NISE, Federico Cavann@ in Genova "work-shop" 2009 - 2016 Sergente maggiore Meliton Varlamis dze Kantaria (Kantariya) Battaglia di
BERLINO – conquista del Reichstag, 2 maggio 1945 ARMATA ROSSA,
U.R.S.S. Elaborazione figurino ICM, scala 50mm Febbraio 2016 |
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Bravo ma dimenticato Evgenij Anan'evič Chaldej (1917 – 1997)
è stato un fotografo russo purtroppo dimenticato nonostante appartengano alla
sua mano, e alle sue macchine fotografiche, molti scatti famosi della Seconda
Guerra Mondiale e del XX secolo. Sono suoi gli scatti della Battaglia di
Berlino, del processo di Norimberga ai criminali nazisti (il più famoso è quello a Hermann Goering seduto al banco degli imputati). Immortalò 70 anni
di Unione Sovietica e Russia tra cui Josif Stalin, Michail
Gorbačëv e Boris Yeltsin. Una testimonianza sul Reichstag nel ‘45 Il soldato dell’Armata Rossa Il’ja Kricevskij
scrisse nel suo diario personale: “La
battaglia per la presa di Berlino è giunta al termine. Il nostro esercito ha
conquistato il Reichstag. La gioia dell’esercito è incontenibile.: tutti
sanno che la cattura di questo baluardo del fascismo segna la vittoria
definitiva sulla Germania nazista. Non è stato semplice Gruppi di irriducibili SS opponevano una resistenza disperata. L’edificio
era stato trasformato in una fortezza. Eppure, alla fine, ci siamo riusciti. La notizia della presa del Reichstag si è diffusa a macchia d’olio
all’interno dell’esercito, e tutti vogliono sapere chi è stato il primo a
entrare nell’edificio e a piantare la bandiera rossa della vittoria”. Stalin e le violenze a Berlino Così Stalin, in una conversazione con il partigiano
iugoslavo Milovan Gilas, freddamente ebbe a dire in
merito alle violenze perpetrate sulle donne tedesche a Berlino: “Allora si immagini
un uomo che abbia combattuto da Stalingrado a Belgrado, attraversando
migliaia di chilometri del suo Paese devastato, superando i cadaveri dei
commilitoni e dei propri cari. Come potrà mai reagire normalmente? E che cosa c’è di tanto orribile nel
divertirsi con una donna dopo tali orrori? Lei ha immaginato un’Armata Rossa
ideale, ma non è ideale, né lo sarà mai. L’importante
è combattere contro i Tedeschi, e farlo con valore. Tutto
il resto non ha importanza”. Violenza in numeri Il numero delle donne che subirono violenze
carnali nel periodo compreso tra aprile e giugno furono almeno 90.000 e le violenze
non furono perpetrate solo dai russi ma anche da Polacchi, disertori romeni,
Iugoslavi. Non furono mai computate le violenze perpetrate anche dai soldati
americani, inglesi e francesi nei mesi successivi alla fine della guerra. Si è computato che almeno 2
milioni di donne tedesche subirono violenze durante il 1945 e il 1946. Gli
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Conflitto mondiale |
Ecco la foto originale scattata dal fotografo russo Khaldej il 2
maggio del 1945. La foto sopra dopo il ritocco richiesto dalle
autorità politiche sovietiche: via l’orologio
dal polso destro e tanto fumo per
rendere drammatica la scena. Il Reichstag nel luglio del 1945. Il mezzo
corazzato in primo piano a sinistra è un Borgward
IV, abbreviazione di schwerer Ladungsträger
Borgward B IV, con il codice d'identificazione Sd.Kfz. 301.Era
un veicolo da demolizione telecomandato e privo di equipaggio in grado di
trasportare una carica esplosiva di 450/500 kg. Fu prodotto in 1200 esemplari
ma ritenuto di scarsa utilità bellica (Copyright sconosciuto) La conquista del REICHSTAG rappresentava,
per STALIN, l’atto simbolico che avrebbe chiuso definitivamente la storia del
Nazionalsocialismo tedesco e della dittatura di Adolf HITLER. Per questa ragione, nell’aprile del 1945, la
sconfitta della GERMANIA si sarebbe consumata nell’ultima battaglia
combattuta in EUROPA e proprio nel REICHSTAG, il parlamento tedesco, l’ultimo
atto della Seconda Guerra Mondiale. La verità sulla brama di STALIN, per
BERLINO, si saprà anni dopo: gl’impianti produttivi
di carburanti sintetici e i centri di studio e sviluppo della produzione
atomica erano i veri obiettivi primari che non dovevano cadere nelle mani
degli angloamericani. La battaglia di BERLINO durò esattamente
dodici giorni; per una pura coincidenza o per uno scherzo del destino lo
stesso numero, ma di anni, in cui il Nazismo aveva guidato una nazione all’assurda
idea di conquistare un intero continente per poi dilagare nel resto del
mondo. Dal 1941 al 1944, l’UNIONE SOVIETICA fu
sottoposta a un’invasione dura, spietata e il cui prezzo in vite umane fu
esorbitante. L’ARMATA ROSSA, per impedire il dilagare tedesco, dovette
sacrificare centinaia di migliaia di soldati e spesso fu incapace (anche
volutamente) di impedire che la popolazione civile fosse oggetto
di una mattanza di proporzioni mai viste. Se nei campi di concentramento e di
sterminio tedeschi milioni di civili europei furono segregati e uccisi, non
meno grave e disumano fu il sistematico sterminio che l’esercito tedesco
applicò alle popolazioni dei soviet. Se fu ancor più vero che
STALIN fosse spesso indifferente alla morte del suo popolo, non lo furono
certo i soldati dell’ARMATA ROSSA i quali marciarono verso la GERMANIA
disposti a vendicare con il sangue ogni loro connazionale ucciso dal nemico.
STALIN quindi voleva l’ultima battaglia proprio nella capitale del Terzo
Reich, come dimostrazione di forza verso gli alleati occidentali; mentre il
“terribile Ivan” voleva solo attuare una brutale vendetta, cieca, senza
nessun fine utile per la conclusione della guerra. I commissari politici, ancor prima che
L’ARMATA ROSSA attraversasse il fiume ODER, iniziarono un assiduo
indottrinamento di migliaia di soldati. Così i soldati sovietici, nelle
retrovie quanto in prima linea, furono sottoposti a estenuanti oratorie in
cui si rievocavano le brutali violenze subite dal popolo russo, le città come
STALINGRADO e LENINGRADO ridotte a un cumulo di macerie dove donne e bambini
erano morti sotto i bombardamenti o per inedia in assedi che erano durati
anni. Si dovevano esasperare le coscienze affinché
la controffensiva fosse pervasa da un odio folle e quasi criminale e,
purtroppo in larga misura, questo piano nefasto ebbe successo. Dal gennaio del ’45, l’ARMATA ROSSA marciò
bruciando i chilometri che portavano a BERLINO. La resistenza tedesca riuscì
in modesta misura a ridurne l’impatto e il 20 aprile i Russi erano alle porte
della capitale del Reich. Mentre la battaglia infuriava, STALIN
telegrafava al Maresciallo ZHUKOV: voleva assolutamente la conquista del
REICHSTAG per il 1° Maggio, la festa dei lavoratori sovietici. ZHUKOV, replicò che
il parlamento tedesco era in mani sovietiche la sera del 30 aprile. Nella notte del 30 aprile, verso le 22:00,
una prima bandiera fu posta sulla cupola dell’edificio. Il soldato Rakhimzhan QOSHQARBAEV salì sul tetto dell’edifico e portò con se una bandiera ma era troppo buio per
poter scattare una foto e inviarla al padre salvatore di tutte le Russie. Il 1° maggio fu ancora una giornata di
scontri dentro e fuori la costruzione monumentale, gl’ultimi
irriducibili Tedeschi uscirono dai fondi del palazzo e cercarono di mandare
al creatore quanti più “Ivan” che potevano. I sovietici risposero a colpi di
mitra e baionetta, non furono risparmiati nemmeno i feriti che giacevano nei
corridoi e nei fondi del palazzo. Il 2 maggio arrivarono i reporter trovando
una situazione ormai sotto il controllo sovietico. Tra questo nutrito gruppo
di fotografi, corrispondenti di guerra, commissari di partito, vi era Evgeny KHALDEJ. CHALEJ raccontò di aver portato con sé una
bandiera che un suo zio gli aveva consegnato e che
era stata realizzata con una tovaglia. Giunto sul tetto del REICHSTAG si
accorse però che già una bandiera era stata appena collocata da un soldato di
nome Alyosha KOVALYOV. Il fotografo decise allora di ripetere la
scena, il giorno successivo, arricchendola non con un solo soldato bensì con
tre di loro e la bandiera che lo zio gli aveva consegnato. La versione ufficiale della foto, che ritrae
il sergente KANTARIA insieme a Alyosha KOVALYOV e Abdulkhakim ISMAILOV
intento a issare e far sventolare la bandiera, fu scatta organizzando a
dovere la scena, quando ormai l’esercito tedesco si era arreso e il REICHSTAG
era stato definitivamente ripulito dagli ultimi disperati tentativi di
resistenza dei pochi fanatici tedeschi rimasti vivi. Non sappiamo per quale ragione ma dalla versione
ufficiale fu tolto il nome di KOVALYOV e sostituito con quello di un altro
soldato (Mikhail EGOROV). Quando la foto fu consegnata ai commissari
politici, questi si accorsero che il Sergente KANTARIA indossava due orologi,
immagine che sarebbe stata negativa a livello propagandistico. Così il fotografo stesso ritoccò la foto
eliminando l’orologio sul polso destro. Non solo: la foto fu ritoccata aggiungendo anche un fumo denso segno della dura battaglia
che si era poco prima consumata. Immagini, nomi di prodotti, marchi, sono:
tutelati dai rispettivi copyright se registrati o non scaduti, fanno
riferimento e solo ai loro legittimi proprietari. |
La
foto della vittoria sulla Belva fascista La battaglia di BERLINO e al conquista del REICHSTAG, spesso, si riassume in quella
foto, unica e memorabile. La conosciamo tutti ed è, ormai, parte delle
immagini che rappresentano la Seconda Guerra Mondiale. Il soldato Mikhail EGOROV, a
sinistra, il sergente Meliton KANTARIA (copyright
sconosciuto). Fu
scatta il 2 maggio del 1945 in cima a uno dei rialzi del REICHSTAG. Uno dei
protagonisti di quella scena memorabile era il sergente KANTARIA che, insieme
ai soldati Alyosha
KOVALYOV
e Abdulkhakim ISMAILOV (era lui quello che fu ripreso intento a issare lo stendardo dei
Soviet)),
issò una bandiera consegnatagli dallo stesso fotografo, Evgeny KHALDEJ autore
dello storico fotogramma. Il lampione posto in
diagonale rispetto alla base quadrata. Questo figurino è una realizzazione della
ICM, facente parte di un set di quattro soggetti di cui uno l’avevo già
dipinto (vedere il tenente generale Nikolai Petrovich
KAMANIN). La
plastica di base è omogenea, liscia e compatta. Qualche imperfezione l’ho
riscontrata nelle braccia e nelle gambe ma nulla di che. Utilizzando una lima
ad ago sono riuscito a rimuovere l’eccesso di materiale e il segno della
colata nello stampo. La
testa è della DRAGON, così l’elmetto mentre la fondina della pistola è di
TAMIYA. Il
lampione è della MINIART montato riducendo, però,
l’altezza e questo per evitare che la scenetta fosse troppo dispersiva a
causa della dimensione originale. Per evitare l’effetto gigante, è stato
sufficiente, porre a 45° il lampione, di modo che la prospettiva gioca a
farlo sembrare più in lontananza e di conseguenza a mascherare la ridotta
dimensione finale. La
pavimentazione è ottenuta da una stampata in resina, comprata molti anni fa e
la cui marca ora non ricordo, ridimensionata per una basetta 4x4 centimetri. Un semplice
dettaglio, come il buco nella suola dello stivale, arricchisce il soggetto. Il
figurino l’ho dipinto interamente ad acrilico, scelta da me presa al fine di
ottenere la colorazione che spesso riesco a completare solo con colori a
olio. Il risultato è una colorazione con meno contrapposizioni di luci,
passaggi dallo scuro al chiaro molto più morbidi e meno accentuanti specie
nelle pieghe. Qualche piccolo problema l’ho incontrato nel dipingere le dita,
avrei sfumato di più ma temevo che il colore acrilico avrebbe
reso più ruvida la pelle. Pur
se semplice nel suo insieme, il figurino l’ho arricchito con qualche piccolo
dettaglio e non ha nulla da invidiare ai più blasonati soggetti in resina che
oggi spadroneggiano sul mercato. All’elmetto ho aggiunto il sottogola e la
fibbia di allaccio. Lo
stivale sinistro ha un foro nella suola, per evidenziare l’usura nel
percorrere le migliaia di chilometri che separavano L’UNIONE SOVIETICA dalla GERMANIA Vicino al lampione, qualche ciuffo d’erba
ingiallito e qualche sassolino completano la scena;
per una volta ho evitato di collocarvi troppe cose che, in alcuni casi,
tendono ad appesantire l’insieme (io lo
chiamo l’effetto “Pizza quattro stagioni”). Dettaglio delle due
medaglie appuntate sul petto, proprio come nella realtà era decorato il
sergente Kantaria. Per comprendere meglio il mio soggetto, occorre
ricordare che le uniformi dei sottufficiali e degli ufficiali erano molto
differenti da quelle della truppa, per quest’ultimi
i tessuti erano scadenti e il taglio molto semplice. Ho immaginato il
sergente KANTARIA ei giorni successivi alla conquista della capitale tedesca.
Come molti sottufficiali sovietici, ormai finita la guerra, scoprì il piacere
di poter indossare un’uniforme pulita e di buon taglio. Il contatto con
equivalenti di grado degli alleati, spinse molti di loro a cambiare modi di
vita come il farsi realizzare, da sarti berlinesi o dai sarti
di compagnia, delle uniformi con tessuti depredati e con tagli sicuramente più
eleganti; questo cambio di stile non fu assolutamente apprezzato a livello di
partito e dei comandi militari. In alcuni casi, infatti, furono fatti
richiami disciplinari formali verso di loro imponendogli un repentino
spostamento nelle retrovie dove la “bella vita” era meno frequente e decisamente meno praticabile. KANTARIA
indossa il camiciotto di cotone, di colore chiaro, cui il sergente ha
aggiunto il colletto bianco e le decorazioni conseguite durante il conflitto. Il
pantalone, bello nuovo, é di cotone e il colore di un marrone tendente al
giallo, come la maggior parte dei sottufficiali probabilmente questo capo era
stato realizzato da un sarto appartenente al proprio reggimento o forse
commissionati da un sarto tedesco. n Il soldato Mikhail EGOROV, a
sinistra, il sergente Meliton KANTARIA (Bundesarchiv Bild
183-R77767) Un soldato sovietico,
armato di mitragliatore PPSH 41 con caricatore dritto e non a tamburo,
intento a lasciare una scritta sul muro del Reichstag il 9 maggio
del 1945 (copyright sconosciuto). Il Reichstag come
appare oggi, magnificamente restaurato e reso accessibile in ogni area
tramite un progetto innovativo per l’abbattimento delle barriere
architettoniche (www.berlino.com). |
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