheria si era letteralmente attaccata alla mia pelle".

 

La prigionia di PAULUS (il fotogramma, pur se non di ottima qualità, inquadra il Generale Feldmaresciallo durante la prigionia nei primi giorni dopo la resa) si rivelò drammatica sotto molti punti di vista. Venne detenuto in condizioni precarie e quasi sempre sotto attenta osservazione: le sue conversazioni venivano regolarmente trascritte e per determinati periodi condivise la detenzione con ex ufficiali della Wehrmacht che si erano schierati totalmente a favore del regime comunista.
 La sua detenzione durò diversi anni e solo nel 1953 venne ufficialmente liberato. Prese residenza nella GERMANIA EST a DRESDA.
Negli anni della detenzione in URSS fu "una voce critica del regime nazista", unendosi al Comitato nazionale per la Germania Libera, organizzato su imposizione dell'URSS, e appellandosi ai soldati tedeschi perché si arrendessero. In seguito fu testimone dell'accusa al processo di NORIMBERGA.
 Morì nel 1957 senza aver più potuto incontrare la moglie, morta qualche anno prima nella GERMANIA OVEST. Difficile esprimere un giudizio sia globale sia specifico sui fatti di STALINGRADO e sul suo agire rispetto alle volontà di HITLER, si può però affermare che per determinate situazioni e circostanze furono corrette le sue previsioni. Di ciò fu un esempio la sua negativa previsione circa il successo dell'operazione denominata "
Donnerschlag", che avrebbe permesso di rompere l'accerchiamento dei Russi a dicembre e il poter raggiungere le forze corazzate del generale Hermann HOTH.
 Per alcuni storici egli fu un mediocre generale, alle dipendenze di HITLER e dell'OKW. Non fu in grado di coinvolgere il suo Stato maggiore in un lavoro di gruppo che lo aiutasse a prendere le necessarie decisioni con prontezza.

Dopo la resa iniziò il dramma della marcia verso la prigionia con destinazione l'Arcipelago GULAG (a fianco una ripresa cinematografica per la propaganda sovietica).
 La Logistica dell'Armata Rossa non aveva mezzi sufficienti per nutrire oltre 100.000 prigionieri. Sempre DENGLER, testimoniò che il comando sovietico aveva razionato i viveri dei propri soldati per sfamare i prigionieri. Certo il gesto fu dettato anche dall'interesse di portare a destinazione la maggior quantità di risorsa umana necessaria alla ricostruzione ma, allo stesso tempo, vale la pena ricordare che il Comando tedesco, che deteneva i prigionieri russi, verso la fine di novembre del 42 aveva dato disposizione di smettere di nutrirli portandoli così ad atti di cannibalismo. Il numero dei soldati tedeschi morti durante la prima prigionia salì a 50.000 ai primi mesi del 43 e solo 30.000 riuscirono ad uscire vivi da quei campi di concentramento, improvvisati, costruiti intorno a STALINGRADO. Portarli altrove era impossibile. In primavera vennero trasferiti verso gli URALI in gulag predisposti per la loro detenzione che mediamente durò dieci anni.
 Degli oltre 30.000 partiti da STALINGRADO, solo 18.000 ce la faranno viaggiando su carri bestiame, senza lavarsi, mangiando e bevendo ogni 3 giorni.
 Solo 6.000 tornarono in patria alla fine del 55.

Ma ancora un ultimo dramma si abbatté su di loro, scampati all'odissea di STALINGRADO.
 Quando nel 1955 il primo Cancelliere della Germania Federale, Konrad ADENAUER (al centro della foto davanti ai microfoni), ottenne la liberazione di tutti i prigionieri di guerra, il loro ritorno fu funestato da vendette personali che portarono alla morte di alcuni di loro.
 Sui treni che riportavano in patria i reduci, si consumarono vendette di ogni sorta tra gli stessi soldati e ufficiali tedeschi. I racconti in merito a ciò si perdono tra la tragedia e l'idiozia di uomini che non seppero capire fino a che punto erano sprofondati nel dramma. Un dramma che spinse ad assassinare alcuni di loro per il solo fatto di aver sottoscritto il regolamento del gulag, l'aver firmato una dichiarazione di colpa per i presunti o veri crimini commessi a STALINGRADO. L'incapacità di dare una giusta collocazione al proprio passato, sbagliato fin dall'inizio e consumatosi nel sangue.
 Quanto era accaduto a STALINGRADO e durante la prigionia si chiuse in quei vagoni merci, diretti a FRANCOFORTE, e che al loro arrivo furono aperti mostrando ai Tedeschi increduli l'ultimo atto consumatosi ancora nel sangue.

 Un dramma senza fine anche a distanza di dieci anni dalla fine della guerra.

 

Restarono sole migliaia di donne: mogli e compagne, madri, figlie.
 Per anni molte di loro periodicamente chiesero alle autorità sovietiche di verificare lo stato in vita di quei soldati. E poi, dagl'anni settanta, solo di verificare se i corpi di costoro erano stati registrati prima della tumulazione.
 Non vi sono cifre ufficiali che riportino quanti morirono nelle marce di avvicinamento ai gulag, lo stesso vale per le morti all'interno dei campi di prigionia.

Un ultima parola in merito. Ciò che accadde ai soldati tedeschi si replicò per quelli italiani, spagnoli, rumeni e ungheresi.
Migliaia di inutili morti anche tra gli Italiani, ricordati nel film di Vittorio DE SICA "I GIRASOLI".

 

 

"Da questa maledetta città ti ho già scritto ventisei volte e tu hai risposto a diciassette lettere. Ora ti scrivo ancora una volta e poi mai più. Ecco, l’ho detto, ci ho pensato a lungo cercando la maniera di formulare questa frase così importante e dirti tutto in modo, però, da non farti tanto male. Mi congedo da te, perché la decisione è stata presa già da stamattina. Non voglio toccare nella mia lettera l’aspetto militare della questione: è un fatto che riguarda solo i russi. Si tratta soltanto di vedere per quanto tempo ancora noi dureremo: ancora un paio di giorni o un paio d’ore. Abbiamo davanti agi occhi la nostra vita. Ci siamo rispettati e amati e abbiamo atteso per due anni. È stato giusto, in un certo senso, che il tempo ci abbia diviso: ha aumentato il desiderio di rivederti, ma ha pure facilitato di molto il distacco. Ed è il tempo che può rimarginare la ferita per il mio mancato ritorno. In gennaio avrai ventotto anni, è ancora un’età molto giovane per una donna tanto bella, ed io sono contento di averti sempre potuto fare questo complimento. Sentirai molto la mia mancanza, ma non sfuggirai gli altri per questo.
 Lascia passare un paio di mesi, ma non di più. Gerdrud e Claus hanno bisogno di un padre. Non dimenticare che devi vivere per i figli, non darti tanta pena per il loro padre. I bambini dimenticano in fretta, soprattutto alla loro età. Guarda bene all’uomo che scegli, sta’ attenta ai suoi occhi e a come stringe la mano, come abbiamo fatto noi, e non sarai delusa. Una cosa soprattutto: educa i bambini a diventare gente che può camminare a testa alta e che può guardare in faccia a tutti. Ti scrivo queste righe col cuore pesante. Del resto tu non mi crederesti, se ti dicessi che mi è facile scrivere così, ma non ti preoccupare, non ho paura di ciò che avviene.
 Ripetilo sempre e continuamente, e anche ai bambini, quando saranno più grandi, che il loro padre non è mai stato un vigliacco e che anche loro non dovranno esserlo mai".
Una delle ultime lettere da Stalingrado scritte da un soldato tedesco.

 

Bibliografia
- A. Beevor "Stalingrado", BUR (2004).
- M. Ferretti "La Battaglia di Stalingrado" Ed. GIUNTI- CASTERMAN (2005).
- F. V. Senger und Etterlin "La guerra in Europa" Ed. TEA, 2002 (1960).
 

Filmografia

"IL NEMICO ALLE PORTE (THE ENEMY AT THE GATES)", regia di J.J. ANNAUD (2001).
 

 

 

 

- "STALINGRAD", regia di J. VILSMAIER (1993).

 

 

 

 

 

""I GIRASOLI", regia di V. DE SICA (1970).

 

 

 

 

 

Tutte le foto sono tratte da cinegiornali dell'epoca o successivi agli anni 50 (foto 10 e 11), la foto 3 é di proprietà e copyright BUNDESARCHIV (Bild 146-1971-107-40).
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