NISE, Federico Cavann@
in Genova "work-shop" 2009 – 2017 Otto Skorzeny a Berlino nel 1945 L’ultimo incontro con
Hitler nel cuore del Terzo Reich Febbraio 2017 |
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Il Führer convoca Skorzeny a Berlino In una gelida sera di gennaio del 1945, Otto
SKORZENY era nel suo quartier generale a FRIEDENTHAL. Ricevette una
inaspettata telefonata da Heinrich HIMMLER. Il gerarca nazista, capo delle SS, era stato
designato, dallo stesso HITLER, quale comandante del Gruppo di armate della
VISTOLA. Per il Führer, ormai non vi erano più
marescialli o generali di cui fidarsi, non restava altro che i suoi fidati
camerati, della prima ora, su cui contare e di cui circondarsi. E così il freddo HIMMLER si era ritrovato a
fare il comandante di intere armate, anche se non aveva la minima esperienza
di questioni militari. La telefonata fu breve ma chiara:
organizzare, quanto prima, un nucleo di forze da inviare sul fiume ODER e
rallentare l’avanzata sovietica. Nella città di SCHWEDT, SKORZENY organizzò
le difese. Un muro di uomini, provenienti da ogni dove, fu messo a difesa di
una città dove i volontari erano convinti di fermare i T34 scavando dei
semplici fossati lungo le vie della cittadina. SKORZENY riuscì a tenere il fronte fino alla
fine di febbraio, quando ormai le orde dell’ARMATA ROSSA erano incontenibili
per le esauste forze tedesche. Come per l’impresa della liberazione di Benito
MUSSOLINI, l’ufficiale austriaco, dal volto sfregiato, non si premurò di
verificare se radio o giornali avessero parlato della sua ultima prodezza militare. A fargli onore fu la radio inglese BBC, un
suo speaker annunciò che SKORNENY, dopo la battaglia di SCHWEDT, era stato
promosso al grado di maggiore generale e assegnato alla difesa di BERLINO. Il suo ritorno a FRIEDENTHAL coincise con un
periodo che lui stesso, in un’intervista rilasciata a fine anni ’60, dichiarò
al limite del surreale. Le sue truppe specializzate erano oggetto
d’impieghi che poco avevano di strategico, lanciate in azioni suicide le cui
speranze di riuscita erano pari a zero. Poi scartoffie, documenti da
compilare per richieste di forniture che non sarebbero mai a lui arrivate,
relazioni militari su potenziali raid che nessuno avrebbe mai lontanamente
potuto attuare. Fu, per assurdo lo sfondamento delle truppe
americane a REMAGEN, e la presa del ponte principale sul fiume RENO, che fece
ritornare sui loro passi i gerarchi che avevano “cannibalizzato” fino ad
allora le truppe speciali di SKORZENY. Il ponte fu bombardato in ogni modo, niente!
Restava su e i G.I. belli fieri che ci passavano sopra con le loro WILLYS in
colore “olive drab”. A BERLINO era il panico. Tutti
a cercare SKORZENY e i suoi specialisti per azioni anfibie, impiegarle contro
quel dannato ponte che doveva essere ridotto in cenere quanto prima. Per la prima volta, nella sua carriera
militare, si rifiutò di attuare quell’ordine. Era folle tentare di mandare
degli uomini a far saltare un ponte super fortificato, dove la temperatura
dell’acqua era di poco superiore allo zero termico. No, stavolta ogni militare
era libero di decidere se accettare o meno. I pochi che si offrirono,
volontari, non riuscirono minimamente nell’intento e furono letteralmente
ripescati, mezzi morti di freddo, dalle acque del fiume RENO. L’impresa fu oggetto di propaganda da parte
degli Americani, una sferzata che colpì tanto l’orgoglio di SKORZENY quanto
quello dei vertici del Comando supremo tedesco. Ne seguì una convocazione a BERLINO, il
motivo però non gli fu indicato.
L’arrivo nella capitale del REICH fu segnato
dalla vista di una città ormai allo stremo: dall’aeroporto di TEMPELHOF fino
alla Cancelleria del REICH fu un susseguirsi di macerie, civili in coda per
cibo e acqua. La devastazione e la desolazione della Cancelleria scossero
l’animo del soldato, costretto a passare tra calcinacci e muri puntellati. Mentre attendeva d’incontrare HITLER e i
suoi comandanti, SKORZENY s’imbatté in una graziosa donna dai capelli biondi.
Costei gli rivolse la parola: “Deve
venir presto a prendere il tè con noi e raccontarci qualcuna delle cose che
ha fatto”. Il gigante austriaco scosse la testa, e disse un flebile sì
congedandosi dalla futura moglie del Führer: Eva BRAUN. HITLER uscì da una stanza, era curvo e
tremolante. La sua situazione fisica rappresentava, in modo emblematico,
l’imminente crollo della GERMANIA. Vide SKORZENY e gli andò incontro con passo
claudicante. Gli prese le mani “… non
l’ho ancora ringraziata per la sua opera di tamponamento sull’ODER…”. Il
Führer gli disse che le fronde di quercia, alla Croce di Ferro, gliele
avrebbe presto conferite di persona e aggiunse una postilla “In avvenire, ho altro lavoro per Lei…”. Quella sarebbe stato l’ultimo incontro tra il
capo assoluto del Nazismo e l’ufficiale delle WAFFEN-SS. La ragione della convocazione aveva un
qualcosa di utopico e folle. Basandosi sulle affermazioni propagandistiche di
GOEBBELS, ad HITLER era stata proposta la creazione di un ultimo baluardo
nazista: il Ridotto alpino al confine tra GERMANIA – AUSTRIA - ITALIA. Una
inespugnabile regione montuosa dove venti o trenta divisioni armate avrebbero
difeso l’ultimo rifugio di HITLER e dei suoi più fedeli servitori. SKORZENY visitò quei luoghi per comprendere
cosa, di quella utopia, fosse realizzabile. Trovò magazzini enormi ma vuoti,
depositi di armi senza nemmeno un proiettile, macchinari di ogni specie
abbandonati lungo le strade di quel groviglio di rocce e dirupi. Di quanto
prospettato non c’era niente, solo il vuoto della propaganda di chi fino
all’ultimo non volle ammettere la propria sconfitta. Secondo lo scrittore James LUCAS, il
Ministro della propaganda tedesco, Joseph GOEBBELS, fu in parte l’ideatore di
questo progetto di fortificazione naturale delle ALPI, che si sarebbe potuto
realizzare nel cuore delle montagne confinanti con i territori austriaci e
italiani. La teoria del Ridotto alpino consisteva in un luogo dove uno
stretto nucleo di gerarchi, e uomini vicini a HITLER, si sarebbero
fortificati contro qualsiasi avversario; un rifugio dove poterci vivere per
anni resistendo a qualsiasi attacco da terra e dal cielo. Non solo rifugi, lì qualcuno vi avrebbe
costruito fabbriche sotterranee per la produzione di armi strategiche,
immagazzinate tonnellate di alimenti e riserve di acqua e carburante. Le prime voci su questa fortezza tra le ALPI
iniziarono a circolare nell’autunno del 1944, in SVIZZERA. Gli agenti dello
SD, il Servizio segreto delle SS, raccolsero queste voci e le trascrissero in
un rapporto che fu consegnato al Gauleiter del TIROLO-VORARLBERG, Franz
HOFER. Costui ci vide la possibilità di sfruttarlo a pro del suo potere e del
suo prestigio. Prese quel rapporto e lo farcì con ipotesi e valutazioni
militari organizzative quanto mai fantasiose. Il rapporto faceva espliciti riferimenti
alle reazioni che gli Americani, e gl’Inglesi, avrebbero avuto a fronte del
prolungamento della guerra a seguito della resistenza tedesca sul Ridotto
alpino. HOFER sosteneva che altri mesi di guerra, oltre a causare la morte di
numerosi soldati, avrebbero portato lo schieramento angloamericano a dubitare
della necessità di continuare il conflitto; i Russi, da soli, si sarebbero
dovuti accollare la risposta nazista che avrebbe trovato nuovo vigore con
armi prodigiose, prodotte nelle grotte alpine, e utilizzate da un esercito
costituito esclusivamente da soldati di prima scelta quali le WAFFEN SS. Il Gauleiter, per dare concretezza a tutto
ciò, richiedeva che urgentemente fossero accantonate grosse derrate
alimentari, armi ed equipaggiamenti di prima scelta, macchinari per la
produzione di nuove armi segrete, carburante, ingenti scorte di medicinali e
materiale sanitario. Per dare massima e immediata funzionalità al progetto,
l’intera popolazione della “Fortezza delle Alpi” sarebbe stata deportata
nella GERMANIA centrale con lo scopo di costituire un intralcio alle truppe
nemiche; al loro posto sarebbero stati trasferiti prigionieri di guerra
utilizzati al pari di forza lavoro ridotta nella più totale schiavitù.
Dettaglio non secondario, la presenza di quest’ultimi avrebbe dissuaso i
nemici del REICH da tentativi di raid aerei in larga scala. I soldati tedeschi presenti sarebbero stati
circa 30.000 Standschutzen, che erano l’equivalente
tirolese delle truppe del Volkssturm, a cui si
sarebbero aggiunte diverse divisioni di WAFFEN-SS; inoltre, operando dal
cuore della Fortezza delle Alpi, si sarebbe potuto alimentare il movimento di
resistenza tedesco WEHRWOLF nato per dare filo da torcere al controllo del
territorio tedesco da parte delle truppe nemiche.
L’Alto
comando della WEHRMACHT diede incarico, al generale Georg RITTER von HENGL,
di valutare la consistenza del rapporto stilato da HOFER. Il
generale valutò insufficienti e inadeguate le forze militari computate da
HOFER. Nel suo rapporto specificò che dei 38.000 effettivi presenti nell’area
più dell’80% era proveniente da reparti non combattenti e di età avanzata.
Costoro erano a digiuno dall’uso di armi e quelle disponibili non erano di
certo adeguate a una lunga resistenza. Von HENGL, che era stato al comando di truppe
alpine, aveva una considerevole esperienza in merito alla guerra di montagna;
egli sapeva che il fortificarsi tra le ALPI avrebbe comportato la
disponibilità di grandi risorse di munizioni e armi, rifugi sotterranei a
prova di bombardamenti pesanti. Durante l’inverno la neve e il ghiaccio
avrebbero rallentato di certo i tentativi di assalto del nemico ma avrebbero
altresì inchiodato i Tedeschi stessi impedendo una difesa mobile nello stile
della guerriglia partigiana in corso nell’ITALIA del nord. Prima dell’inizio delle nevicate, di certo i
bombardamenti nemici avrebbero distrutto le vie principali e la rete
ferroviaria, impedendo il trasporto di materiale per la costruzione dei
rifugi necessari. Il rapporto si concludeva affermando che,
nella guerra moderna, il tentativo di creare dei bastioni difensivi, tra le
ALPI, era una pura utopia. Sorge spontanea la domanda: perché HOFER
scrisse una relazione contenente tanti dati falsi e congetture a dir poco
utopiche, sia sotto il profilo strategico sia sotto quello tecnico-logistico?
Si può solamente supporre che egli lo fece sperando che una minima parte del
progetto potesse essere messa in atto. Le ispezioni di SKORZENY ai confini
della GERMANIA con l’AUSTRIA, richieste dal Führer, inducono a concludere che,
di fatto, una certa presa il rapporto la fece. La realizzazione solo di facciata, quanto
inutile a cambiare l’esito della sconfitta tedesca, avrebbe comunque portato
la persona di HOFER a gestire il progetto e, a fine conflitto, a sedere al
tavolo delle trattative come protagonista di un ipotetico riordino
geopolitico dove il TIROLO sarebbe stato sotto il controllo americano ma
governato direttamente dallo stesso HOFER. I sogni di potere, per alcuni
gerarchi nazisti, si disegnavano anche a sconfitta avvenuta. Se i Tedeschi stessi erano certi
dell’infondatezza di questa fortezza e non ci credettero fin dall’inizio, gli
Americani invece ci cascarono in pieno; nonostante i loro servizi segreti fossero
ormai capaci di ottenere informazioni di prima qualità e fondate, non si
preoccuparono di accertarsi se tecnicamente le follie propinate da GOEBBELS
avessero un minimo di fondatezza. Se GOEBBELS si era inventato questa
bellissima ma impossibile favola, allo scopo di incentivare la resistenza del
popolo tedesco e del suo esercito, il suo scopo raggiunse un successo ancor
più insperato quando replicò al Gauleiter HOFER con un documento dove si
confermava che gli uomini necessari alla difesa del Ridotto alpino erano già
operativi, i rifornimenti di armi e cibo erano stipati in quantità
industriali in depositi sotterranei costruiti appositamente. Il documento finì sulla scrivania dello
SHAEF (Supreme Headquarters Allied Expeditionary Force)
che credette in tutto e per tutto alle bugie del Ministro della propaganda
tedesco. Una relazione dello SHAEF confermò che rilevazioni fotografiche,
svolte su una ventina di siti, mostravano “evidenti
attività di costruzione di fortificazioni e impianti produttivi”. Tutto
l’intelligence militare di EISENHOWER fu preso dalla sindrome dell’ultimo
baluardo nazista. Furono scomodati fior fiori di psicologi i
quali, dopo aver preso conoscenza del Ridotto alpino, confermarono che era
nell’inclinazione wagneriana, di HITLER, l’estremo gesto della difesa del
TERZO REICH tra le ALPI.
Un dettaglio che gli Americani non sapevano
era quello che riguardava la data in cui il rapporto di HOFER fu sottoposto
all’attenzione di HITLER: aprile del 1945! Ormai era troppo tardi per prendere
come possibile l’idea della fortezza ultima. HITLER sapeva quale era la
situazione reale delle scorte di carburante disponibili, gli era chiaro che
costruire fabbriche sotterranee avrebbe richiesto oltre che materiale (che non c’era) mesi e mesi di lavori
frenetici, sempre ammesso d’iniziare in primavera e sperando che il tutto non
fosse vanificato da bombardamenti a tappeto. Infine, sarebbero state
necessarie piste per il decollo degli aerei a reazione costruiti nelle nuove
fabbriche sotterranee, ma dove costruirle in mezzo alle montagne? No, follie
buone solo per la propaganda; HITLER aveva già deciso di farla finita
rimanendo a BERLINO. Questa era la sua reale e necrofila visione wagneriana
del crepuscolo degli dei. La domanda che lo scrittore LUCAS si è posto
nel suo libro, “La caduta della Germania Nazista”, riguardava la disarmante
creduloneria in cui cascò lo SHAEF. Probabilmente, dopo aver mancato in pieno
la valutazione della controffensiva tedesca in BELGIO, con la Battaglia delle
ARDENNE, sovradimensionarono le informazioni che erano giunte dalle spie
presenti in GERMANIA e che riportavano non solo i discorsi di GOEBBELS ma le
continue voci che tra gli stessi gerarchi si autoalimentavano sull’argomento,
forse nella speranza di essere tra i prescelti a continuare a mantenere in
vita i mille anni del TERZO REICH e a non morire come topi nella BATTAGLIA DI
BERLINO. I militari tedeschi catturati, continuarono
a sostenere che nessuna divisione di WAFFEN-SS era stata destinata all’area
interessata, così come nessun reparto di paracadutisti era stato destinato a
essere operativo per la difesa delle ALPI. Infine, furono monitorati i
passaggi di convogli ferroviari merci verso la regione interessata; se ne
evinse che la movimentazione interessata non era al di sopra di quella che
serviva a dare sussistenza a un tale progetto. Nonostante tutte queste evidenze gli
Americani ci vollero credere, EISENHOWER si convinse di ciò e le truppe
americane si spostarono verso sud distogliendosi dall’obiettivo originale che
consisteva nel raggiungere, in concomitanza con l’avanzata dei Russi, la
capitale nazista. Gli Americani decisero quindi di scegliere i
giusti contatti, tra gli ufficiali tedeschi, per trovare una soluzione di
resa senza spargere sangue. A smontare del tutto la teoria del Ridotto
alpino, vi furono le trattative tra Americani e Tedeschi per la resa delle
truppe tedesche presenti in ITALIA (Gruppo
di armate C). Trattative che furono condotte da Allen DULLES (capostruttura dell’OSS in Svizzera) e che
avevano lo scopo di arrivare alla resa tedesca al fine di stabilizzare la
situazione militare e politica nel cuore dell’EUROPA di allora. Gli Americani
cercarono di minimizzare le possibili conseguenze militari che sarebbero
potute scaturire dalla resistenza armata dei Tedeschi in ITALIA, reazione che
vi sarebbe stata se le formazioni partigiane li avessero attaccato.
Ritenevano quindi importante arrivare a una resa pacifica e a rendere innocuo
il Ridotto alpino. Queste trattative non raggiunsero mai l’obiettivo
prefissato, se non parzialmente, ma ottennero le reazioni stizzite di STALIN,
furioso del fatto che gli Americani avessero condotto trattative separate
senza coinvolgerli. Una serie di rese basate sulla diplomazia
con i futuri sconfitti, invece del continuare con tanti piccole battaglie,
che permettessero di eliminare le armate tedesche (la X e XVI) senza sparare
un solo colpo; ridurre l’impatto dei combattimenti diretti ed evitare il
proliferare della guerra nel cuore dell’EUROPA che, a conflitto finito,
sarebbe rimasta sotto il pieno controllo angloamericano. Ma questa sarebbe stata una scelta che, con
il Piano SUNRISE, avrebbe coinvolto di più la diplomazia, e il denaro, che
non le fortificazioni e le armate fantasma. Bibliografia Charles
Foley “Teste calde”, Longanesi (1973). James
Lucas “La caduta della Germania nazista”, Hobby & Work (2006). Elena Aga-Rossi e Bradley F. Smith “Operation
Sunrise”, Mondadori (2005). Immagini, nomi di prodotti, marchi, sono: tutelati dai
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