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NISE, Federico Cavann@ in Genova "work-shop"
2014 UTAH BEACH Storia dello sbarco D-DAY 1944, Lo sbarco in Normandia -
“Operazione OVERLORD”. Introduzione allo sbarco, i bombardamenti e
i lanci dei parà americani (Prima parte) Agosto 2014 |
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Prima Parte |
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Introduzione allo sbarco Tra
i comuni di SAINTE-MARIE-DU-MONT, e SAINT-
MARTIN-DE-VAREVILLE si trova la spiaggia più occidentale in cui si è
combattuto il D-DAY. Per arrivarci si passa attraverso la
classica campagna normanna dove, campi e vegetazione fitta, si alternano con
una continuità quasi snervante. La spiaggia in questione ebbe il nome in
codice di UTAH BEACH:, una distesa di sabbia che separa il mare dalla
campagna del BOCAGE. Le difese costiere tedesche pare fossero
identiche alle difese posizionate ad OMAHA BEACH
(1); vi era però un rilievo costiero differente: non essendovi un dislivello
pronunciato, su cui erigere bunker per grossi calibri, ne furono costruiti di
dimensioni e corazzatura minori rispetto a quelli presenti sia OMAHA BEACH
sia a POINTE DU HOC. Buona parte dello sbarramento antisbarco era
formata da una serie di ostacoli anfibi collocati nei punti di bassa marea;
vi era poi un muro anticarro dell’altezza di circa un metro e mezzo, in più
altri ostacoli furono quelli posti direttamente tra la spiaggia e i campi (Cavalli di Frisia, reticolati incrociati,
lanciafiamme). Dietro il muro naturale di dune furono
costruite postazioni d'artiglieria leggera e di mitragliatrici tramite dei
bunker in cemento armato di piccole dimensioni. Altre postazioni, meno fortificate, furono
realizzate con terrapieni armati in legno e poi inspessiti con terra e
sabbia. I bunker e le postazioni a cielo aperto
erano collegati con una serie di trincee tramite cui i soldati tedeschi
potevano sparare direttamente sulla spiaggia e muoversi protetti rispetto al
fuoco proveniente dal mare. Il numero di soldati a difesa di UTAH BEACH era
costituito da un migliaio di elementi, numero decisamente
basso rispetto ad altri capisaldi ma ciò si spiega con il fatto che il
Comando tedesco non era in grado di coprire un così lungo tratto esposto di
costa; ROMMEL confidava che i campi allagati dietro la spiaggia avrebbero
dissuaso gli Angloamericani dal tentare di sbarcare e invadere la parte ovest
della NORMANDIA, sicuro che sarebbe stato più logico, anche per loro, tentare
di attaccare direttamente un porto come CHERBOURG. Lungo le quattro uscite dalla
spiaggia vi erano diverse postazioni di mitragliatrici e a circa tre
chilometri dal mare furono posizionate delle
batterie costiere, soprattutto presso CRISBECQ e SAINT-MARTIN-DE-VARREVILLE. Nonostante la spiaggia non fosse presidiata
che dalla sola 709. Infanterie-Division, comandata
dal Generalleutnant Karl-Wilhelm
von SCHLIEBEN, non si deve supporre, come in alcuni testi è indicato, che le
forze tedesche furono “passive e inerti” all’attacco americano, lasciando
troppo velocemente terreno. Deve essere riconosciuto il valore
dell’operazione che combinò il lancio di paracadutisti nelle retrovie con lo
sbarco dal mare di fanteria e mezzi corazzati cingolata.
Il solo attacco dal mare avrebbe comportato tempi di avanzata più lunghi e maggiori perdite. Se le forze tedesche, presenti sulla
spiaggia, furono in un numero di poche centinaia di soldati, questo non
avrebbe potuto impedire l’afflusso di riserve dall’interno o, comunque, il
soccorso di nuove forze di artiglieria; se ciò non avvenne
fu in parte grazie all’azione combinata terra – mare degli Americani. La
lentezza di risposta e la mancanza di un piano articolato di difesa furono il
frutto di errori macroscopici commessi, da parte
dell’Alto comando tedesco, sin dal 1942. Questo dettaglio rende ancora più positivo
il risultato finale dello sbarco perché le perdite umane, fra gli Americani,
furono inferiori a quelle stimate in sede di sviluppo del piano d’invasione. Lo sbarco sulla spiaggia in questione fu
deciso congiuntamente dagli Alleati a fronte delle forti pressioni esercitate
da parte del Comandante supremo Dwight EISENHOWER e il comando americano
verso gli Inglesi. Egli sosteneva che non era possibile
attaccare e conquistare, integro, un porto sulla MANICA. Al primo sentore di
attacco, i Tedeschi avrebbero demolito le banchine, del porto, con cariche
esplosive rendendo quindi inutile l’attacco stesso
degli avversari. Si doveva allora conquistare CHERBOURG
tramite una campagna terrestre che sarebbe parsa, ai Tedeschi stessi, un
rischio elevato in quanto a perdite umane sul campo. Fu disposto un piano in due fasi: la prima
prevedeva il lancio di paracadutisti, della 101ª e dell’82ª Divisioni
aviotrasportate, che sarebbero atterrati nelle campagne alle spalle della
spiaggia (quindi da sud); i lanci
sarebbero iniziati nella notte tra il 5 giugno e il restante 6 giugno (Operazioni
“DETROIT” e “CHICAGO”). EISENHOWER in persona si recò presso la base
della ROYAL AIR FORCE a GREENHAM COMMON in
INGHILTERRA. Tre ore prima che gli uomini della 101a
salissero a bordo dei loro aerei, per partecipare al primo assalto
dell’ondata di invasione del continente europeo,
andò tra loro per incoraggiarli e per impartire un solo ordine "Vittoria
completa - Nient'altro”. La seconda fase sarebbe iniziata il sei
giugno con un bombardamento prima aereo e poi navale direttamente contro la
spiaggia verso le 4:30, cui sarebbe seguito alle 6:30 (ora H) lo sbarco della 4ª Divisione di fanteria. Al congiungersi delle due fasi gli Americani
avrebbero dovuto conquistare la spiaggia e aprire quattro vie di
comunicazione per raggiungere la città di CARENTAN e poter avanzare verso le
città di BAYEUX e CAEN, queste due risultavano essere
nodi vitali per unire le forze americane sbarcate a UTAH e OMAHA con quelle
inglesi e canadesi sbarcate a SWORD – JUNO – GOLD. Nella visione complessiva del presente
articolo non saranno trattati gli aspetti riguardanti la Campagna di
Normandia rispetto agli altri fronti. Occorre, però, dare prima alcune
puntualizzazioni per poter poi comprendere gli elementi che interagirono con
l’OPERAZIONE OVERLORD. Nell’est europeo, STALIN non riusciva a
spingere il fronte verso occidente in quanto che, la
forza tedesca, li era ancora viva ed efficace nel contrastare l’Armata Rossa. Nel Pacifico gli Americani erano in grado di
contrastare efficacemente i Giapponesi, attendevano quindi di concludere la guerra in EUROPA per poi aumentare il numero
di effettivi e mezzi per sconfiggere definitivamente l’armata dell’Impero del
Sol Levante. In ITALIA la situazione era volutamente
mossa a rilento, in questo modo si obbligava HITLER a dover inviare truppe e
risorse che sarebbero quindi state distolte dai due fronti più importanti. In merito alla Campagna di Normandia, alla
GERMANIA si possono imputare alcuni errori significativi
che, se fossero stati evitati a tempo debito, avrebbero garantito di poter
prolungare la guerra e quindi poter proporre la pace separata con gli
Angloamericani. Si possono quantificare tre errori
fondamentali da parte dell’Alto Comando Tedesco. Il primo errore fu di non costituire
un alto comando indipendente per il solo fronte nord-ovest, la cui
organizzazione non doveva quindi essere passiva e alle dipendenze dirette di
HITLER o del suo entourage di marescialli e generali; il suo comandante
supremo sarebbe stato rappresentato in una figura al pari di quella di
EISENHOWER e capace di coordinare le varie specialità della WERHMACHT (esercito, marina, aviazione e corpi
speciali). Mancarono questi due primi elementi,
sostituiti dal OBERST BEFEHLSHABER WEST (OBW) il cui
comando fu assegnato al Feldmaresciallo Gerd von
RUNDSTEDT. Ma l’OBW non aveva potere e controllo
sulle varie specialità e nemmeno sulla fanteria nel suo complesso (7).
L’ingerenza del FUHRER fu talmente nefasta che compromise
anche le mosse giuste che lo stesso RUNDSTEDT aveva pianificato prima del
1943 (4). L’introduzione della figura del Feldmaresciallo Erwin ROMMEL, la cui carica e relativi poteri non erano stati
distinti rispetto a quelli di RUNDSTEDT, in parte peggiorò la situazione
specie nella collaborazione tra gli stessi alti ufficiali presenti in
FRANCIA. Secondo errore fu quello
di creare una forza statica difensiva, tramite il VALLO ATLANTICO, per
contrastare una potenziale invasione angloamericana che di certo sarebbe
stata caratterizzata da una forte dinamicità. Pur se per primo lo stesso
HITLER doveva i suoi successi militari all’altrettanto grande dinamicità
delle sue forze armate, e lui stesso era consapevole che le difese fisse come
la LINEA MAGINOT non erano in grado di essere
fondamentali nella guerra moderna, dal 1942 in poi, con la Direttiva n°40*,
iniziò a disporre per la costruzione di un sistema di fortificazioni
statiche. Dalla NORVEGIA fino alla SPAGNA,
questo muro di cemento e armi, avrebbe dovuto proteggere la GERMANIA sul
fronte occidentale per una lunghezza complessiva di oltre 6500 km di coste. Le fortificazioni realizzate furono più di
15000, bunker di ogni tipo e dimensione (ne
furono standardizzati oltre 500 modelli) il cui costo fu già
incalcolabile al solo livello economico, peggio sottrasse
risorse di ogni genere che sicuramente sarebbero state più utili per la
produzione di mezzi e per rinforzare solo determinati settori molto più
strategici. Era un complesso sistema di difesa, come lo
stesso RUNDSTEDT aveva più volte e apertamente criticato, che avrebbe
impegnato, una volta terminato se mai ci si fosse
riusciti, non meno di 100 soldati effettivi per ogni chilometro di costa. Infine terzo errore critico, mentre gli
Angloamericani si prepararono all’invasione anche sotto l’aspetto tecnologico
e logistico con particolare attenzione alle comunicazioni, i Tedeschi non si
fecero cura di migliorare le loro armi pesanti e leggere, non furono
progettati e prodotti equipaggiamenti più utili al tipo di guerra che ormai
si praticava. Furono messi a difesa della costa
soldati con uniformi ormai progettate più di vent’anni prima, con armi di
recupero ed equipaggiamenti che già allora erano criticabili in molti
aspetti. (*) Il 23 marzo del 1942, nella direttiva di guerra n. 40, Adolf HITLER definiva i principi fondamentali che avrebbero costituito la fisionomia di una delle più immense opere di architettura militare mai realizzate: il Vallo Atlantico. Estesa per 6500 Km di costa, da Capo Nord ai Pirenei, 7 paesi attraversati (incluse le britanniche Channel Islands), 13 milioni di metri cubi di cemento, 334 mila operai (prigionieri o deportati), per un totale di circa 15.000 costruzioni strategicamente disposte a difesa del fronte occidentale. |
La mappa principale della situazione delle
posizioni tedesche nel giugno del 1944 a UTAH Beach (Museo UTAH BEACH, 2014) Mappa in dotazione alle truppe della 4a Divisione
di Fanteria Americana con la posizione dei WN Presenti lungo il litorale di UTAH BEACH (Mappa
originale) Questa mappa è esposta presso il Museo di UTAH e
indica le posizioni esatte di dove si trovavano i nidi di resistenza (WN)tedeschi. Le rilevazioni sono state eseguite dopo la
guerra, molti di questi WN sono stati smantellati e solo negli ultimi anni si
è iniziata la fase di recupero di quelli rimasti. Il feldmaresciallo ROMMEL ispeziona il VALLO
ATLANTICO. Il mitragliere in primo piano appartiene a un OST BATTALION,
riconoscibile dalle mostrine sul colletto (copyright sconosciuto) RUNDSTEDT e ROMMEL nel marzo del 1944 (Bundesarchiv, Bild
1011-298-1763-09) Paracadutisti della 101a Divisione AIRBORNE al
D-DAY +1. La foto fu necessaria per ragioni di propaganda. Notare, infatti, che
solo il soldato, che tiene il trofeo nazista, ha il viso annerito mentre i
restanti soldati (stranamente tutti
perfettamente rasati) hanno divise immacolate e
sono ben armati come da “corredo militare”, dettaglio che contrasta con
quanto accadde nei primi giorni. Notare infine il soldato, a destra,
impugnare un machete, arma decisamente non
regolamentata per il D-DAY e che raramente si vedrà sul fronte europeo (NARA Archive) UTAH BEACH occupata dalle truppe americane,
notare che il muro anticarro è stato praticamente
demolito in ogni punto (NARA Archive) |
I
bombardamenti e i lanci dei parà americani Se grave fu l’ostinazione di HITLER, nel
tentare la realizzazione del Vallo Atlantico, peggio fu la sua organizzazione
e gestione. Era un sistema di difesa statica, gestito da
pochi ufficiali e da soldati troppo anziani o troppo giovani, in molti casi arruolati
a forza tra i prigionieri di guerra (5). Coloro che avrebbero dovuto combattervi
furono poco addestrati alla guerra di posizione, sottovalutata dagli stessi
ufficiali tedeschi al punto di programmare fasi di addestramento sporadiche e
non troppo impegnative preferendo che i soldati fossero utilizzati nel posizionamento di mine e filo spinato. Di questo fece
esperienza diretta il tenente Arthur JAHNKE il quale, durante un’ispezione di
ROMMEL al WN 5, dovette mostrare al feldmaresciallo che le sue mani erano
rovinate dal filo spinato, visto quanto ne aveva steso tra le trincee, invece
che esserlo per le esercitazioni svolte (3). Se in NORVEGIA, o in OLANDA, si potevano
trovare bunker con cannoni navali, in molti punti la difesa era garantita da
un’improvvisata trincea e da qualche mitragliatrice. Le singole unità
fortificate, presenti sulla costa, non furono mai dotate di efficaci e sicuri
sistemi di comunicazione con i comandi posti nell’entroterra, così come la
logistica di rifornimento fu trascurata basandola ancora sul trasporto
ippotrainato e l’assenza di un sistema viario monitorato e adeguatamente
sorvegliato. Una certa rigidità della difesa in occidente
però, secondo HARRISON, fu necessaria a seguito di considerazioni puramente
militari. Era essenziale per tenere gli Alleati a
distanza dalle aree critiche industriali della GERMANIA ed era auspicabile
sfruttare la posizione di forza offerta da una barriera naturale, qual era lo
stretto della Manica. Questi
argomenti militari a favore di un presidio fortificato presso la linea di
costa, tuttavia, sono stati oggetto di molta interpretazione, e la rigidità è
parsa dettata solo in conseguenza del fatto che vi fosse una linea
fortificata statica. La decisione di costruire il VALLO ATLANTICO fu la prima ammissione, da parte dei più validi comandanti tedeschi, che i principi di “difesa elastica”, applicati con successo dai Russi nei loro vasti territori, non potevano essere adottati in occidente e che in fondo le armate tedesche in occidente dovevano restare su una linea fissa. Non
c'è mai stato alcun dibattito, all’interno dell’establishment
tedesco, sulla necessità di rendere questa linea la più massiccia possibile
attraverso la costruzione di un sistema di fortificazioni permanenti e di
campo. Una certa letteratura, post-bellica, ha
cavalcato il freddo rapporto che vi era tra RUNDSTEDT e ROMMEL, elaborando
così la leggenda per cui il primo optava per una
linea di difesa esclusivamente mobile ben poco fortificata e arretrata
mentre, il secondo, attuava ciecamente i voleri di HITLER pur perorando la
sua teoria del fermare sulle spiagge gli avversari. Il
vero dibattito tra i comandanti della WEHRMACHT riguardava solo come la linea
si sarebbe dovuta tenere: come fermare il nemico sulla linea stessa, dove le
riserve dovevano essere dislocate e come impiegarle (8). I bombardamenti angloamericani furono
pianificati per destabilizzare emotivamente
l’esercito avversario, impedirne gli spostamenti diurni prima dello sbarco e
rendere impossibile il trasporto di mezzi, munizioni e provviste alimentari.
Con la massima attenzione non dovevano però essere colpiti, oltre ai centri
abitati, le scarse reti ferroviarie, le strade e i ponti. In merito al bombardamento aereo di UTATH
BEACH, iniziato alle ore 2:00 del sei giugno, occorre porre delle note circa
la poca precisione con cui i 360 MARTIN B-26 MARAUDER riversarono le
tonnellate di bombe previste. Le critiche che sono state per molti anni
mosse, contro l’USA AIR FORCE, descrivevano un bombardamento non mirato, a
quote troppo elevate e in un orario in cui la scarsa luce diurna peggiorava
il già poco attento lavoro dei puntatori. Molte di queste critiche non hanno mai avuto
un fondamento, spesso più dettate da una specie di rivendicazione assurda
relativa allo scarso impegno che i bombardieri, e i loro equipaggi, infusero
durante tutto il D-DAY (1). In quei giorni le missioni per bombardare la
costa furono frequenti oltre ogni limite umano, piloti ed equipaggi si
alzavano in volo dalle coste inglesi anche per quattro missioni giornaliere e
di certo, ognuna, comportava il rischio di essere abbattuti. Il traffico aereo alleato era altissimo,
imponendo corridoi per le incursioni molto stretti e per tempi di volo molto
brevi; conseguentemente i piloti passavano sugli obiettivi a velocità
sostenute e il tempo per i puntatori di bordo si riduceva a pochi secondi.
Inevitabile che gran parte delle incursioni non cogliesse alla precisione gli
obiettivi e, in alcuni casi, mancandoli clamorosamente. Quando i cannoni della contraerea tedesca
aprivano il fuoco, non vi era la possibilità di ritornare sull’obiettivo a
quote più basse. I piloti avevano sia l’onere di garantirsi la vita salva, e
di riportare indietro il velivolo, sia di compiere la loro missione; pertanto
l’urgenza era di sganciare bombe e poi, semmai, di organizzare un successivo
raid per completare la distruzione dell’obiettivo. Infine la luce diurna rendeva gli aerei,
costretti a volare lenti a basse quote perché molto appesantiti dalle bombe,
dei bersagli troppo facili per la FLAK; fare diversamente sarebbe stato un
inutile sacrifico di uomini che non avrebbe giovato molto ai risultati
dell’invasione (1). La notte tra il cinque e il sei giugno, gli
aerei americani si alzarono in volo con due differenti obiettivi: i B-26
dovevano bombardare la spiaggia e le batterie all’interno della costa nella
zona nel settore UTAH, i DOUGLAS C-47 paracadutare
nelle retrovie gli uomini della 101ͣ e della 82ͣ Divisione aviotrasportate. Visto l’elevato numero di velivoli che quel
giorno avrebbero solcato i cieli della NORMANDIA, compresi gli alianti, fu
necessario realizzare velocemente un metodo per il riconoscimento visivo a
distanza. Si decise di dipingere con della tempera,
sulle ali e sulle fusoliere di ogni mezzo, delle righe intervallate bianche e
nere. Tanto semplice come
trucco (una volta finito il D-DAY la
tempera si poteva lavare via con semplice acqua) quanto complesso se non
impossibile metterlo in atto, nell’arco di una notte, per gli oltre diecimila
aerei e alianti pronti ad alzarsi in volo. Furono utilizzati oltre
quattrocentocinquanta litri di colore a base tempera, che furono prodotti
dalle fabbriche di tutta l’INGHILTERRA, i cui lavoratori seppero solo dopo la
guerra come mai fu chiesto loro di produrre a ritmo continuo, per giorni e giorni, un prodotto che con la guerra sembrava poco
c’entrare. In compenso, il recuperare gli oltre ventimila pennelli necessari
fu un gioco da ragazzi (1). Nel pomeriggio del cinque ogni aeroporto
militare ricevette colori e pennelli. Per gli avieri toccò un lavoro extra
che però seppero portare a temine in un batter
d’occhio. Verso l’una di notte furono paracadutati gli
uomini delle due divisioni aviotrasportate. Il tempo brutto, la contraerea fitta e il
traffico di aerei, furono le cause per cui il lancio degli uomini avvenne
lontano dagli obiettivi prefissati. Come testimoniò uno dei
piloti di C-47, il colonnello WOOD, due furono le ragioni dell’esito critico
dell’operazione di lancio “… il rischio maggiore non era quello di essere
colpiti dal nemico ma di urtare altri aerei o di volare proprio in
corrispondenza dei lanci che avvenivano da parte degli altri stormi. La fretta e la confusione determinarono la maggior parte degli
errori di quella missione” (1). Nel D-DAY volarono 3467 bombardieri
pesanti, 1645 medi e 5409 caccia. Nessuno di questi venne
abbattuto dalla LUFTWAFFE e la FLAK riuscì complessivamente ad abbattere solo
113 velivoli (5). Gli obiettivi della 101ª Divisione aerotrasportata
erano quelli di rendere sicure le quattro uscite dietro la spiaggia di UTAH
BEACH, distruggere una batteria d'artiglieria tedesca a SAINT-MARTIN-DE-VARREVILLE,
catturare gli edifici nel vicino paesino di MÉSIRÈS, nel quale i nemici
avevano allestito un posto di comando per le postazioni d'artiglieria;
catturare il blocco di DOUVE RIVER a LA BARQUETTE, catturare due passerelle
che conducevano da DOUVE a PORTE BRÉVANDS, distruggere i ponti che
conducevano da DOUVE a SAINT-COME-DU-MONT, e rendere sicura la valle di DOUVE
RIVER. Nel
contesto di questi obiettivi, l'unità doveva
inoltre interrompere le comunicazioni tedesche, istituire posti di blocco
ostacolare la circolazione dei rinforzi tedeschi, stabilire una linea
difensiva tra la testa della spiaggia e VOLOGNES, ripulire dai nemici l'area
delle zone d'atterraggio al limite di LES FORGES, ed unirsi con la 82ª
Divisione (fonte A). Meno noti sono gli obiettivi in
carico alla 82ª Divisione Aviotrasportata.
Importante ricordare che, dopo ben trentatré giorni di duro combattimento e
aver sofferto 5.245 perdite fra morti, feriti e dispersi, solo allora la
divisione fu ritirata in INGHILTERRA. Nel rapporto, redatto dal generale RIDGWAY,
dopo i combattimenti, si può leggere quanto segue: "… 33
giorni di azioni, senza cambi, senza rimpiazzi. Ogni missione è stata
compiuta. Nessun terreno, guadagnato, è stato mai
ceduto" (fonte B). Un discreto numero di paracadutisti fu
catturato dai corpi di guardia delle postazioni di
tiro tedesche e dai reparti mandati in ricognizione dopo che erano stati
avvistati, dal personale della contraerea, paracaduti scendere dal cielo. Un episodio riguardante alcuni di quelli
catturati, MONTEBOURG, mette ancora oggi in luce quali siano, alle volte, i
seguiti di un conflitto pur nella sua profonda drammaticità. Alcuni di questi paracadutisti passarono,
alle prime luci dell’alba, attraverso il paese. La popolazione, sindaco in
testa, cessato il coprifuoco delle 6:00 era uscita
per vedere cosa stava accadendo. I parà nel passare davanti alla popolazione
civile, fecero il segno della “V” con le dita. A quel punto, il sindaco non
riuscì a resistere alla tentazione di chiedere al comandante di piazza
tedesco (Orstkommandant)
se per quella mattina avesse bisogno di lavoratori per piantare nei campi gli
“Asparagi di Rommel”, tanto necessari per impedire agli alianti di poter
atterrare. Stizzito, l’ufficiale rispose “Non è necessario” (6). Uno degli ufficiali americani passati alla
storia, per il suo coraggio e l’abnegazione totale al suo ruolo di
paracadutista nel D-DAY, fu il tenente Richard “Dick” WINTERS. Al comando di pochi uomini, conquistò la
postazione di tre cannoni (105mm) presenti a BRÉCOURT MANOR la
mattina del 6 giugno. Fu decorato con la Distinguished Service Cross
dopo l’assalto che mise fuori uso quei tre cannoni i quali avrebbero fatto
strage di americani sulla battigia di UTAH se fossero stati operativi. |
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EISENHOWER tra i paracadutisti della 101a Divisione AIRBORNE (AP Photo) |
Mappa generale delle cinque spiagge del D-DAY. Per poter visionare i dettagli è preferibile salvare la
foto sul proprio computer (US Naval Historical Center, Washington DC) |
Questa foto apparve su un numero di SIGNAL del
giugno 1944, pur se scattata per ragioni di propaganda, illustra come
funzionava una postazione di tipo TOBRUK (Copyright sconosciuto) |
Vista a sud-est dalle dune di UTAH BEACH. In
parte lo scenario è lo stesso del giorno del D-DAY visto dai Tedeschi (FC@G) Ostacoli in acciaio
detti “Cavalli di Frisia” (FC@G) |
All’interno del Museo di UTAH BEACH è stata ricostruita
una delle tante trincee che tagliavano in ogni senso la spiaggia e in parte
le dune antistanti la stessa (FC@G) |
Torretta corazzata montata su una postazione tipo
TOBRUK (FC@G) |
Questo bunker è posizionato
verso CHERBOURG. Era una postazione collocata letteralmente a “cavallo” del
muro anticarro, tra la spiaggia e la strada. Restano ormai poche tracce di
ciò. Il muro anticarro era alto, per
alcuni testi storici, 120 cm. Facendo un confronto con soldati di media
statura, ritratti vicini al muro nelle foto di allora, si suppone che avesse
diverse altezze che variavano rispetto al livello della spiaggia (FC@G) |
Postazione tipo TOBRUK
dissotterrata. L’averne disotterrato alcune ci permette oggi di vederle nella
loro forma completa e di poterle visitare all’interno (De Lorenzo – Longo) |
Garritta in cemento armato
prefabbricata, spostabile tramite un gancio posto sulla cupola antibomba,
notare la feritoia orizzontale di osservazione (FC@G) |
Muro anticarro presente ad UTAH
BEACH. La foto fu scattata, secondo Stephen BADSEY la foto fu scattata il 10
giugno e ritrae i soldati della 9a Divisione fanteria americana intenti a
prendere la marcia versol’interno. Sempre secondo BADSEY la spiaggia fu
oggetto del tiro nemico fino alla conquista della città di CARENTAN (Naval History &
Heritage Command/National Archives USA) |
Alcuni bunker, costruiti prima del
novembre del 1943, non erano realizzati con colate in cemento armato ma in
blocchi di pietra o cemento compatto (De Lorenzo – Longo) |
Piccolo deposito munizioni
presente UTAH BEACH. Ve ne sono ancora oggi diversi e in ottime condizioni.
Due dettagli non sono sicuramente originali: ‘arma leggera posta sul tetto e la
grata all’ingresso. Quest’ultima è sta collocata per ragioni di sicurezza nei
confronti dei turisti e per impedire inutili vandalismi all’interno (FC@G) |
Il bunker dopo la conquista. E’
ancora conservato perfettamente. Notare le finestre finte che furono dipinte
dai Tedeschi e che sono, ancora visibili (NARA Archive) Pittogramma americano originale
presente sulla porta del bunker (FC@G) |
La postazione bunker per le
trasmissioni dei Tedeschi e presente a UTAH. Una volta conquista dagli
Americani, divenne il loro centro di comunicazioni per diversi mesi (FC@G) |
La postazione bunker è stata
attrezzata con un’ambientazione composta da materiale americano originale
(FC@G) |
Foto scattata a UTAH BEACH nel maggio del 1945 (AP Photo/Peter J. Carroll) Foto scattata a UTAH BEACH nel 2014 dove si può
avere un confronto del cambiamento avvenuto in questi anni (FC@G) |
Questo piccola postazione a cielo
aperto è stata scoperta nel 1993 e si trova attaccata a uno dei muri portanti
dello UTAH MUSEUM. Le scritte e i pittogrammi, dipinti lungo il bordo
ottagonale della postazione, indicavano le coordinate di tiro verso la
spiaggia e verso l’interno (FC@G) |
Monumento dedicato a Richard “Dick”
WINTERS, decorato con la Distinguished Service Cross dopo l’assalto ai
cannoni presenti a Brécourt Manor la mattina del 6 giugno (FC@C) |
Un GOLIATH integro e
perfettamente conservato presso il museo di UTAH BEACH. La maggior parte di
questi furono realizzati con propulsione elettrica e pochi modelli con motore
a scoppio. Potevano essere filo guidati oppure radiocomandati. La quantità di
esplosivo che potvano contenere poteva essere di oltre 100 kg (FC@G) |
Carri armati tedeschi GOLIATH
mentre sono disinnescati da artificieri del USN. A UTAH ne erano stati
predisposti a decine ma la maggior parte non funzionò correttsamente perché
danneggiati dalle vibrazioni delle esplosioni e per problemi di ricezione dei
segnali di guida (NARA Archive) |
Molti di questi piccoli carri
armati furono trovati ancora parcheggiati dentro a rifugi posti nelle
vicinanze delle spiagge degli sbarchi. Alcuni avevano i comandi di guida
danneggiati, a causa degli urti causati dalle esplosioni, ma molti non
entrarono in azione perché non tutti i soldati tedeschi sapevano farli
funzionare sia per la guida sia per l’innesco dell’esplosivo al loro interno
(NARA Archive) |
Cannone 7.5cm Pak40, presente
al museo di UTAH BEACH. Molto simile al modello 5.0cm Pak38 che era presente
al WN 5 (FC@G) |
Un cannone HOWITZER 155mm esposto presso la
Batteria di MAISY. Questo fu tra i cannoni più temuti dagli Alleati durante
il D-DAY (FC@G) |
Mitragliatrice MG42 catturata dagli Americani (NARA Archive) Mitragliatrice BROWING calibro 30 (FC@G) |
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Prima Parte |
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Bibliografia:
(1) David HOWARTH “IL GIORNO DELL’INVASIONE”, LOGANESI
& C. (1965).
(2) Cornelius RYAN “IL GIORNO PIU’ LUNGO”, GARZANTI (1961).
(3)
Paul CARRELL “SIE KOMMEN!”, BUR (1998)
(4) Max HASTINGS “OVERLORD, IL D DAY E LA
BATTAGLIA DI NORMANDIA”, ARNOLDO MONDADORI EDITORE
(985).
(5) Stephen E.
AMBROSE “D-DAY. STORIA DELLO
SBARCO IN NORMANDIA”, BUR (1998).
(6) Antony BEEVOR “D-DAY, LA BATTAGLIA CHE SALVO’ L’EUROPA”,
RIZZOLI (2010).
(7)
Stephen BADSEY “NORMANDY 1944 – ALLIED LANDINGS AND BREAKOUT”, OSPREY
(1993).
(8)
Gordon A. HARRISON “UNITED STATES ARMY IN WORLD WAR II, EUROPEAN THEATER
OF OPERATION: CROSS-CHANNEL ATTAK” (1951).
(9) Adriano BOLZONI “I DANNATI DI VLASSOV, MURSIA EDITORE (1991).
Fonti:
(A) WIKIPEDIA, alla voce “101ª AIRBORNE DIVISION”.
(B) WIKIPEDIA, alla voce “82ª AIRBORNE DIVISION)”.
(C) http://users.skynet.be
(D) http://www.uss-corry-dd463.com/
Riferimenti
storici generali sul D-DAY e la BATTAGLIA DI
NORMANDIA:
- US ARMY CENTER OF MILITARY HISTORY
(http://www.history.army.mil/).
Si
ringraziano:
- Lucia De Lorenzo e Giorgio Longo per
aver gentilmente concesso l’uso del materiale fotografico (proprietà e diritti
riservati).