NISE, Federico Cavann@ in Genova "work-shop" 2009 - 2013

ERWIN ROMMEL: UN UOMO E UN SOLDATO
Breve e controversa trattazione sul comandante tedesco più conosciuto della Seconda Guerra Mondiale
Giugno 2013.

Modellismo

Pittura e grafica

Cinefoto

Genova per Noi

"Sono straordinari, coraggiosi, disciplinati (gli italiani), ma mal comandati e male equipaggiati".

 

 

 

"Il soldato tedesco ha stupito il mondo, il bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco".

 

 

 

“A fronte dei miei servizi in Africa ho l'opportunità di morire per avvelenamento. Due generali l'hanno portato con loro. È fatale in tre secondi. Se prendo il veleno, nessuno dei procedimenti consueti sarà preso contro la mia famiglia; lasceranno in pace anche il mio staff”.

 

 

 

“Gli uomini sono di base intelligenti o ottusi e pigri o ambiziosi. Gli ottusi ma ambiziosi sono pericolosi e li evito. Gli ottusi ma pigri li assegno a compiti mondani. Gli intelligenti ambiziosi li inserisco nel mio staff. Gli intelligenti pigri li rendo miei comandanti”.

 

 

 

“Gambara e Bastico sono delle merde”.

Dichiarazione pubblica di Rommel. Irving David “La pista della volpe”. Mondadori, 1978.

 

 

“Abbasso Churchill e gli Ebrei”.

Scritto riportato in una lettera alla moglie Lucie in data 26 aprile 1944.

D. Fraser “Rommel”. Oscar Mondadori.

 

 

 

Rommel era un genio. Infrangeva le regole. A volte, ma non sempre, riusciva ad evitarne le conseguenze”. David Fraser.

 

 

 

Rommel, fine di una legenda resta uno dei libri più critici e allo steso tempo equilibrati nel giudizio del feldmaresciallo.

 

 Questa breve traccia biografica su Erwin ROMMEL ha la presunzione di attirare l’attenzione degli appassionati di STORIA, come quella di chiunque voglia avere le idee meno nebulose in merito a chi furono i maggiori protagonisti della Seconda Guerra Mondiale.

 Nel corso di oltre trent’anni, di passione storica per l’Esercito tedesco (HEER) e le sue truppe speciali (WAFFEN SS), ho avuto modo di poter confrontare testi e informazioni sui comandanti delle tue forze armate tedesche.

 Tra i comandanti tedeschi certo spicca sempre la Volpe del Deserto, Erwin ROMMEL, quello su cui si è scritto di più e in genere informazioni abbastanza attendibili. L’interpretazione di queste informazioni, così come il loro incastro, è invece stato in molti casi partigiano e talvolta incongruente.

 Per essere diplomatici nei confronti di una certa stampa storica, in diversi hanno scritto i fatti da una certa angolazione, dando conclusioni sbagliate e di erronea palese interpretazione nonché omessa collocazione cronologica.

 Non si ha, qui e in poche righe, intenzione di dare chiarezza al fiume di parole scritte in passato au questa biografia ma di avvertire chi, della STORIA di quest’uomo, ne vuole sapere qualcosa di più oculato, di indurlo a fare molta attenzione a quanto si legge e si leggerà su ROMMEL.

 

 Perché un libro è venduto in libreria, non vuol dire che sia anche un buon libro” Mario BRUSASCO, insegnante e uomo di particolare cultura.

 

 Nella primavera del 1943 Erwin ROMMEL comprese che la guerra nel Nord AFRICA era ormai perduta.
 Iniziata da parte tedesca nel 1940, per dare in soccorso allo sfortunato quanto impreparato alleato italiano, essa ebbe momenti a favore del generale tedesco e delle sue temute truppe speciali. Il D.A.K. (Deutsche Afrika Korps) era composto da soldati di grande valore e da mezzi tecnici abbastanza adeguati all’ambiente ostile nord africano. Eppure tutto ciò era in un numero insufficiente per poter controllare la risposta dei nemici Inglesi il cui numero di uomini era impari rispetto a quello tedesco. A peggiorare la situazione dei numeri a sfavore, a fianco degli Inglesi giunsero nel 1942 anche gli Americani i quali, come dote di guerra, portarono tonnellate di riserve (dal cibo, ai mezzi corazzati, alle armi da combattimento e agli indispensabili dissalatori) che determinarono la vittoria finale angloamericana.

 Nel febbraio del 1943, al Passo di KASSERINE, Gli Americani non sconfissero ROMMEL e il suo Afrika Korps, anzi fu quasi una disfatta salvata in extremis. Questa vittoria, fu solo un momento di stop all’avanzata americana in NORD AFRICA, fece comprendere che gli alleati Angloamericani non sarebbero stati sconfitti solo con tutta la volontà di cui ogni soldato tedesco era dotato. A dare il colpo di grazia, stavolta emotivo, pochi mesi dopo arrivò la notizia che HITLER non aveva più intenzione di continuare  la guerra in Nord AFRICA.

 Quell’avventura, quella possibile guerra personale a cui lui poteva imprimere le caratteristiche che meglio lo avrebbero valorizzato, era la grande chance a cui un giovane borghese medio della nuova GERMANIA poteva aspirare. Ma nella primavera di quell’anno il suo sogno fu infranto.
 Per conoscere e capire il carattere di ROMMEL si deve tornare indietro nel tempo, al 1918. La sconfitta nella Prima Guerra Mondiale, tanto morale quanto militare, aveva dato sfogo ad una nuova classe militare tedesca. L’allora OHL (Oberste Heeresleitung, Comando Supremo dell’Esercito) non trovò nella Repubblica di Weimar quella situazione politica a se favorevole, nonostante la presenza al governo di uomini come Friedrich EBERT che ebbero sempre intrecciati rapporti con il mondo militare (EBERT era il leader e capo del movimento politico de “Social Democratici Maggioritari” MSPD).

 Questa nuova elite, nel 1918, aveva due obiettivi a cui voleva nell’immediato dare corso per poter tornare di nuovo alla ribalta e a spartire una parte di potere: con la scusa della sconfitta nel precedente conflitto, innescare nuove spinte militariste e ed espansioniste che avrebbero avuto un sostegno politico, civile ed economico da parte della classe industriale tedesca e anche di una parte di quella del nord dell’EUROPA, specie quest’ultima ne avrebbe solo guadagnato dal riarmo della GERMANIA; il secondo obiettivo fu di creare un apparato di stato controllato dalla classe dei militari il cui potere parallelo avrebbe permesso loro una libertà di azione fuori da qualsiasi vincolo politico e giuridico.

 Il primo obiettivo fu raggiunto anche e grazie ai governi delle nazioni vincitrici del primo conflitto mondiale i quali, con poco senso della gestione di una così importante vittoria, non seppero dare freno ai propri livori nazionalistici e ai sempre più crescenti interessi di trust economici nel controllo dei mercati europei (siderurgico, minerario, tessile e della grande distribuzione mercantile).

 Il secondo fu raggiunto, invece, con l’involontario aiuto dalla stessa società civile e della classe politica tedesca che, prese da fobie e da visioni paranoiche di nemici (a est come ad ovest) di ogni sorta pronti a far crollare l’ordine precostituito, preferirono cercare la sicurezza e la stabilità nei movimenti politici altrettanto estremi come il partito comunista proletario e quello nazional socialista.

 Nonostante un periodo di stabilità del paese, compreso tra il 1923 e il 1929, il cancelliere Gustav STRESEMANN non riuscì a porre freno alle sempre più radicali richieste dell’entourage dell’OHL; i rapporti tra le due parti divennero opposti quando STRESEMANN sottoscrisse gli accordi di LOCARNO, nel 1925, e fu l’artefice dell’ingresso della GERMANIA nella Società delle Nazioni, nel 1929, adesione che era condizionata da patti scritti di neutralità e non belligeranza verso gl’altri paesi membri.

 Alla classe militare tedesca non servì fare nulla di violento, le bastò lasciare andare avanti i due elementi sopracitati per emergere senza colpo ferire. Tramite i ricchi finanziamenti della classe industriale quanto mai interessata al riarmo, venne alimentata la figura di Adolf HITLER e del suo movimento nazista, dato che non potevano gli stessi militari comandare (la Società delle Nazioni, le Nazioni Unite di allora, questo nuovo potere lo avrebbero stroncato subito sul nascere) ma potevano indirizzare, verso i loro obiettivi, quella percezione di stabilità globale di cui avrebbe goduto l’intera nazione.

 HITLER trovò nel mondo militare ed economico il supporto necessario per ottenere il consenso popolare, di certo come leader ma soprattutto come fautore e difensore dell’ordine civile, economico e politico. Grazie a loro, promise al popolo tedesco di lavare l’onta della sconfitta militare e quindi, militarmente, dare il via a espansioni territoriali europee. Nasceva la globalizzazione della guerra.

Venne sancito, tra classe militare e la emergente classe politica, un diabolico patto “do ut des” i cui effetti portarono al collasso la Repubblica di Weimar, al potere HITLER e alla rinascita di un esercito che era stato letteralmente cancellato con il trattato di resa.

 Uomini del calibro di ROMMEL furono soldati capaci e il regime nazista non se li fece certo scappare di mano. Le loro carriere militari, accompagnate da una spinta emotiva smisurata, furono astutamente farcite da privilegi economici nonché sociali, da quel certo potere trasversale tipico delle dittature di ogni tempo che, detta chiaramente, piace agli uomini di ogni tempo.

 Nel 1939 scoppia la Seconda Guerra Mondiale e ROMMEL è già sui blocchi di partenza. Non nasconde a nessuno di abbracciare il Nazismo per interessi di carriera nell’HEER. A chi gli domanda la sua opinione, sul partito Nazista, risponde di non occuparsi di politica, e in merito a HITLER? Con pacata immediatezza replicherà sempre che [HITLER] è il capo della GERMANIA e già solo questa ragione impone obbedienza ai suoi voleri.

 Nel corso dei quattro anni successivi avrà modo di constatare, di persona e sulla sua stessa vita, che quei voleri celavano crimini di ogni sorta ma fino agli ultimi giorni di vita farà fatica ad ammettere che le sue ambizioni di carriera accettavano, incondizionatamente, la figura negativa di HITLER.

 La campagna di FRANCIA del 40 lo portò alle cronache per il suo modo poco teutonico di far il comandante: irruento, sprezzante del pericolo, in contraddizione con i comandi militari troppo sedentari e prudenti, sposato alle nuove filosofie moderne della guerra di movimento meccanizzata. Il suo personaggio piaceva e il Nazismo non tardò a usarlo per la sua propaganda. Ma per il principio “do ut des”, ROMMEL si sarebbe concesso in cambio di una campagna militare tutta sua. E la ottenne con la guerra in NORD AFRICA. Una guerra per davvero tutta sua che lo avrebbe consacrato a nuovo Cesare del TERZO REICH.

Quella guerra non era, però, così facile e HITLER dava disponibilità scarse per affrontare gl’Inglesi. ROMMEL era un militare e non un politico, quel tipo di essere diplomatico non gli veniva facile. Già in un anno di permanenza in AFRICA il suo corpo dava evidenti segni di cedimento: non bastava una vita misurata e dedita alla sola guerra. I tira e molla con BERLINO, per ottenere uomini e mezzi, gli crearono stress emotivi che non seppe sopportare. Scriveva spesso alla moglie, sua confidente anche della vita militare. La moglie cercava di rendergli la vita meno spartana: gli spediva degli arredi per i suoi alloggi, lui li accantonava in un deposito in SICILIA, li ritroveranno gli Americani nel luglio del 1943.

 Nelle missive alla moglie si dimostra marito affettuoso e corretto, si tiene minuziosamente al corrente della vita del figlio MANFRED e, da buon padre, rimbrotta quando i risultati scolastici del figlio non sono all’altezza delle sue aspettative.

 Non molla la sua rigidità mascellare, è parco nei commenti negativi verso la GERMANIA mentre facilmente se la prende con i comandi italiani, da lui ritenuti la causa di un esercito italiano male organizzato e peggio comandato. Con i comandanti italiani doveva litigare per ogni cosa, imponeva la sua riorganizzazione e s’imponeva anche in merito all’impiego delle forze corazzate italiane altrimenti gestite alla peggio e che purtroppo contavano su carri armati leggeri, con poca forza di combattimento e un’autonomia di percorso limitata. I soldati italiani erano da lui giudicati come coraggiosi ma inesperti e i loro comandanti “… ne fanno un mediocre impiego”.

 I rapporti tra il suo Stato maggiore e quello italiano, in particolare con il governatore di LIBIA Ettore BASTICO, sono pieni di litigi e aspre discussioni e che non vertono solo su argomenti militari ma anche sul comportamento delle truppe italiane nei confronti dei civili e in particolare con le donne (scendere nei dettagli sulle violenze perpetrate pare fuori luogo in questa sede, si rimanda alla biografia di D. FRASER).

 Tornando su argomentazioni militari, anche i carri armati tedeschi non erano molti ma avevano maggiori prestazioni in combattimento e come autonomia. Il suo Stato maggiore, composto solo da 21 ufficiali e comandato dal generale Alfred GAUSE, di fronte al rifiuto da parte della GERMANIA di fornirne di più, ha escogitato l’espediente di richiedere grandi quantitativi di parti di ricambio così che i carri danneggiati, anche se gravemente, vengono riparati e rimessi in battaglia.

 Spesso lo si descrive come un rigido ufficiale, in realtà fu un soldato estremamente creativo sui modi per combattere e ingannare il nemico: trasformò dei pali telegrafici in finti cannoni antiaerei, fece trainare i mezzi guasti di modo da far credere che le sue colonne siano dotate di molti mezzi, i carri armati trascinavano pezzi di lamiera mentre erano lanciati all’attacco dando così l’effetto che la polvere alzata fosse dovuta ad almeno un numero triplo di carri presenti all’attacco.

 Egli era cosciente del potere della sua immagine e si teneva informato su cosa scriveva la stampa internazionale riguardo le sue imprese in NORD AFRICA.

 Quando arrivava in prima linea era quasi venerato dai suoi ufficiali; di conseguenza sapeva comportarsi per accrescere tale potere d’immagine. Non un solo ufficiale si riservava di scrivere a casa episodi cui aveva assistito e dove ROMMEL ne era protagonista: mangiava il pasto della truppa, beveva solo acqua e raramente il caffè, non fumava e non beveva alcolici, dormiva lo stretto necessario e alle volte seduto dentro al GREIF (il veicolo con cui si spostava lungo la linea del fronte), visitava i feriti negli ospedali, personalmente assegnava ogni decorazione. Era nata una stella a cui gl’Inglesi aggiungeranno un alone di miticità e misticismo guerriero che nel dopoguerra alimenteranno ancor di più (sarà una buona scusa, l’invincibilità della Volpe del deserto, quando nelle biografie personali dovranno giustificare alcuni errori grossolani).

 Lo stesso MONTGOMERY ne esaltava la figura quanto il carattere e lo copre di prestigio militare. Lo fece in tutte quelle occasioni in cui una battaglia in realtà non fu persa solo per colpa di ROMMEL. E questo CHURCHILL lo sapeva bene, per cui sbottò con la frase “La sconfitta è una cosa, la vergogna un’altra”.

 Nel 1943 ROMMEL era sempre più stanco per le battaglie nel deserto e tra gl’uffici del REICH; altre sconfitte di entità minore e amari bocconi ingurgitati, a causa degli stessi alti comandi tedeschi, portarono al feldmaresciallo una serie di malanni che incrinarono l’integrità psicofisica (esaurimenti, alta pressione capace di causargli cefalee e svenimenti).

 Nel corso degli anni si era fatto diversi amici sia tra l’HEER sia nella LUFTWAFFE. Alcune fonti, però, riportano di diversi rapporti tenuti con ufficiali delle WAFFEN SS e tra alcuni dirigenti del partito. Nello stesso tempo diversi ufficiali divennero suoi delatori e in alcuni casi nemici espliciti che non perdevano occasione per dargli problemi di ogni sorta e definendolo “… un ambizioso morboso, patologico” (Generale dello Stato Maggiore, Franz HALDER).

 Finì in una sconfitta totale la guerra personale del nuovo Cesare. L’ultima sua vittoria fu la ritirata ad ovest che permise di non far cadere prigionieri centinaia di migliaia di soldati tedeschi. Non fu però altrettanto generoso nel salvare quelli italiani che la ritirata la fecero a piedi e quindi finirono catturati dagli Inglesi e dagli Americani. Un gesto poco nobile che non gli fu perdonato dagli ufficiali italiani che lo avevano sostenuto.

 Dalla primavera del 43, fino al giugno dello stesso anno, le forze tedesche vennero fatte evacuare in SICILIA per difendere l’ITALIA dato che gli Angloamericani avevano dato via al Piano HUSKY.

 L’immagine del condottiero invincibile venne comunque consacrata, nonostante la sconfitta, oltre che dalla propaganda nazista anche dalla stampa di tutto il mondo. A BERLINO si diede seguito a festeggiamenti e giri di gloria per le piazze di molte città tedesche. Strana cosa, perché fino a ottobre del 43 egli non ricevette nessun comando di pari importanza al suo grado. Intanto la sua salute era stata minata da diverse forme di malattie alle vie respiratorie e che furono sempre giustificate come effetti di una rinite cronica.

 HITLER, richiamandolo in GERMANIA, evitò così che la sconfitta fosse attribuita solo allo stesso ROMMEL. Qualche mese di oblio popolare sarebbero bastati per poi destinarlo al comando della difesa del VALLO ATLANTICO. Ma prima di essere destinato alla NORMANDIA, a ROMMEL spettò una punizione esemplare per i suoi insuccessi.

 Nel settembre dello stesso anno venne inviato in ITALIA, nel VENETO, per provvedere alla cattura, disarmo e deportazione di quasi 500.000 soldati italiani che dopo l’8 settembre avevano deciso di non combattere più a fianco degli alleati germanici.

 E forse qui iniziò la sua analisi interiore se ne fosse valsa la pena, in nome della carriera, l’accettare le volontà di un dittatore e di una nazione accecata dalla guerra e dai suoi trionfalismi ariani.

 In merito a questo argomento, le deportazioni dei soldati italiani nel 43, viene da domandarsi come mai che numerosi suoi biografi, in primis David FRASER, si siano totalmente dimenticati di dedicarvi anche poche righe nelle loro corpulente e didascaliche biografie del feldmaresciallo.

 Pur se non viene menzionata esplicitamente nella sua biografia, WIKIPEDIA ha dedicato una pagina all’OPERAZIONE ACHSE.

 La stessa enciclopedia virtuale riporta [in merito al comando di ROMMEL In ITALIA nel 43] la sua attiva partecipazione al piano di deportazione dei militari italiani:

 

“…In queste circostanze il feldmaresciallo Rommel eseguì il suo compito con velocità ed efficienza, mentre gran parte dei reparti italiani si disgregarono rapidamente offrendo scarsa resistenza; le disposizioni sull'internamento dei militari furono rigidamente eseguite dal Gruppo d'armate B, furono catturati 13.000 ufficiali e 402.000 soldati di cui entro il 20 settembre già 183.300 furono trasferiti in Germania”.

 

 Nonostante che a settembre la visita di un suo fidato amico il medico Karl STROELIN, gli fosse servita per venire a conoscenza delle deportazioni razziali e degli eccidi sul fronte est, questo non indusse minimamente ROMMEL a mettere un freno alla deportazione di militari italiani. A tal proposito, qualcuno ha indicato che tale azione venne da lui diretta, e perpetrata, più come una personale resa dei conti, per la sua visione del tradimento che l’Esercito italiano aveva l’otto settembre attuato contro i Tedeschi, che non una vendetta a quanto era accaduto nel Nord AFRICA.

 Ad ogni conto non si può non escludere che egli pensasse, facendo ciò, di riguadagnare la stima del FUHRER e di non essere escluso dagli ambienti militari, questi molto più di lui convinti di dover dissolvere l’Esercito italiano con tali metodi e strumenti.

 

 Dal novembre del 1943, HITLER lo incaricò di valutare lo stato delle difese esistenti lungo le coste della NORMANDIA e di indicare quali e quante di ulteriori sarebbero state necessarie per impedire lo sbarco di forze nemiche.

 In realtà, l’idea di assegnargli tale incarico, non venne al FUHRER ma al generale Alfred JODL che aveva in carico il comando supremo dell’Esercito tedesco.

 Dopo due settimane di ispezioni continue, dal nord dell’EUROPA fino al nord della FRANCIA (Penisola di COTENTIN), ROMMEL fece una relazione scritta quanto mai negativa e altrettanto inclemente verso i lavori svolti in precedenza. Tanto da mettere in cattiva luce l’altro comandante presente in FRANCIA: il generale Gerd Von RUNDSTEDT.

 Le fortificazioni realizzate erano poche, solo in alcuni casi armate in modo fisso. Poi la scarsa presenza di truppe che avrebbero dovuto respingere il nemico già dalla prima fase di un ipotetico sbarco.

 L’assenza dell’aviazione non avrebbe fatto altro che confermare la necessità di fermare chiunque già sulla spiaggia, scartando l’ipotesi strategica di Gerd Von RUNDSTEDT. Questi sosteneva di attuare una posizione “elastica” disponendo all’interno le forze corazzate mobili e anche parte di quelle fisse.

 Se fino all’estate del 43, ROMMEL, mai diede segni di dubbio sulla vittoria sicura della GERMANIA, qualcosa cambiò nella mente e nella coscienza del maresciallo. Testimonianze postume, tra cui quella del maggiore Hans Von LUCK, affermarono che ROMMEL esternò in più occasioni le sue paure per una sconfitta su ambedue i fronti.

 La presenza in NORMANDIA, nel periodo tra novembre 43 e giugno 44, furono forse il momento in cui totalmente mutò nella visione futura del conflitto mondiale e, soprattutto, s’innescò nella sua coscienza un cambiamento radicale del suo rapporto con Adolf HITLER.

Nella lettura di varie fonti, ma sempre in merito allo stesso periodo, è sempre più evidente che la perdita del controllo della situazione, da parte di HITLER, dei diversi livelli militari ed esponenti del partito, furono per ROMMEL il segnale che ormai la sconfitta totale sarebbe stata questione di pochi mesi.

 Andando in dettaglio, per rendere effettiva tale ipotesi, è utile ripercorrere alcuni momenti e fatti del suo incarico in NORMANDIA.

 

 Rommel non amava PARIGI e non approvava lo stile comportamentale che la città induceva nel comando militare. Troppi diversivi di vario genere (un attendente dichiarò che i generali conoscevano meglio la planimetria della città e gl’indirizzi delle sue case di appuntamento che non quella della costa francese) erano secondo lui la causa di un lassismo generale. Nelle poche volte che incontrò Von RUNDSTEDT, a PARIGI presso l’hotel GEORGE V, ebbe modo di riscontrare quanto fosse vera la diceria che il generale era facile ai liquori e a tenere un atteggiamento di apatica indifferenza di fronte alla situazione militare di un possibile sbarco nemico.

 Decise quindi di stabilire il suo quartier generale a CHATEAU LA ROCHE GUYON, in NORMANDIA.

 La magione, residenza dei duchi di LA ROCHE FOUCAULD, era a 60 km dalla capitale e con un paesino di solo 500 anime per nulla belligeranti; gli venne suggerita dal suo attendente, il vice ammiraglio Friedrich RUGE.

 Se ROMMEL, nell’atmosfera bucolica del castello, aveva ben chiaro come organizzare l’ordine gerarchico e operativo per le difese della costa, a BERLINO le cose non erano altrettanto chiare e ben organizzate. In parte, questa disorganizzazione, era tipica della concezione tedesca nella distribuzione dei poteri e in parte era una pecca storica generata dagli odi e dalle ostilità interne alle diverse armi.

 A peggiorare la confusione dei comandi, ci si mise lo stesso HITLER e l’OKW che presero l’andazzo di assegnare poteri “a metà”. E così ROMMEL non ebbe mai chiari i limiti del suo potere, non poté contare sulla collaborazione di Von RUNDSTEDT.

 A rendere quanto mai caotica la situazione, ecco HITLER porsi da giudice durante le dispute tra ROMMEL E Von RUNDSTEDT.

 Spesso, nelle varie biografie dedicate al feldmaresciallo, non si tratta mai un argomento che ancora oggi non ha tutti i contorni definiti e coincidente con il suo periodo in NORMANDIA.

 ROMMEL fu accusato di aver partecipato (non fisicamente ma moralmente) all’attentato del 20 luglio contro HITLER. Ma su questo evento non si è mai giunti ad una conclusione e cioè: fece parte, o meno, del complotto di uccidere il FUHRER e firmare una resa con gli Angloamericani?

 Forse la risposta non si saprà mai e la ragione è la seguente. Si sa che ROMMEL teneva una rete di contatti con i vari generali dell’HEER, specialmente con quelli che erano operativi nell’OSTFRONT.

 Eppure non è giunta a noi benché minima traccia della documentazione epistolare di quel periodo, così come stralcio dei colloqui con gli alti papaveri dell’esercito nelle sue visite a BERLINO. Dopo la sua morte, qualsiasi documento o testimonianza pare essersi volatilizzata: forse da lui stesso distrutta, forse fatta sparire da qualche suo collaboratore per non svelare nomi e fatti, forse e più semplicemente finita nelle mani di HITLER e della GESTAPO.

 Sarebbe utile ritrovare quei documenti per capire quali fossero le sue idee in merito alle vicende militari e soprattutto politiche di quel 1944. E forse chiarirebbe se lui fece parte della congiura o vi fu coinvolto accidentalmente.

 Resta ancora più dubbia la sua personalità arrendevole durante gl’incontri con HITLER e così descritta da molti ufficiali di allora. Sempre meno credibile allora, man mano che il mosaico della sua personalità si ricompone, un ROMMEL lontano dalla realtà e vittima inconsapevole delle situazioni più assurde che ruotavano nell’entourage di HITLER.

 Quanto accadde dal 6 giugno del 1944 fino alla sua morte sarà oggetto di un successivo articolo in quanto che furono mesi cruciali per la vita della Volpe del deserto e per l’intera GERMANIA e nel piccolo di queste trattazioni si desidera evitare approsimativismi storici che purtroppo non hanno aiutato a comprendere la STORIA passata.

 La colpa è sicuramente da addebitare a ragioni politiche e di propaganda, dalla divisione della GERMANIA al periodo della Guerra Fredda, ma in gran parte a storici che furono convinti a prendersi la briga di pubblicare scritti poco veritieri e con troppe conclusioni affrettate. A peggiorare il livello informativo, il proliferare di documentari storici dove ci si è più preoccupati di crearne un mito modaiolo invece di mettere a nudo il passato e la figura di Erwin ROMMEL.

 

 

 

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.

 

 

 

Il feldmaresciallo Erwin ROMMEL in una foto di archivio.
(Bundesarchiv Bild 146-1973-012-43)

 

 

Un rara immagine di ROMMEL: indossa un elmetto ma solo per ragioni di parata, Parigi 1940.

(Bundesarchiv Bild 146-1070-076-43)

 

ROMMEL in pieno deserto nel 1943.

(Bundesarchiv Bild 101I-785-0287-08 CC-BY-SA)

 

Una rara immagine del feldmaresciallo in tenuta leggera.

Bundesarchiv CC-BY-SA

 

Il famoso semovente Schützenpanzer Sd.Kfz. 250/3 "Greif" tramite il quale ROMMEL si spostava lungo il fronte del nord Africa.

Bundesarchiv Bild 101I-784-0249-04A

 

ROMMEL al centro della foto, Alfred GAUSE a destra i primo piano.

Bundesarchiv, Bild 183-1982-0927-502 / Moosmüller / CC-BY-SA

 

La famiglia di ROMMEL: il figlio Manfred e la moglie Lucie.

 

Con il figlio Manfred (data sconosciuta).

 

Gerd Von RUNDSTEDT e ROMMEL nel marzo del 1944.

Bundesarchiv, Bild 1011-298-1763-09

 

ROMMEL passa in rassegna volontari della Legione Freies Indien presente in Normandia nel 1944.

Bundesarchiv, Bild 183J16796.

 

James MASON nel film “La Volpe del Deserto“ del 1951.

(WIKIPEDIA source)

 

 

 

Bibliografia essenziale ma non esaustiva

- Correlli Barnett “I generali di Hitler”. BUR, 1998.

- Irving David “La pista della volpe”. Mondadori, 1978.

- David Fraser “Rommel, l’ambiguità di un soldato”. Mondadori, 1996.

- Max Hastings “Apocalisse tedesca”. Mondadori, 2006.

- B.H. Liddell Hart “Storia di una sconfitta”. Rizzoli, 1971.

- Ralf Georg Reuth “Rommel, fine di una leggenda”. Lindau, 2006.

- Erwin Rommel “Guerra senza odio”. Garzanti, 1959.

 

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