NISE, Federico Cavann@ in Genova "work-shop"
2009 - 2016 English tank crew, 23th Hussars Regiment - 11th Armoured
Division Operazione “Market Garden”, OLANDA Settembre 1944 Figurino ALPINE MINIATURES, scala 50mm Aprile 2016 |
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La storia del reggimento Questo reggimento corazzato nacque nel 1940
e fu operativo in Normandia e nella conquista dell’Europa occidentale. Fu
sciolto nel 1946. La liberazione di Bergen
- Belsen Il 15 aprile del 1945, carristi del 23th Hussars Regiment furono tra i
liberatori del campo di concentramento tra i più tristemente noti nella
storia dell’Olocausto. Diffidenza verso tutti Sir Montgomery si mostrò poco propenso a
credere alle informazioni trasmesse dalla resistenza e accennò al Principe
Bernardo d’Olanda l'intenzione alleata di effettuare
un'ampia operazione aviotrasportata che precedesse le truppe di terra, ma
senza rivelare dettagli né richiedere alcuna collaborazione da parte degli
olandesi che riteneva, erroneamente, inaffidabili e disorganizzati. Campione di Bob a quattro Sir Browning era, oltre che un elegante e
raffinato ufficiale inglese, un provetto atleta che aveva partecipato ai
Giochi olimpici invernali del 1928 (a St. Moritz) classificandosi quarto
nella specialità del Bob a quattro. La gelosia di Monthy Il generale David Fraser così affermò in
merito alle vere ragioni per cui Montgomery spinse per la messa in atto
dell’Operazione Market Garden: “La gelosia di Montgomery per Eisenhower ne influenzò le decisioni in
ogni fase della guerra”. Il film “Quell’ultimo ponte – A bridge too far” fu realizzato nel 1977. Racconta quanto avvenne
durante l’Operazione Market Garden e in particolare
la presa del ponte di Arhnem. La pellicola fu un flop
ai botteghini nonostante il cast ricchissimo di attori di calibro massimo e
allora nel pieno delle loro carriere; tra questi ricordiamo Dirk Bogarde, Michael Caine, Sean Connery, Laurence Olivier, Gene Hackman,
Anthony Hopkins, Ryan O’Neil, Robert Redford, Maximilian
Schell e l’attrice Liv Ullmann. Il film ha una durata di ben 176 minuti e
furono investiti ingenti somme per la ricostruzione
storica e scenografica. Pecca di una certa complessità della trama
che certamente non attirò la massa di spettatori di allora. Il film è divenuto nel tempo un cult tra gli
appassionati della Seconda Guerra Mondiale e tra i modellisti che, spesso,
hanno preso spunto dalle scene più belle per la realizzazione di molti
diorami. Libro storico Il libro “Quell’ultimo ponte”, di Cornelius
Ryan è considerato il massimo per dettagli e
affidabilità documentale. La frase Fu Sir Browning a indicare, a Sir
Montgomery, che il ponte di Arhnem sarebbe stato
“quell’ultimo ponte” non facilmente conquistabile e difendibile rispetto agli
obiettivi posti dall’intera operazione. Sir Browning riteneva che fosse
troppo lontano per essere raggiunto in meno di 48
ore dai carri armati della XXX Corpo inglese. E così fu. Gli
speciali di NISE Altri
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Conflitto mondiale |
A sinistra il modello del carrista inglese
prodotto da VERLINDEN, a destra quello di ALPINE La coppia di carristi realizzata dalla Hobby Fan Il set di 5 figurini
prodotti da MiniArt, di cui tre con indosso la pixie suit e di queste una in
versione mimetica. “Operazione MARKET
GARDEN”, una scommessa persa in partenza? Ancora oggi si dibattono, storici ed esperti
militari, per stabilire se l’Operazione MARKET
GARDEN (Operazione “Futteto”
o “Orto”, anche sulla semplice traduzione si discute ancora animatamente),
condotta dagli Inglesi e supportata dagli Americani per l’invasione
dell’OLANDA, fu un fallimento legato alla poco attenta preparazione del piano
o se le cause sono da ricercarsi in una sfortunata serie di coincidenze
avverse che si accanirono contro MONTGOMERY e il suo Stato maggiore. Al di la della mera
narrazione storica, che testi illustri possono riportare in modo
chiaro pur se a volte un filo prolisso, si possono sottolineare alcuni
prodromi e dettagli che permettono a molti di noi appassionati, ma mai
abbastanza profondi conoscitori del conflitto in EUROPA dal 1944 in poi, di
capire quali furono le cause del fallimento, che, di fatto, si è
concretizzato in tutta la sua drammaticità con il ritiro delle truppe
angloamericane dopo l’attacco aviotrasportato. Per la cronaca, va ricordato
che l’Operazione Market Garden fu la più imponente
operazione aviotrasportata della storia. Il primo punto su cui occorre porre
l’attenzione è quale, o meglio, quali obiettivi sir Bernard MONTGOMERY si era
posto. A livello strategico, lui e il suo Stato maggiore desideravano
infliggere una sconfitta significativa contro i
Tedeschi senza però dover impiegare un elevato numero di uomini e risorse
ingenti di cui, in realtà, gl’Inglesi disponevano limitatamente e non nella
misura che era propria degli Americani. Quindi:
un’operazione mirata, di dettaglio e non onerosa ma i cui effetti successivi
avrebbero accelerato sensibilmente la data di fine della Seconda Guerra
Mondiale. Secondo punto riguarda il contesto
tattico in cui l’operazione si sarebbe dovuta svolgere. Il piano era diviso
in due parti, proprio a indicare l'avanzata simultanea delle truppe di aria e
di terra: "Market" riguardava l'impiego
dei paracadutisti (35.000 uomini),
"Garden" quello delle truppe di terra (60.000 effettivi di varie specialità). Le truppe aviotrasportate
avrebbero dovuto occupare diversi ponti sul fiume RENO che, una volta
conquistati, avrebbero permesso il passaggio delle truppe corazzate e di
fanteria. Nelle tattiche combinate come questa, il maggior effetto
sull’avversario lo si ottiene tanto minore è il
tempo che intercorre tra il lancio delle truppe, la conquista da parte di
queste di determinati obiettivi e l’arrivo da terra (o dal mare, come nel caso del D-DAY) delle truppe corazzate
supportate da fanteria motorizzata. Appare chiaro che l’obiettivo principale
era quanto mai periglioso. Il corridoio, diretto a nord, fu diviso in
tre parti di qualche decina di chilometri ognuna. Da EINDHOVEN a VEGHEL il corridoio era sotto
la responsabilità della 101° aviotrasportata americana (generale Maxwell TAYLOR), che aveva il compito d’impadronirsi
e tenere una dozzina di ponti in tutto. Più a nord, vi era l’82° divisione di
paracadutisti statunitense (generale James GAVIN), con il compito di proteggere i passaggi
nel tratto tra GRAVE e NIMEGA: 7 ponti lungo 18 chilometri. Di questi, i ponti
più importanti erano quello a GRAVE, sulla MOSA,
lungo mezzo chilometro e il grande ponte stradale sul WAAL a NIMEGA (il WAAL è uno dei rami maggiori del basso
RENO). Infine, da NIMEGA ad
ARNHEM, il compito più arduo in carico alla 1° divisione aviotrasportata
britannica (generale Roy URQUHART),
coadiuvata dalla brigata di paracadutisti polacchi (generale Stanislaw
SOSABOWSKI). URQUHART e SOSABOWSKI infatti
dovevano assolutamente conquistare e tenere ad ogni costo il ponte sul RENO,
proprio ad ARNHEM. Terzo punto lo studio attento degli
obiettivi rispetto alle forze nemiche a difesa di questi da parte della 9a e
10a divisione WAFFEN-SS. Nell’Operazione MARKET
GARDEN era necessario svolgere questo studio non solo con foto rilievi aerei
ma con il supporto delle forze partigiane olandesi. E MONTGOMERY non diede
molto peso alle informazioni trasmesse dall’intelligence olandese reputandole
non attendibili. Infine il quarto punto, la preparazione di
un “Piano B” necessario per arginare possibili errori e sfortune che, durante
il lancio dell’operazione, si sarebbero
eventualmente verificate già dalle prime ore del giorno 17 settembre (D-DAY MARKET GARDEN). Bene, di questi quattro punti nessuno
funzionò come pianificato. Sir MONTGOMERY sperava di poter creare una
crepa nelle difese tedesche nell’OLANDA del nord di modo che le truppe
angloamericane, via terra da sud, subissero le perdite minori e potessero
giungere, attraverso i ponti sul RENO, in tempi brevi e nelle condizioni
migliori per incunearsi nel territorio dei Paesi Bassi e quindi arrivare in
GERMANIA. Sulla carta tutto ciò era fattibile ma solo nell’analisi teorica
della situazione, in realtà non vi erano i presupposti migliori contemplati
dal comandante inglese. Il maresciallo, che aveva sconfitto la Volpe
del deserto nel 1943, sapeva agire a fronte delle necessarie e ponderate
previsioni, che in genere erano molto caute. Stavolta la frenesia di porre il proprio
nome, e quello delle Forze armate di sua Maestà, nel capitolo finale del
conflitto mondiale, lo rese disattento oltre la misura che, per qualunque
comandante, sarebbe stata inammissibile. L’aver scelto di basare il successo
dell’operazione sulle truppe aviotrasportate, dimostrò che non aveva colto
quanto era accaduto durante il D-DAY in MORMANDIA. Lo sbarco più imponente
della storia aveva rischiato di fallire perché le truppe lanciate durante la
notte tra il 5 e il 6 giugno solo in parte avevano raggiunto gli obiettivi
stabiliti; le forze paracadutate furono sparpagliate a causa dell’impossibilità
di essere lanciate nei punti ideali e, nelle retrovie tedesche lungo la
costa, poterono essere poco efficaci perché non
sufficientemente armate e prive di mezzi di trasporto. Lo0 stesso avvenne in
OLANDA. Al comando dell’intera operazione aviotrasportata
(in cui furono impiegati oltre 2000
aerei per il trasporto per i paracadutisti) fu posto quello che in
seguito Max HASTINGS ha definito come il comandante meno adatto per MARKET GARDEN, il Generale Frederick “Boy” BROWNING.
Inoltre, le diverse vedute sull’intera operazione, tra Americani e Inglesi,
non aiutarono certo al buon esito dell’intero piano che troppo spesso
risentiva delle diffidenze tra le parti coinvolte. Sia EISENHOWER sia
il Generale Omar BRADLEY ritenevano che la conquista del BELGIO e poi della
GERMANIA sarebbe dovuta avvenire a sud (tramite
il Generale PATTON) e non dall’OLANDA quindi da nord. BRADLEY in
particolare asseriva che l’uso di truppe aviotrasportate sarebbe stato
negativo ma, a dare invece peso alle teorie di MONTGOMERY, si frappose il
Generale MARSHALL convinto, come il maresciallo inglese, che le forze
paracadutiste offrissero l’effetto sorpresa in quanto
costituite da truppe fortemente specializzate e motivate ad incursioni e
attacchi lampo. Se il piano di lancio dei paracadutisti
sembrava già rischioso con la prima parte del piano (MARKET),
non meno fu la parte GARDEN, che prevedeva di far spostare le truppe
corazzate del XXX Corpo lungo una strada senza vie parallele e per una
distanza di oltre 100 km fino alla città di ARHNEM. La sconfitta angloamericana ebbe cifre
devastanti, basti pensare che su oltre 10.000 uomini della Prima Divisione di
paracadutisti inglesi, meno di 2500 ne uscirono
vivi. L’Operazione MARKET
GARDEN, iniziata il 17 settembre, terminò dieci giorni dopo senza apportare
una riduzione del fronte e inficiando minimamente sulle forze tedesche e sul
loro morale. Il numero dei morti tra le truppe angloamericane fu notevole
quanto il loro coraggio nel conquistare ogni obiettivo e mantenerlo
strenuamente nella vana speranza che giungessero le forze corazzate amiche.
Per tutti loro, nel commentare il fallimento dell’impresa, EISENHOWER ebbe
solo parole di ammirazione e gratitudine. Il corpo esanime di un soldato delle Waffen-SS sul ponte di Nijmegen
(copyright Time Life) Immagini, nomi di prodotti, marchi, sono: tutelati
dai rispettivi copyright se registrati o non scaduti, fanno riferimento e
solo ai loro legittimi proprietari. |
Il
carrista inglese della Seconda Guerra Mondiale A partire dal personale, ai sottufficiali fino agli
ufficiali, tutti indossavano la stessa uniforme da combattimento della
Fanteria e delle altre specialità, con distintivi di riconoscimento posti
sulle maniche. Tra
i carristi, il copricapo da combattimento fu il famoso basco nero, che in
origine era ad uso esclusivo per il ROYAL TANK
REGIMENT, ma che dal 1941 fu indossato da tutti i corpi corazzati e i baschi
erano caratterizzati dai distintivi reggimentali. Vi
era in dotazione pure l’elmetto ma scomodo e poco efficace; non fu quasi mai
usato e foto, che lo mostrano indossato, sono rarissime. Nel
1943 fu consegnato un nuovo tipo di elmetto molto più pratico e protettivo
del precedente, identico a quello dei paracadutisti, e questo fu abbastanza
adoperato in ITALIA e nel teatro europeo nord occidentale. I
vari battaglioni del ROYAL TANK REGIMENT erano contraddistinti dalle altre
unità corazzate da un distintivo di stoffa bianco romboidale (a forma di carro armato della Prima Guerra
Mondiale), in alto sulla manica destra, immediatamente sopra ai gradi dei
sottufficiali. I
battaglioni si distinguevano gli uni dagli altri da strisce di tela colorata
applicate alla parte terminale delle spalline, in ogni caso da un cordoncino
colorato. Questi cordoncini, messi attorno alla
spalla, e fissati a un taschino del giubbetto, erano molto diffusi
nell’esercito inglese. Nel
1939, i carristi portavano come abbigliamento da lavoro una tuta nera (Coverall) in
tessuto di cotone ritorto (Denim). Questi capi furono indossati per
l’addestramento; tute kaki o abiti ‘denim’ kaki
erano indossate per coprire la divisa da combattimento standard. Nel
1943 apparve la tuta a un solo pezzo imbottita (coverall) ribattezzata “pixie suit” (abito da folletto) e fu molto usata da
quell’anno fin oltre la fine del conflitto nel maggio del 1945. Carristi inglesi non
identificabili a livello di reggimento di appartenenza ma, visti i secchi con
dentro della benzina, possiamo supporre che questi
si trovino nel nord Europa nell’inverno del 1943 o del 1944 (copyright
sconosciuto) Equipaggio di carro
armato Cromwell, dell’11th Armoured
Division, consuma un
veloce pasto nei pressi di Osnabruck (Germania), la
foto è dei primi di aprile del 1945 (copyright sconosciuto) Carristi inglesi
indossano una tuta coverall non imbottita, e senza
cappuccio, in cotone Denim (Copyright NAC 18-328-21) La foto di questo
improvvisato equipaggio inglese mostra bene lo spessore della tuta “pixie suit” e il volume che
questa aveva una vota indossata (copyright sconosciuto) Elementi del 23°
Ussari, 11a divisione corazzata, pitturano il simbolo divisionale su una Schwimmwagen catturata alla 12 SS Panzer Division Hitlerjugend, 6 luglio
1944 (copyright © IWM B 6525, Non Commercial Licence) Il logo del 23°
Reggimento Ussari, 11a divisione corazzata (Wikipedia) Di
cotone color sabbia kaki, con una leggera
imbottitura, questa grossa tuta aveva numerose tasche e zone rinforzate, con
delle speciali spalline che dovevano eventualmente servire per estrarre dal
veicolo i feriti. C’erano, inoltre, due lunghe cerniere lampo dalle caviglie fino al colletto, per
permettere l’accesso più facilmente ed un cappuccio che poteva essere
applicato al collo con bottoni a pressione. Eisenhower e
Montgomery ispezionano con un ufficiale americano il movimento di truppe
nell’inverno del 1944 (copyright Bettmann/CORBIS) Il Generale
Frederick “Boy” Browning (foto di pubblico
dominio Imperial War Museums,
collection no. 4700-37) Il
figurino Prodotto dalla ALPINE
MINIATURES, è forse tra le versioni meglio riuscite del classico
carrista con la coverall imbottita. Negli anni passati diverse case si sono
cimentate nella realizzazione di questo soggetto, alcune con qualche
risultato degno di menzione ma ALPINE è quella che ha saputo dare il massimo
in scala 1:35. Il
figurino ha una dimensione globale estremamente
precisa verso la scala 1:35 (al fine di
poterlo utilizzare nei modelli di mezzi corazzati della medesima scala) e
ciò complica quasi per intero la pulizia e la successiva colorazione. Quando l’ho acquistato
era il 2009, l’anno in cui decidevo di riprendere l’arte della pittura dopo
un digiuno lungo sette anni. Avevo perso la mano nella sempre importante arte
della pulizia, il che irrimediabilmente, ho pagato rimuovendo o danneggiando
qualche dettaglio che, proprio in questo figurino, spesso ha dimensioni e
rilievi di decimi di millimetri. Deluso dei danni combinati, l’ho accantonato
fino a poco tempo fa. Ho deciso di riprenderlo per terminare la pulizia e per
cercare di correggere ciò che avevo danneggiato parzialmente nel 2009. La
colorazione in se parrebbe semplice, visto che è una
tuta monocolore. E invece non è proprio così e adesso vi spiego il perché. Il
colore base dovrebbe essere un marrone del tipo “battle
dress” e questo sarebbe confermato dalle foto
dell’epoca. Molti figurinisti e diverse aziende, invece, utilizzano una
colorazione più chiara e ben più spenta che era propria delle coverall, non imbottito, in denim. Ho
deciso di utilizzare il “British tank crew” di VALLEJO schiarito prima con del colore giallo sabbia (tipo
il classico Desert Yellow VALLEJO), vi ho
aggiunto delle sfumature di viola scuro e porpora, infine ho creato le luci
sui rilievi con del bianco uovo. Perché il viola e il
porpora? Quando si dipinge un figurino, con una
tenuta monocromatica, il rischio è di ottenere un appiattimento nonostante
questo sia tridimensionale. L’errore più spontaneo è quello di
utilizzare un colore base e di schiarirlo semplicemente con bianco, grigio o
un color sabbia. Per
evitare quest’ingenuità pittorica, bisogna ragionare basandosi sul principio
dell’arcobaleno; in cosa consiste esattamente? Se guardate l’arcobaleno,
noterete che su un colore principale se ne affiancano altri tenui ma pur
sempre presenti. Nella colorazione della “pixie
suit” ho apportato delle blande sfumature di porpora e viola scuro, in particolare vicino alle
cuciture, agli attacchi delle maniche e intorno al cinturone. Nell’insieme questi apporti di colore non si
notano ma, a lavoro concluso, rendono meno piatta la colorazione finale. Per niente facile come tecnica, oltre all’esercizio pittorico
consiglio di prendere foto di figurini dipinti da master painter
e di ingrandirle proprio per notare questi apporti non distinguibili a
una prima occhiata. Per
l’ambientazione ho realizzato un muretto con della vegetazione tipica dei
paesi del nord e quindi molto florida e di tonalità
sul verde intenso. Tutti i prodotti utilizzati per realizzare
la vegetazione, erba inclusa, sono sintetici e colorati a mano. |
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