NISE, Federico Cavann@ in Genova "work-shop" 2009 - 2013 ERWIN
ROMMEL: UN UOMO E UN SOLDATO |
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"Sono straordinari, coraggiosi, disciplinati (gli italiani), ma mal
comandati e male equipaggiati". "Il soldato tedesco ha stupito il mondo, il
bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco". “A fronte dei miei servizi in Africa ho
l'opportunità di morire per avvelenamento. Due generali l'hanno portato con
loro. È fatale in tre secondi. Se prendo il veleno, nessuno dei procedimenti
consueti sarà preso contro la mia famiglia; lasceranno in pace anche il mio
staff”. “Gli uomini sono di base intelligenti o ottusi e
pigri o ambiziosi. Gli ottusi ma ambiziosi sono pericolosi e li evito. Gli
ottusi ma pigri li assegno a compiti mondani. Gli intelligenti ambiziosi li
inserisco nel mio staff. Gli intelligenti pigri li rendo miei comandanti”. “Gambara e Bastico sono delle merde”. Dichiarazione pubblica di Rommel.
Irving David “La pista della volpe”. Mondadori, 1978. “Abbasso Churchill e gli Ebrei”. Scritto riportato in una lettera alla
moglie Lucie in data 26 aprile 1944. D. Fraser
“Rommel”. Oscar Mondadori. “Rommel
era un genio. Infrangeva le regole. A volte, ma non sempre, riusciva ad
evitarne le conseguenze”. David Fraser. Rommel, fine di una legenda resta uno
dei libri più critici e allo steso tempo equilibrati nel giudizio del
feldmaresciallo. |
Questa breve traccia biografica su Erwin
ROMMEL ha la presunzione di attirare l’attenzione degli appassionati di
STORIA, come quella di chiunque voglia avere le idee meno nebulose in merito
a chi furono i maggiori protagonisti della Seconda Guerra Mondiale. Nel corso di oltre trent’anni, di passione
storica per l’Esercito tedesco (HEER)
e le sue truppe speciali (WAFFEN SS),
ho avuto modo di poter confrontare testi e informazioni sui comandanti delle
tue forze armate tedesche. Tra i comandanti tedeschi certo spicca
sempre la Volpe del Deserto, Erwin ROMMEL, quello su cui si è scritto di più
e in genere informazioni abbastanza attendibili. L’interpretazione di queste
informazioni, così come il loro incastro, è invece stato in molti casi
partigiano e talvolta incongruente. Per essere diplomatici nei confronti di una
certa stampa storica, in diversi hanno scritto i fatti da una certa
angolazione, dando conclusioni sbagliate e di erronea palese interpretazione
nonché omessa collocazione cronologica. Non si ha, qui e in poche righe, intenzione
di dare chiarezza al fiume di parole scritte in passato au questa biografia
ma di avvertire chi, della STORIA di quest’uomo, ne vuole sapere qualcosa di
più oculato, di indurlo a fare molta attenzione a quanto si legge e si
leggerà su ROMMEL. “Perché
un libro è venduto in libreria, non vuol dire che sia anche un buon libro”
Mario BRUSASCO, insegnante e uomo di particolare cultura. Nella primavera del 1943 Erwin ROMMEL
comprese che la guerra nel Nord AFRICA era ormai perduta. Nel febbraio del 1943, al Passo di
KASSERINE, Gli Americani non sconfissero ROMMEL e il suo Afrika Korps, anzi
fu quasi una disfatta salvata in extremis. Questa vittoria, fu solo un
momento di stop all’avanzata americana in NORD AFRICA, fece comprendere che
gli alleati Angloamericani non sarebbero stati sconfitti solo con tutta la
volontà di cui ogni soldato tedesco era dotato. A dare il colpo di grazia,
stavolta emotivo, pochi mesi dopo arrivò la notizia che HITLER non aveva più
intenzione di continuare la guerra in
Nord AFRICA. Quell’avventura, quella possibile guerra
personale a cui lui poteva imprimere le caratteristiche che meglio lo
avrebbero valorizzato, era la grande chance a cui un giovane borghese medio
della nuova GERMANIA poteva aspirare. Ma nella primavera di quell’anno il suo
sogno fu infranto. Questa nuova elite, nel 1918, aveva due
obiettivi a cui voleva nell’immediato dare corso per poter tornare di nuovo
alla ribalta e a spartire una parte di potere: con la scusa della sconfitta
nel precedente conflitto, innescare nuove spinte militariste e ed
espansioniste che avrebbero avuto un sostegno politico, civile ed economico
da parte della classe industriale tedesca e anche di una parte di quella del
nord dell’EUROPA, specie quest’ultima ne avrebbe solo guadagnato dal riarmo
della GERMANIA; il secondo obiettivo fu di creare un apparato di stato
controllato dalla classe dei militari il cui potere parallelo avrebbe
permesso loro una libertà di azione fuori da qualsiasi vincolo politico e
giuridico. Il primo obiettivo fu raggiunto anche e
grazie ai governi delle nazioni vincitrici del primo conflitto mondiale i
quali, con poco senso della gestione di una così importante vittoria, non
seppero dare freno ai propri livori nazionalistici e ai sempre più crescenti
interessi di trust economici nel controllo dei mercati europei (siderurgico, minerario, tessile e della
grande distribuzione mercantile). Il secondo fu raggiunto, invece, con
l’involontario aiuto dalla stessa società civile e della classe politica
tedesca che, prese da fobie e da visioni paranoiche di nemici (a est come ad ovest) di ogni sorta
pronti a far crollare l’ordine precostituito, preferirono cercare la
sicurezza e la stabilità nei movimenti politici altrettanto estremi come il
partito comunista proletario e quello nazional socialista. Nonostante un periodo di stabilità del
paese, compreso tra il 1923 e il 1929, il cancelliere Gustav STRESEMANN non
riuscì a porre freno alle sempre più radicali richieste dell’entourage
dell’OHL; i rapporti tra le due parti divennero opposti quando STRESEMANN
sottoscrisse gli accordi di LOCARNO, nel 1925, e fu l’artefice dell’ingresso
della GERMANIA nella Società delle Nazioni, nel 1929, adesione che era
condizionata da patti scritti di neutralità e non belligeranza verso gl’altri
paesi membri. Alla classe militare tedesca non servì fare
nulla di violento, le bastò lasciare andare avanti i due elementi sopracitati
per emergere senza colpo ferire. Tramite i ricchi finanziamenti della classe
industriale quanto mai interessata al riarmo, venne alimentata la figura di
Adolf HITLER e del suo movimento nazista, dato che non potevano gli stessi
militari comandare (la Società delle Nazioni, le Nazioni Unite di allora, questo nuovo potere lo avrebbero
stroncato subito sul nascere) ma potevano indirizzare, verso i loro
obiettivi, quella percezione di stabilità globale di cui avrebbe goduto
l’intera nazione. HITLER trovò nel mondo militare ed economico
il supporto necessario per ottenere il consenso popolare, di certo come
leader ma soprattutto come fautore e difensore dell’ordine civile, economico
e politico. Grazie a loro, promise al popolo tedesco di lavare l’onta della
sconfitta militare e quindi, militarmente, dare il via a espansioni
territoriali europee. Nasceva la globalizzazione della guerra. Venne
sancito, tra classe militare e la emergente classe politica, un diabolico
patto “do ut des” i cui effetti portarono al collasso la Repubblica di
Weimar, al potere HITLER e alla rinascita di un esercito che era stato
letteralmente cancellato con il trattato di resa. Uomini del calibro di ROMMEL furono soldati
capaci e il regime nazista non se li fece certo scappare di mano. Le loro carriere
militari, accompagnate da una spinta emotiva smisurata, furono astutamente
farcite da privilegi economici nonché sociali, da quel certo potere
trasversale tipico delle dittature di ogni tempo che, detta chiaramente,
piace agli uomini di ogni tempo. Nel 1939 scoppia la Seconda Guerra Mondiale
e ROMMEL è già sui blocchi di partenza. Non nasconde a nessuno di abbracciare
il Nazismo per interessi di carriera nell’HEER. A chi gli domanda la sua
opinione, sul partito Nazista, risponde di non occuparsi di politica, e in
merito a HITLER? Con pacata immediatezza replicherà sempre che [HITLER] è il
capo della GERMANIA e già solo questa ragione impone obbedienza ai suoi
voleri. Nel corso dei quattro anni successivi avrà
modo di constatare, di persona e sulla sua stessa vita, che quei voleri
celavano crimini di ogni sorta ma fino agli ultimi giorni di vita farà fatica
ad ammettere che le sue ambizioni di carriera accettavano,
incondizionatamente, la figura negativa di HITLER. La campagna di FRANCIA del 40 lo portò alle
cronache per il suo modo poco teutonico di far il comandante: irruento,
sprezzante del pericolo, in contraddizione con i comandi militari troppo
sedentari e prudenti, sposato alle nuove filosofie moderne della guerra di
movimento meccanizzata. Il suo personaggio piaceva e il Nazismo non tardò a
usarlo per la sua propaganda. Ma per il principio “do ut des”, ROMMEL si
sarebbe concesso in cambio di una campagna militare tutta sua. E la ottenne
con la guerra in NORD AFRICA. Una guerra per davvero tutta sua che lo avrebbe
consacrato a nuovo Cesare del TERZO REICH. Quella
guerra non era, però, così facile e HITLER dava disponibilità scarse per
affrontare gl’Inglesi. ROMMEL era un militare e non un politico, quel tipo di
essere diplomatico non gli veniva facile. Già in un anno di permanenza in
AFRICA il suo corpo dava evidenti segni di cedimento: non bastava una vita
misurata e dedita alla sola guerra. I tira e molla con BERLINO, per ottenere
uomini e mezzi, gli crearono stress emotivi che non seppe sopportare.
Scriveva spesso alla moglie, sua confidente anche della vita militare. La
moglie cercava di rendergli la vita meno spartana: gli spediva degli arredi
per i suoi alloggi, lui li accantonava in un deposito in SICILIA, li
ritroveranno gli Americani nel luglio del 1943. Nelle missive alla moglie si dimostra marito
affettuoso e corretto, si tiene minuziosamente al corrente della vita del
figlio MANFRED e, da buon padre, rimbrotta quando i risultati scolastici del
figlio non sono all’altezza delle sue aspettative. Non molla la sua rigidità mascellare, è
parco nei commenti negativi verso la GERMANIA mentre facilmente se la prende
con i comandi italiani, da lui ritenuti la causa di un esercito italiano male
organizzato e peggio comandato. Con i comandanti italiani doveva litigare per
ogni cosa, imponeva la sua riorganizzazione e s’imponeva anche in merito
all’impiego delle forze corazzate italiane altrimenti gestite alla peggio e
che purtroppo contavano su carri armati leggeri, con poca forza di
combattimento e un’autonomia di percorso limitata. I soldati italiani erano
da lui giudicati come coraggiosi ma inesperti e i loro comandanti “… ne fanno un mediocre impiego”. I rapporti tra il suo Stato maggiore e
quello italiano, in particolare con il governatore di LIBIA Ettore BASTICO,
sono pieni di litigi e aspre discussioni e che non vertono solo su argomenti
militari ma anche sul comportamento delle truppe italiane nei confronti dei
civili e in particolare con le donne (scendere
nei dettagli sulle violenze perpetrate pare fuori luogo in questa sede, si
rimanda alla biografia di D. FRASER). Tornando su argomentazioni militari, anche i
carri armati tedeschi non erano molti ma avevano maggiori prestazioni in
combattimento e come autonomia. Il suo Stato maggiore, composto solo da 21
ufficiali e comandato dal generale Alfred GAUSE, di fronte al rifiuto da
parte della GERMANIA di fornirne di più, ha escogitato l’espediente di
richiedere grandi quantitativi di parti di ricambio così che i carri
danneggiati, anche se gravemente, vengono riparati e rimessi in battaglia. Spesso lo si descrive come un rigido
ufficiale, in realtà fu un soldato estremamente creativo sui modi per
combattere e ingannare il nemico: trasformò dei pali telegrafici in finti
cannoni antiaerei, fece trainare i mezzi guasti di modo da far credere che le
sue colonne siano dotate di molti mezzi, i carri armati trascinavano pezzi di
lamiera mentre erano lanciati all’attacco dando così l’effetto che la polvere
alzata fosse dovuta ad almeno un numero triplo di carri presenti all’attacco. Egli era cosciente del potere della sua
immagine e si teneva informato su cosa scriveva la stampa internazionale
riguardo le sue imprese in NORD AFRICA. Quando arrivava in prima linea era quasi
venerato dai suoi ufficiali; di conseguenza sapeva comportarsi per accrescere
tale potere d’immagine. Non un solo ufficiale si riservava di scrivere a casa
episodi cui aveva assistito e dove ROMMEL ne era protagonista: mangiava il
pasto della truppa, beveva solo acqua e raramente il caffè, non fumava e non
beveva alcolici, dormiva lo stretto necessario e alle volte seduto dentro al
GREIF (il veicolo con cui si spostava
lungo la linea del fronte), visitava i feriti negli ospedali,
personalmente assegnava ogni decorazione. Era nata una stella a cui
gl’Inglesi aggiungeranno un alone di miticità e misticismo guerriero che nel
dopoguerra alimenteranno ancor di più (sarà
una buona scusa, l’invincibilità della Volpe del deserto, quando nelle
biografie personali dovranno giustificare alcuni errori grossolani). Lo stesso MONTGOMERY ne esaltava la figura
quanto il carattere e lo copre di prestigio militare. Lo fece in tutte quelle
occasioni in cui una battaglia in realtà non fu persa solo per colpa di ROMMEL.
E questo CHURCHILL lo sapeva bene, per cui sbottò con la frase “La sconfitta è una cosa, la vergogna
un’altra”. Nel 1943 ROMMEL era sempre più stanco per le
battaglie nel deserto e tra gl’uffici del REICH; altre sconfitte di entità
minore e amari bocconi ingurgitati, a causa degli stessi alti comandi
tedeschi, portarono al feldmaresciallo una serie di malanni che incrinarono
l’integrità psicofisica (esaurimenti,
alta pressione capace di causargli cefalee e svenimenti). Nel corso degli anni si era fatto diversi
amici sia tra l’HEER sia nella LUFTWAFFE. Alcune fonti, però, riportano di
diversi rapporti tenuti con ufficiali delle WAFFEN SS e tra alcuni dirigenti
del partito. Nello stesso tempo diversi ufficiali divennero suoi delatori e
in alcuni casi nemici espliciti che non perdevano occasione per dargli
problemi di ogni sorta e definendolo “…
un ambizioso morboso, patologico” (Generale
dello Stato Maggiore, Franz HALDER). Finì in una sconfitta totale la guerra
personale del nuovo Cesare. L’ultima sua vittoria fu la ritirata ad ovest che
permise di non far cadere prigionieri centinaia di migliaia di soldati
tedeschi. Non fu però altrettanto generoso nel salvare quelli italiani che la
ritirata la fecero a piedi e quindi finirono catturati dagli Inglesi e dagli
Americani. Un gesto poco nobile che non gli fu perdonato dagli ufficiali
italiani che lo avevano sostenuto. Dalla primavera del 43, fino al giugno dello
stesso anno, le forze tedesche vennero fatte evacuare in SICILIA per
difendere l’ITALIA dato che gli Angloamericani avevano dato via al Piano HUSKY. L’immagine del condottiero invincibile venne
comunque consacrata, nonostante la sconfitta, oltre che dalla propaganda
nazista anche dalla stampa di tutto il mondo. A BERLINO si diede seguito a
festeggiamenti e giri di gloria per le piazze di molte città tedesche. Strana
cosa, perché fino a ottobre del 43 egli non ricevette nessun comando di pari
importanza al suo grado. Intanto la sua salute era stata minata da diverse
forme di malattie alle vie respiratorie e che furono sempre giustificate come
effetti di una rinite cronica. HITLER, richiamandolo in GERMANIA, evitò
così che la sconfitta fosse attribuita solo allo stesso ROMMEL. Qualche mese
di oblio popolare sarebbero bastati per poi destinarlo al comando della
difesa del VALLO ATLANTICO. Ma prima di essere destinato alla NORMANDIA, a
ROMMEL spettò una punizione esemplare per i suoi insuccessi. Nel settembre dello stesso anno venne
inviato in ITALIA, nel VENETO, per provvedere alla cattura, disarmo e
deportazione di quasi 500.000 soldati italiani che dopo l’8 settembre avevano
deciso di non combattere più a fianco degli alleati germanici. E forse qui iniziò la sua analisi interiore
se ne fosse valsa la pena, in nome della carriera, l’accettare le volontà di
un dittatore e di una nazione accecata dalla guerra e dai suoi trionfalismi
ariani. In merito a questo argomento, le
deportazioni dei soldati italiani nel 43, viene da domandarsi come mai che
numerosi suoi biografi, in primis David FRASER, si siano totalmente
dimenticati di dedicarvi anche poche righe nelle loro corpulente e
didascaliche biografie del feldmaresciallo. Pur se non viene menzionata esplicitamente
nella sua biografia, WIKIPEDIA ha dedicato una pagina all’OPERAZIONE ACHSE. La stessa enciclopedia virtuale riporta [in
merito al comando di ROMMEL In ITALIA nel 43] la sua attiva partecipazione al
piano di deportazione dei militari italiani: “…In queste circostanze il
feldmaresciallo Rommel eseguì il suo compito con velocità ed efficienza,
mentre gran parte dei reparti italiani si disgregarono rapidamente offrendo
scarsa resistenza; le disposizioni sull'internamento dei militari furono
rigidamente eseguite dal Gruppo d'armate B, furono catturati 13.000 ufficiali
e 402.000 soldati di cui entro il 20 settembre già 183.300 furono trasferiti
in Germania”. Nonostante che a settembre la visita di un
suo fidato amico il medico Karl STROELIN, gli fosse servita per venire a
conoscenza delle deportazioni razziali e degli eccidi sul fronte est, questo
non indusse minimamente ROMMEL a mettere un freno alla deportazione di
militari italiani. A tal proposito, qualcuno ha indicato che tale azione
venne da lui diretta, e perpetrata, più come una personale resa dei conti,
per la sua visione del tradimento che l’Esercito italiano aveva l’otto
settembre attuato contro i Tedeschi, che non una vendetta a quanto era
accaduto nel Nord AFRICA. Ad ogni conto non si può non escludere che
egli pensasse, facendo ciò, di riguadagnare la stima del FUHRER e di non
essere escluso dagli ambienti militari, questi molto più di lui convinti di
dover dissolvere l’Esercito italiano con tali metodi e strumenti. Dal novembre del 1943, HITLER lo incaricò di
valutare lo stato delle difese esistenti lungo le coste della NORMANDIA e di
indicare quali e quante di ulteriori sarebbero state necessarie per impedire
lo sbarco di forze nemiche. In realtà, l’idea di assegnargli tale
incarico, non venne al FUHRER ma al generale Alfred JODL che aveva in carico
il comando supremo dell’Esercito tedesco. Dopo due settimane di ispezioni continue,
dal nord dell’EUROPA fino al nord della FRANCIA (Penisola di COTENTIN),
ROMMEL fece una relazione scritta quanto mai negativa e altrettanto
inclemente verso i lavori svolti in precedenza. Tanto da mettere in cattiva
luce l’altro comandante presente in FRANCIA: il generale Gerd Von RUNDSTEDT. Le fortificazioni realizzate erano poche,
solo in alcuni casi armate in modo fisso. Poi la scarsa presenza di truppe
che avrebbero dovuto respingere il nemico già dalla prima fase di un
ipotetico sbarco. L’assenza dell’aviazione non avrebbe fatto
altro che confermare la necessità di fermare chiunque già sulla spiaggia,
scartando l’ipotesi strategica di Gerd Von RUNDSTEDT. Questi sosteneva di
attuare una posizione “elastica” disponendo all’interno le forze corazzate
mobili e anche parte di quelle fisse. Se fino all’estate del 43, ROMMEL, mai diede
segni di dubbio sulla vittoria sicura della GERMANIA, qualcosa cambiò nella
mente e nella coscienza del maresciallo. Testimonianze postume, tra cui
quella del maggiore Hans Von LUCK, affermarono che ROMMEL esternò in più
occasioni le sue paure per una sconfitta su ambedue i fronti. La presenza in NORMANDIA, nel periodo tra
novembre 43 e giugno 44, furono forse il momento in cui totalmente mutò nella
visione futura del conflitto mondiale e, soprattutto, s’innescò nella sua
coscienza un cambiamento radicale del suo rapporto con Adolf HITLER. Nella
lettura di varie fonti, ma sempre in merito allo stesso periodo, è sempre più
evidente che la perdita del controllo della situazione, da parte di HITLER,
dei diversi livelli militari ed esponenti del partito, furono per ROMMEL il
segnale che ormai la sconfitta totale sarebbe stata questione di pochi mesi. Andando in dettaglio, per rendere effettiva
tale ipotesi, è utile ripercorrere alcuni momenti e fatti del suo incarico in
NORMANDIA. Rommel non amava PARIGI e non approvava lo
stile comportamentale che la città induceva nel comando militare. Troppi
diversivi di vario genere (un
attendente dichiarò che i generali conoscevano meglio la planimetria della
città e gl’indirizzi delle sue case di appuntamento che non quella della
costa francese) erano secondo lui la causa di un lassismo generale. Nelle
poche volte che incontrò Von RUNDSTEDT, a PARIGI presso l’hotel GEORGE V,
ebbe modo di riscontrare quanto fosse vera la diceria che il generale era
facile ai liquori e a tenere un atteggiamento di apatica indifferenza di
fronte alla situazione militare di un possibile sbarco nemico. Decise quindi di stabilire il suo quartier
generale a CHATEAU LA ROCHE GUYON, in NORMANDIA. La magione, residenza dei duchi di LA ROCHE
FOUCAULD, era a 60 km dalla capitale e con un paesino di solo 500 anime per
nulla belligeranti; gli venne suggerita dal suo attendente, il vice
ammiraglio Friedrich RUGE. Se ROMMEL, nell’atmosfera bucolica del
castello, aveva ben chiaro come organizzare l’ordine gerarchico e operativo
per le difese della costa, a BERLINO le cose non erano altrettanto chiare e
ben organizzate. In parte, questa disorganizzazione, era tipica della
concezione tedesca nella distribuzione dei poteri e in parte era una pecca
storica generata dagli odi e dalle ostilità interne alle diverse armi. A peggiorare la confusione dei comandi, ci
si mise lo stesso HITLER e l’OKW che presero l’andazzo di assegnare poteri “a
metà”. E così ROMMEL non ebbe mai chiari i limiti del suo potere, non poté
contare sulla collaborazione di Von RUNDSTEDT. A rendere quanto mai caotica la situazione,
ecco HITLER porsi da giudice durante le dispute tra ROMMEL E Von RUNDSTEDT. Spesso, nelle varie biografie dedicate al
feldmaresciallo, non si tratta mai un argomento che ancora oggi non ha tutti
i contorni definiti e coincidente con il suo periodo in NORMANDIA. ROMMEL fu accusato di aver partecipato (non fisicamente ma moralmente)
all’attentato del 20 luglio contro HITLER. Ma su questo evento non si è mai
giunti ad una conclusione e cioè: fece parte, o meno, del complotto di
uccidere il FUHRER e firmare una resa con gli Angloamericani? Forse la risposta non si saprà mai e la
ragione è la seguente. Si sa che ROMMEL teneva una rete di contatti con i
vari generali dell’HEER, specialmente con quelli che erano operativi
nell’OSTFRONT. Eppure non è giunta a noi benché minima
traccia della documentazione epistolare di quel periodo, così come stralcio
dei colloqui con gli alti papaveri dell’esercito nelle sue visite a BERLINO.
Dopo la sua morte, qualsiasi documento o testimonianza pare essersi volatilizzata:
forse da lui stesso distrutta, forse fatta sparire da qualche suo
collaboratore per non svelare nomi e fatti, forse e più semplicemente finita
nelle mani di HITLER e della GESTAPO. Sarebbe utile ritrovare quei documenti per
capire quali fossero le sue idee in merito alle vicende militari e
soprattutto politiche di quel 1944. E forse chiarirebbe se lui fece parte
della congiura o vi fu coinvolto accidentalmente. Resta ancora più dubbia la sua personalità
arrendevole durante gl’incontri con HITLER e così descritta da molti
ufficiali di allora. Sempre meno credibile allora, man mano che il mosaico
della sua personalità si ricompone, un ROMMEL lontano dalla realtà e vittima
inconsapevole delle situazioni più assurde che ruotavano nell’entourage di HITLER. Quanto accadde dal 6 giugno del 1944 fino
alla sua morte sarà oggetto di un successivo articolo in quanto che furono
mesi cruciali per la vita della Volpe del deserto e per l’intera GERMANIA e
nel piccolo di queste trattazioni si desidera evitare approsimativismi
storici che purtroppo non hanno aiutato a comprendere la STORIA passata. La colpa è sicuramente da addebitare a
ragioni politiche e di propaganda, dalla divisione della GERMANIA al periodo
della Guerra Fredda, ma in gran parte a storici che furono convinti a
prendersi la briga di pubblicare scritti poco veritieri e con troppe
conclusioni affrettate. A peggiorare il livello informativo, il proliferare
di documentari storici dove ci si è più preoccupati di crearne un mito
modaiolo invece di mettere a nudo il passato e la figura di Erwin ROMMEL. Immagini, nomi di prodotti, marchi, sono:
tutelati dai rispettivi copyright se registrati o non scaduti, fanno
riferimento e solo ciò ai loro legittimi proprietari. |
Il feldmaresciallo
Erwin ROMMEL in una foto di archivio. Un rara immagine di
ROMMEL: indossa un elmetto ma solo per ragioni di parata, Parigi 1940. (Bundesarchiv Bild
146-1070-076-43) ROMMEL in pieno
deserto nel 1943. (Bundesarchiv Bild 101I-785-0287-08 CC-BY-SA) Una rara immagine
del feldmaresciallo in tenuta leggera. Bundesarchiv
CC-BY-SA
Il famoso semovente
Schützenpanzer Sd.Kfz. 250/3 "Greif" tramite il quale ROMMEL si
spostava lungo il fronte del nord Africa. Bundesarchiv Bild
101I-784-0249-04A
ROMMEL al centro
della foto, Alfred GAUSE a destra i primo piano. Bundesarchiv, Bild 183-1982-0927-502 / Moosmüller / CC-BY-SA La famiglia di
ROMMEL: il figlio Manfred e la moglie Lucie.
Con il figlio
Manfred (data sconosciuta). Gerd Von RUNDSTEDT e ROMMEL nel marzo del 1944. Bundesarchiv, Bild 1011-298-1763-09 ROMMEL passa in
rassegna volontari della Legione Freies Indien presente in Normandia nel
1944. Bundesarchiv, Bild 183J16796. James MASON nel
film “La Volpe del Deserto“ del 1951. (WIKIPEDIA source) Bibliografia essenziale ma non
esaustiva - Correlli Barnett “I generali di Hitler”.
BUR, 1998. - Irving David “La pista della volpe”.
Mondadori, 1978. - David Fraser “Rommel, l’ambiguità di un
soldato”. Mondadori, 1996. - Max Hastings “Apocalisse tedesca”. Mondadori, 2006. - B.H. Liddell Hart “Storia di una
sconfitta”. Rizzoli, 1971. - Ralf Georg Reuth “Rommel, fine di una
leggenda”. Lindau, 2006. - Erwin Rommel “Guerra senza odio”. Garzanti, 1959. |
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Documentazione 2°conflitto mondiale |
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