NISE, Federico Cavann@ in Genova "work-shop" 2014

D-DAY 1944, Le fortificazioni tedesche.

POINTE DU HOC (Settore CHARLIE di OMAHA BEACH)

BUNKER 636

Modellismo

Pittura e grafica

Cinefoto

Genova per Noi

 

 

 

Mappa del campo di battaglia, con le postazioni nemiche e le zone della presunta posizione dell'artiglieria tedesca (WIKIPEDIA source).

 

 

 La storia, della missione di POINTE DU HOC, è ormai conosciuta da chi è interessato al D-DAY.

 Fu un gesto eroico che però non ebbe l’esito sperato. Il 2º e il 5º Battaglione Ranger (le unità del 75º Reggimento impiegate nella missione) avevano l’obiettivo di formare una testa di ponte per accedere nell'entroterra francese, con un raggio profondo circa sei chilometri, e di poter quindi arrivare fino alla località di ISIGNY-SUR-MER. Sulla cima della scogliera, a pochi chilometri a ovest dall’obiettivo di OMAHA BEACH, i Tedeschi avevano costruito una fortificazione con cinque cannoni francesi da 155 mm, con i quali avrebbero potuto decimare le unità americane durante lo sbarco a OMAHA e anche a UTAH BEACH. I cannoni in questione avevano un raggio d'azione di più di 20 km e il peso di svariate tonnellate, cannoni di tipo navale dalla potenza considerevole. I Ranger dovevano neutralizzare l'artiglieria tedesca prima che cominciasse ad aprire il fuoco sulla spiaggia di OMAHA, se no lo sbarco si sarebbe trasformato in una tragedia. Tra aprile e maggio dello stesso anno, i Tedeschi disposero diverse difese sulla scogliera tra cui quattro mitragliatrici, due di esse protette in casematte di cemento. Fu costruito un fitto dedalo di trincee che permettevano la difesa, della scogliera e dei bunker, anche con il combattimento di uomini soli o gruppi costituiti da pochi elementi. Gli Americani scelsero quindi di attaccare dal mare e non dall’entroterra, secondo loro il nemico mai si sarebbe aspettato un assalto anfibio diretto proprio per via dell'alta scogliera e delle scarse probabilità di successo.

 POINTE DU HOC non fu colpita solo dai bombardamenti antecedenti il giorno dell’invasione (Operazione OVERLORD). Per mesi gli inglesi bombardarono la costa e si concentrarono sugli obiettivi reali dell'invasione; scatenarono, nella notte tra il 5 e il 6 giugno, un ulteriore fuoco distruttivo. Dalle ore H-40 del D-DAY, la nave TEXAS aprì il fuoco dei suoi cannoni sulle difese della scogliera e alle ore H-20 un ultimo pesante bombardamento fu compiuto.

 La mattina del sei giugno l’arrivo dei Ranger con i mezzi da sbarco, sulla spiaggia alla base della falesia, fu complicato dalle cattive condizioni atmosferiche e da un insufficiente fuoco di copertura.

 L'attraversamento della battigia costò le prime vittime, la maggior parte causate dalle mitragliatrici sopra le loro teste. I crateri sulla spiaggia, e alle falde della scogliera, impedirono lo sbarco di munizioni e del supporto logistico alla fanteria (gran parte dell’equipaggiamento, progettato per la missione, non giunse sulla spiaggia e il poco che arrivò si dimostrò inutile) ma si rivelarono un’ottima protezione dal fuoco nemico. I bombardamenti “ammorbidirono” il crinale della scogliera favorendo i difensori, in un primo tempo, i quali potevano colpire meglio gli Americani ma, nel contempo, diminuirono l'altezza della scogliera stessa. I primi Ranger a giungere in cima al dirupo, issandosi su con delle corde e delle scale, trovarono riparo dentro ai crateri del bombardamento inglese. Appena trenta minuti dopo aver raggiunto la spiaggia, tutti i Ranger sopravvissuti erano già giunti in cima, pronti a completare gli obiettivi loro assegnati.

 Una volta scalata la scogliera, lo scenario che si mostrò, ai Ranger, fu di una completa devastazione, era quasi irriconoscibile il paesaggio che i soldati americani avevano studiato per mesi tramite delle foto aeree. Oltre a ciò, i movimenti dei Ranger furono caotici a causa dello stile con cui condussero la battaglia: man mano che giungevano all'apice della scogliera, si infiltravano subito tra le linee nemiche a squadre o al massimo a plotoni senza attendere che i propri compagni li raggiungessero. La Compagnia E doveva conquistare il punto di osservazione tedesco, identificato come Bunker 636. I primi Ranger che vi arrivarono non trovarono una dura resistenza, tranne che al Bunker 636 e verso le postazioni delle mitragliatrici. Una volta soppressa la resistenza dal punto di osservazione, si prospettò il problema d’identificare gli obiettivi stessi: le batterie d'artiglieria con i cannoni da 155 mm. I cinque bunker furono individuati e fu spenta la flebile resistenza di alcuni artiglieri. Ma una drammatica sorpresa li attendeva: i cinque pezzi da 155mm, infatti, erano stati spostati dal nemico proprio prima dei pesanti bombardamenti.

 

Visuale dall’alto di POINTE DU HOC ottenuta tramite GOOGLE MAPS. La freccia indica la posizione del bunker 636.

 

 

Vista laterale del bunker 636 che sovrasta POINTE DU HOC. Dopo la guerra parte del terreno è stato sbancato per realizzare un camminamento panoramico (Foto De Lorenzo Longo).

La medesima angolazione fotografica ma lo scatto è del giugno 1944 (foto d’epoca).

Parte superiore del bunker 636 (Vedere lettera C) utilizzata per gli avvistamenti aerei (Foto De Lorenzo Longo).

Piazzale interno della struttura (vedere lettera A). Il bunker negli ultimi anni è stato temporaneamente chiuso al pubblico per ragioni di sicurezza (Foto De Lorenzo Longo).

Prima camera d’ingresso (Vedere lettera B) la cui porta è sicuramente stata aggiunta dopo il conflitto. Se ve ne fosse stata una, elemento non certo, sarebbe stata dotata dei blocchi di serraggio e della feritoia di sicurezza (Foto De Lorenzo Longo).

Soffitto della camera del punto B. Si nota che il soffitto era coperto con assi di legno che è bruciato, sulla destra una presa d’aria (Foto De Lorenzo Longo).

La foto sopra e la foto in basso a destra, mostrano la feritoia, dall’interno, presente nel Punto E. La foto in alto a destra mostra la stessa feritoia ma dall’esterno (Foto De Lorenzo Longo).

 

 

 

 

Facendo riferimento allo schema del Bunker 636, ecco la visuale dal punto F.

La prima foto in alto a sinistra mostra il punto di osservazione da fuori, la foto in basso a destra è dall’interno della postazione di osservazione (Foto De Lorenzo Longo).

La foto sopra riprende, il sei giugno del 1984, Ronald Reagan e la sua consorte in visita la Bunker 636 in occasione del quarantesimo annivesario dello sbarco in Normandia (autore sconosciuto).

Uno dei tanti crateri prodotti dal bombardamento inglese e precedente allo sbarco del sei giugno. Alcuni di questi crateri arrivano a profondità di diversi metri con un diametro intorno ai 10 - 12 metri (Foto De Lorenzo Longo).

Gli effetti di un bombardamento si possono vedere nei danni subiti da questa postazione tipo “Tobruk”. Per dare una misura complessiva, su Point edu Hoc furono scaricati dieci chiloton di esplosivo (Foto De Lorenzo Longo).

Le foto dell’epoca mostrano gli effetti distruttivi del fuoco aereo e navale che tempestò il promontorio sulla falesia di Pointe du Hoc. Nella foto a destra si può vedere come avvenne la scalata della parete da parte dei Ranger (Foto Archivio NARA)

 

 La scarpata era alta una trentina di metri, locata a ovest del canale di risalita di VIERVILLE.

 Alla base della scarpata i Ranger furono fuori della portata delle armi tedesche ma non dei loro mortai e delle bombe a mano.Specie queste ultime si rivelarono un vero incubo. Il soldato Michael GARGAS, quando ne arrivava una sulle loro teste, gridava “Attenti rgazzi, arriva un altro schiacciapatate!”.

 I primi soldati, ad arrivare in cima alla scogliera, furono quelli della Compagnia C. La scalata avvenne con il solo aiuto delle baionette che in ogni fenditura della roccia furono usate come appigli. Fu la disperazione di dover morire, senza poter reagire, che infuse loro coraggio.

 

Un paesaggio quanto mai suggestivo della falesia nelle condizioni attuali. Parte del profilo della stessa fu modificato dagli effetti dei bombardamenti aerei e di quelli navali. Successivamente al conflitto, una parte venne ulteriormente modifica per essere messa in sicurezza. Lo spazio effettivo tra il Bunker 636 e il dirupo si è così drasticamente ridotto (Foto De Lorenzo Longo).

 

Nel 1954, il colonnello Rudder, ritornò insieme al figlio quattordicenne proprio su quella scogliera. Il suo commentò fu quanto mai emblematico per rappresentare quella missione

“Qualcuno mi spiega come ci siamo riusciti? Solo un pazzo avrebbe potuto provarci: era da pazzi allora, è da pazzi adesso” (Foto De Lorenzo Longo).

 

Nelle prossimità dei bunker di Pointe du Hoc, vi sono dei rifugi a vista che erano stati costruiti per il deposito di materiali (Foto De Lorenzo Longo).

Un sottufficiale canadese mentre ispezionava il ricovero di un Goliath. Questo piccolo carro armato tedesco era un mezzo cingolato a propulsione elettrica (alcuni modelli erano però dotati di motore a scoppio) di piccolissime dimensioni, con al suo interno dell’esplosivo e che era teleguidabile per una distanza di diverse centinaia di metri. Anche a Pointe du Hoc ne furono di certo rinvenuti alcuni esemplari (Foto archivio NARA).

 

Uno dei bunker che avrebbero dovuto alloggiare i cannoni da 155 mm. Quando i primi Ranger li raggiunsero, scoprirono che, al posto dei cannoni, vi erano dei pali del telegrafo. Ma dei binari, che si estendevano nell’entroterra, fecero loro capire che i veri cannoni non si dovevano trovare troppo distanti da quel punto (Foto De Lorenzo Longo).

Questa immagine è quanto mai eloquente nel mostrare come un bunker, per cannone fisso, fosse stato adattato alla meglio per un cannone anticarro mobile del tipo PAK 40 da 7,5 cm di calibro

(foto archivio storico).

Vista generale di Pointe du Hoc con i sentieri che conduono all’obelisco commemorativo per i Ranger che morirono durante lo sbarco del sei giugno (Foto De Lorenzo Longo).

La lapide alla base dell’obelisco ricorda i nomi di tutti ranger che morirono quel giorno, restano scolpiti nella pietra di Pointe du Hoc e nella storia del D-Day (Foto De Lorenzo Longo).

 

 

 

Si ringraziano:

- Lucia De Lorenzo e Giorgio Longo per aver gentilmente concesso l’uso del materiale fotografico (proprietà e diritti riservati).

 

Riferimenti storici:

- US ARMY CENTER OF MILITARY HISTORY (http://www.history.army.mil/).

- Stephen E. Ambrose “D-DAY. Storia dello sbarco in Normandia”. Edizioni BUR, 2006.

 

 

 

 

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