NISE, Federico Cavann@
in Genova "work-shop" 2009 – 2016 La Battaglia di
Berlino, aprile – maggio 1945 Quella inconsueta
telefonata al Ministro Goebbels Dicembre 2016 |
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Le truppe dell’ARMATA ROSSA avanzano e conquistano SIEMENSSTADT Il quartiere di SIEMENSSTADT fu la creazione
voluta dalla famiglia SIEMENS alla fine del diciannovesimo secolo. Collocato nella parte orientale della città,
fu caratterizzato da edifici produttivi e da altri residenziali. Nell’aprile del 1945 in quel quartiere
avvenne un fatto tanto inusuale quanto, allo stesso tempo, soggetto ad essere
ritenuto del tutto falso. Un episodio che pochi ricordano forse perché
microscopico rispetto all’intera storia della Seconda Guerra Mondiale, per
questo che il presente breve articolo vorrebbe riportare alla conoscenza
degli appassionati storici di uno degli ultimi momenti di vita del Nazismo e
del Terzo Reich. Era il 1945, per la precisione era il 24
aprile. La città di BERLINO era stata progressivamente circondata dalla
fanteria dell’Armata Rossa; una manovra a tenaglia da manuale che i Tedeschi
non avevano saputo, o potuto, mettere in atto negli assedi di LENINGRADO e di
STALINGRADO. Ormai l’accerchiamento era stato completato
e le forze tedesche più nulla avrebbero potuto contro quelle di STALIN. I
reparti dei perlustratori si erano addentrati nella città, scoprendo che non
vi era un sistema difensivo efficace capace di rallentare se non fermare le
truppe sovietiche. Eppure, in quel momento, l’ARMATA ROSSA entrò in una fase
di stallo. Ci si pone quindi la domanda quanto mai ovvia: perché i Russi
attesero fino al 2 maggio per conquistare la città? Il quartiere di Siemensstadt
alla fine della guerra (Copyright IWM) STALIN fremeva e metteva sotto pressione
militare, quanto emotiva, i suoi comandanti diretti. Una cascata di ordini e
domande non tanto per avere spiegazioni tattiche quanto per avere la certezza
di chiudere quanto prima la partita contro HITLER e occupare BERLINO prima
dell’arrivo degli angloamericani. Un pessimo ricordo di quei momenti di
tensione lo portò con sé, pe molti anni, l’allora maggiore Aleksei ANTONOV. Egli testimoniò, a KUBY, di una
telefonata ricevuta dal suo comandante di corpo d’armata durante la quale fu
incalzato da provocatorie domande “Ma
che diavolo succede da te? Perché non vai avanti più celermente?”.
ANTONOV per un po’ subì ma poi sbottò all’apparecchio “Compagno generale, un giorno forse vi deciderete a venire al mio
posto di combattimento nella NEUE JACOBSTRASSE!”. Oggi qualche risposta plausibile l’abbiamo
data: di certo le truppe sovietiche non avevano nessuna intenzione di morire
inutilmente, visto che ormai per le forze tedesche non vi era nessuna
speranza di risollevarsi; a meno che non fossero riuscite a radunare le
centinaia di migliaia di soldati, sparse per mezza EUROPA, ma incapaci di
muoversi a causa della totale assenza di una regia di comando e di carburante
per camion e corazzati. In gioco vi era la vita di civili tedeschi e non di
quelli sovietici, una possibile resistenza anche di mesi avrebbe solo a
sacrificio ulteriore BERLINO e la GERMANIA. Infine vi era il dubbio che,
penetrando massicciamente in città, si sarebbero potute concentrare troppe
forze sguarnendo il perimetro difensivo necessario a reggere l’arrivo delle
truppe angloamericane se queste, per rovescio delle carte all’ultimo minuto,
avessero mai trovato un accordo di alleanza con quelle tedesche (quest’ultima voce era stata messa in giro
sia da GOEBBELS sia dai vari comandanti tedeschi che erano stati catturati
dai sovietici, voce che a cui in parte gli stessi Sovietici davano un certo
peso nonostante le continue rassicurazioni d’infondatezza date da CHURCHHILL
e EISENHOWER). A questa domanda cercarono risposta anche
gli stessi cronisti sovietici, al seguito dell’esercito. A loro però non
interessavano tanto le ragioni militari, quanto il sapere quando ci sarebbe
stata la stretta finale; perché ciò avrebbe significato essere presenti nel
cuore della città e magari al cospetto di HITLER, vivo o morto. Nel frattempo occorreva però mandare in URSS
articoli nuovi e dirompenti, il che significava, allora, tempi lunghi per
farlo. Non vi era allora internet o altri mezzi di comunicazione capaci di
trasmettere dati in tempo reale. L’articolo andava scritto e battuto a
macchina, filtrato da proprio responsabile della propaganda, approvato dal
commissario politico di riferimento; l’articolo, scremato e censurato, doveva
essere telegrafato a MOSCA dove nella redazione del proprio quotidiano
avrebbe subito un’ulteriore serie di verifiche e censure. Se tutto andava
bene, ci poteva impiegare anche tre giorni prima di essere stampato e pubblicato. Erich Kuby e il suo
libro da cui è tratto questo articolo (Copyright Einaudi e copyright
Wikipedia I corrispondenti russi scrivevano assennatamente
e, nel frattempo, cercavano ovunque notizie che potessero essere oggetto di
nuovi articoli. Alcuni di loro, i più temerari ed esperti nel muoversi
durante i combattimenti (tra loro vale
la pena ricordare Vasily GROSSMAN), si
aggregarono alle truppe di perlustratori sperando così di ottenere materiale
di prima qualità, certi quindi di vederlo poi pubblicato sulla prima pagina
della PRAVDA o dell’IZVESTIJA. In alcuni casi, pur di avere materiale di
prim’ordine, incitavano gli stessi soldati ad azioni temerarie. Non poche volte gli ufficiali furono
costretti a comunicare ai comandanti la necessità, impellente, di dare un
freno ai corrispondenti e ai loro animi patriottici. Lo scrittore e giornalista tedesco Erich
KUBY scrisse un libro memorabile in merito a questa battaglia, “I RUSSI A
BERLINO, la fine del Terzi Reich” (ed. EINAUDI, 1966); tra gl’innumerevoli
aneddoti raccontati vi è proprio quello che tra poco leggerete. KUBY aveva conosciuto, al termine del
conflitto, il giornalista moscovita Viktor BOEV il quale era un tenente dei
corpi corazzati sovietici durante la battaglia contro la FESTUNG BERLIN. BOEV
parlava perfettamente tedesco quindi in grado di poter raccogliere, durante
l’avanzata, maggiori informazioni sul nemico rispetto agli altri ufficiali
costretti a muoversi con un interprete. BOEV raccontò a KUBY che da due giorni i
reparti russi corazzati se la passavano bene, in attesa di ricevere ordini
sul proseguo della battaglia. Insomma si vivacchiava senza rischiare di
morire in qualche inutile azione militare. Il 26 aprile, con il suo reparto, era giunto
nel quartiere di SIEMENSSTADT. Ecco come descrisse la situazione per le
strade… “Tutto era come morto per le strade. Stavamo
al riparo dei bunker perché tutta la zona era sotto tiro. Si era in attesa di
una sorpresa ed io avevo l’impressione che il nostro comando agisse con
estrema cautela. Per un bel po’ non ci muovemmo da SIEMENSSTADT. Passavamo
tra le case. Tutte le abitazioni erano aperte. Non si vedeva anima viva. In
una camera da letto vidi uno spettacolo che non dimenticherò. Due persone
anziane si erano avvelenate e giacevano sul loro letto matrimoniale. Su un
comodino, i bicchieri che avevano vuotato; accanto, accanto, le loro fedi
nuziali si toccavano. Incorniciata, dietro ai bicchieri, la foto di un figlio
caduto in guerra”. L’ex
tenente dell’ARMATA ROSSA, però, smise di raccontare di quanto aveva visto e
iniziò a raccontare qualcosa di quanto mai assurdo… “Due corrispondenti di guerra, uno della
PRAVDA e l’altro dell’IZVESTIJA, vennero un giorno a trovarci. Poiché io
parlavo tedesco mi convinsero a fare una cosa che in seguito non doveva
rivelarsi proprio una buona idea. Ci venne in mente cioè di chiamare GOEBBELS
al telefono che ancora funzionava. L’apparecchio si trovava al primo piano
della casa, nella cui cantina ci eravamo accampati. Dapprima io feci il
numero delle informazioni e chiesi come ci si poteva mettere in comunicazione
con il ministero della Propaganda. Poi ottenni la comunicazione col ministero
e chiesi del dottor GOEBBELS. L’una dopo l’altra, diverse persone risposero
per chiedere << Di che si tratta?>>. Io dichiarai che stavo
parlando da SIEMENSSTADT e che si trattava di una questione personale
urgente. Alla fine mi venne passata una donna, che
probabilmente era la sua segretaria e che mi chiese a sua volta lo scopo
della mia chiamata. Feci capire che la cosa era tanto urgente che le i mi
informò che il signor ministro del Reich si trovava in seduta, ma tuttavia lo
avrebbe pregato di venire all’apparecchio. In effetti, pochi minuti dopo,
avevo GOEBBELS dall’altra parte del filo ed allora gli dichiarai di essere un
ufficiale russo che telefonava da SIEMENSSTADT. GOEBBELS sembrò non eccessivamente
meravigliato da questa notizia e condusse la conversazione con tono
tranquillo e indifferente. Se avessimo saputo prima che la cosa sarebbe
riuscita, ci saremmo naturalmente preparati. Così invece da parte mia il
discorso fu decisamente sciocco, tanto più che i due corrispondenti
continuarono a sussurrarmi nuove domande all’orecchio e m’incitavano a dire
per telefono degli insulti irripetibili. Ma io non lo feci”. Viktor BOEV conservò la trascrizione di
quella conversazione che avvenne tra lui e il ministro GOEBBELS. Non fu solo
per ragioni di conservazione storica che egli stesso trascrisse, subito dopo
la telefonata, il dialogo fra lui e uno degli uomini più potenti della
macchina nazista. Vi furono anche ragioni di tutela della propria sicurezza
con i suoi diretti superiori e con i commissari politici presenti al fronte.
Egli comprese nell’immediato che quella telefonata si era rivelata un gesto
stupido e pericoloso, perché vide i due corrispondenti darsi alla fuga, anche
loro certi che fosse urgente trascrivere la loro versione per poi consegnarla
ai commissari politici al fine di farla pubblicare, se non per usarla a
propria tutela caso mai quello scherzo telefonico fosse stato interpretato
come un perverso legame con il nemico; l’essere scambiati per spie o
collaborazionisti nazisti non erano possibilità da escludersi tassativamente. La notizia di quella telefonata infatti
presto si diffuse tra le truppe sovietiche presenti a SIEMENSSTADT; fino a
giungere alle orecchie del generale Semyon BOGDANOV
futuro maresciallo delle truppe corazzate dell’ARMATA ROSSA. Da sinistra a destra: Josef Goebbels (Copyright
sconosciuto), Semyon Bogadanov
(copyright sconosciuto), Aleksei Antonov (Copyright WIKIPEDIA). Dopo solo mezz’ora arrivò un soldatino tutto
trafelato, un portaordini che pronunciò l’ordine del comando militare di
BOGDANOV: scrivere una “raspiska” (ricevuta in senso letterale ma sicuramente
andava intesa come relazione sull’accaduto). Sta di fatto che BOEV non
interpretò gl’ordini e scrisse a macchina tutto l’accaduto. Al comando militare sovietico non era certo
piaciuta la goliardata e di certo molti alti ufficiali erano convinti che
quella telefonata sarebbe stata più utile per trattare una resa che non
essere l’occasione di uno sterile scambio d’insulti tra le parti. BOEV
confidò a KUBY che quella scellerata conversazione gli sarebbe costata cara
se l’assedio si fosse mai prolungato anche di qualche giorno. Ecco il testo di quella breve, ma quanto mai
unica, telefonata: G. “Dottor
GOEBBELS”. B. “Qui parla un
ufficiale russo. Vorrei porle alcune domande”. G. “Prego”. B. “Per quanto
tempo siete in grado ed avete intenzione di combattere per BERLINO’”. G. “Diversi… (non
si riuscì a capire il resto)”. B. “Diversi cosa?
Giorni?”. G. “Oh no, mesi.
Perché non mesi? Voi avete difeso SEBASTOPOLI per nove mesi. Perché noi non
potremmo farlo per la nostra capitale?”. B. “Ancora una
domanda: quando e attraverso quale via intendete lasciare BERLINO?”. g. “Questa
domanda è troppo sfacciata per avere una risposta”. B. “Tenga ben
presente che noi la scoveremo, sia pure in capo al mondo. Ed abbiamo già
pronta una forca per Lei”. (A questo punto
si udirono delle voci no chiare) B. “Desidera
chiedermi qualcosa?”. G. “No”. La telefonata si chiuse lì. Pochi giorni
dopo anche quella battaglia: il 2 maggio 1945. Immagini, nomi di prodotti, marchi, sono: tutelati dai
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