NISE "work-shop" 2009 – 2024

 

Alfa Romeo 33/2 Daytona Coda lunga - Scuderia Autodelta

Equipaggio: Ignazio Giunti – Nanni Galli, n. 39

24 Ore Le Mans 1968, Quarta assoluta

 

Modello 1/43 di serie, elaborazione 2010 - 2024

Classifica finale

Prima la Ford GT40 MK. I di Pedro Rodriguez e Lucienne Bianchi (#9); seconda la Porsche 907L di Rico Steinemann e Dieter Spoerry (#66), terza la Porsche 908 ufficiale di Jochen Neerpasch e Rolf Stommelen.

 

Rodriguez/Bianchi

(Foto credit Autosprint)

 

Le tre Alfa 33/2

Al quarto posto la coppia Giunti/Galli, al quinto Carlo Facetti e Spartaco Dini (#38) e al sesto Mario Casoni e Giampiero Biscaldi (#40).

 

La vincitrice ‘67

La Ferrari 330P4 vinse l’edizione precedente con l’equipaggio

Bandini/Amon. Alla edizione del ’68 le P4 non poterono partecipare in quanto avevano una cilindrata superiore a quella prevista dal regolamento.

 

 

I colori delle pinne posteriori

Ogni 33/2 aveva le pine della coda di colore differente, così la parte anteriore del cofano.

La numero 38 aveva il colore giallo, la 39 verde e la 40 azzurro scuro.

Vi era poi l’Alfa Romeo T33/2 di Nino (coda corta) Vaccarella/Giancarlo Baghetti (numero di gara 41, ritirata) di colore bianco.

 

Perché Daytona?

La carrozzeria, nella prima versione, fu opera Franco Scaglione. Alla 24 Ore di Daytona, nella gara dominata dalle Porsche 907 da 2.2 litri, conquistarono il primo posto nella loro classe, precedendo altre due vetture gemelle. L'arrivo in parata delle tre vetture Alfa, voluto da Carlo Chiti seguendo in questo l'esempio della Ferrari 330 P4 l'anno precedente e della scelta del direttore sportivo della Ferrari Franco Lini, fece sì che la "33/2" fosse riconosciuta da quel momento come "La Daytona".

 

L’incidente a Mauro Bianchi

Il vincitore della gara, in coppia con Pedro Rodriguez, dovette assistere all’incendio della vettura Alpine su cui correva il fratello Mauro. Lo stesso Lucienne, ad Autosprint, raccontò quei momenti drammatici e che lo avevano spinto a ipotizzare di fermarsi (quindi sospendere la sua partecipazione) per soccorrere il fratello. Nel giro successivo, vide che il fratello era stato estratto dalla vettura ed era vivo nonostante (solo poi si riscontrarono) ustioni di secondo e terzo grado al viso e alle mani.

Dopo quella drammatica esperienza, Mauro decise di interrompere la carriera agonistica e di occuparsi solo di guida in veste di collaudatore.

Lucienne, l’anno successivo, perderà la vita durante dei test pre gara alla edizione delle 24 ore del 1969;

alla guida di una Alfa Romeo T33 uscì di pista, colpì un palo del telegrafo e la vettura prese fuoco senza lasciargli scampo.

 

Mauro Bianchi subito dopo l’incidente (Copyright sconosciuto)

 

Starter d’onore e la manovra detta di “aggancio”

A Gianni Agnelli fu dato l’onore di dare il via alla gara. Ancora nel 1968 le vetture partivano allineate davanti ai box mentre i piloti erano dal lato opposta della pista; i motori erano spenti, gli sportelli chiusi e il pilota doveva salire, accendere la vettura e sfilarsi dalle altre auto, il tutto in una bolgia dantesca che spesso provocava la manovra cosiddetta di “aggancio” ossia accodarsi ad una vettura più lenta con il rischio di incastrare il proprio muso nel retro dell’altra auto.

In seguito, a causa della pericolosità di questa manovra di start, le vetture partirono dalla griglia di partenza con i piloti già a bordo, cinture di sicurezza allacciate e con i motori accesi.

 

Spartaco Dini con Gianni Agnelli ((Foto credit Autosprint).

 

Il sistema antincendio Alfa

Alfa Romeo e Alpine, per la gara del ‘68, installarono un sistema di spegnimento incendi che operava sia nell’abitacolo sia nel vano motore. Tra i due sedili era posta una grossa bombola con in pressione un liquido ignifugo denominato “BIG114”. Alla bombola erano collegati dei tubicini di gomma che, in caso di temperature sopra i 150°c, si scioglievano e permettevano al liquido estinguente di propagarsi nell’abitacolo o nel vano motore.

Il costo del sistema, allora, era di 15.000 Lire.

 

Aria fresca

Potrà passare come assurdo ma la vettura fu una delle prime Alfa da gara che montava le bocchette di areazione nell’abitacolo…

 

 

 

Racing Movies

 

 

 

 

 

Galleria race-car pista

 

Galleria race-car rally

 

Galleria race-car competizioni varie

 

Documentazione race-car

 

La vettura per il campionato Sport Prototipi oltre i 2.000 cc

 Alfa romeo, tramite la scuderia e factory Autodelta di Udine, nel 1965 da via al progetto dell’Alfa 33 sport prototipo. Il progetto ebbe una positiva evoluzione fino al 1967 dove l’Alfa 33 presentò il prototipo 33/2 Daytona coda lunga; doveva essere una vettura che poteva partecipare al campionato sport prototipi, campionato Can Am e cronoscalate/gare in salita (ma nella versione con il cofano posteriore più ridotto).

 Poteva avere diverse configurazioni di carrozzeria e una meccanica (motore e trasmissione) adeguabile alla tipologia di impiego agonistico.

 Fu quindi importante la partecipazione alla classica di endurance francese, allora gara valida per il titolo mondiale Sport Prototipi.

 Alcuni dati della vettura li potete leggere a fine articolo.

 

Il modellino

 Siamo alla fine della prima decade del 2000, il mercato dei modelli 1/43 (Die-cast) è sempre più portato all’ingrasso con le produzioni Made in China. La distribuzione di questi modelli avveniva tramite edicola per il fatto che, se fosse avvenuta tramite i normali negozi di modellismo e giocattoli, non avrebbe potuto garantire costi di vendita bassissimi. Ricordo ancora le primissime produzioni del 2001/2002 che permettevano con meno di 8€ di acquistare una replica, non molto di qualità, di modellini il cui prezzo nei negozi non poteva essere inferiore ai 18/25€.

 Una delle collezioni che fece più clamore, a cavallo del 2008/2010, fu quella dedicata al marchio Alfa Romeo. Il modello qui elaborato appartiene appunto a quella specifica raccolta.

 

 

 

 

 Il modello era tutto sommato pregevole ma vi erano alcuni errori ed omissioni. Qualcosa si poteva correggere e, ahimè, qualcosa no anche per ragioni economiche in quanto le modifiche avrebbero avuto un costo superiore al modello stesso.

 L’errore più vistoso era il posizionamento dei tondi bianchi per il riporto del numero di gara. Nelle foto sotto della vettura reale, noterete le differenze. Allora l’azienda produttrice utilizzava ancora delle decal per cui, in teoria, si sarebbe potuto apportare la correzione necessaria ma poi restava il problema di recuperare i medesimi numeri “3” e “9” che ovviamente avevano forma e carattere (oggi scriveremo font…) non certo in vendita nel primo negozio sotto casa.

 Secondo errore, meno visibile alla prima occhiata, erano i finestrini laterali. Nel modellino mancava quello dalla parte del pilota mentre dalla portiera opposta ve ne era uno (spesso come un vetro antiproiettile) di pura fantasia con una cornice presunta di metallo.

 Nel 2009, quando misi mano al modello, smontai la vetratura e rimossi il finestrino passeggero. I due finestrini, che nella realtà erano in plexiglass con fogli a scorrimento, li rifeci con dell’acetato e per l’incollaggio utilizzai della colla vinilica e per massimo rinforzo della colla bicomponente in punti invisibili.

 Ogni finestrino è costituito da un unico pezzo di acetato che ho tracciato al centro in linea verticale, il che crea l’effetto del doppio pannello.

 

 

 I fari anteriori, avevano delle palpebre con una accuratezza abbastanza bassa; nel riposizionarle quindi risultavano degli spazi vuoti rispetto alla scocca. Inoltre, la distanza tra i due fari interni, era garantita da un piccolo supporto di plastica nera molto vistoso e ben poco apprezzabile a livello modellistico; rimuovendolo purtroppo è venuta meno la reale distanza tra i due fari.

 Le luci posteriori erano i fanali delle Fiat 850, quindi un bicolore difficile da replicare. Avevo provato a utilizzare delle decal delle Stratos, prodotte da Solido, ma con un risultato molto modesto.

 

Nel modellino ho aggiunto le luci di evidenza del numero di gara durante la percorrenza notturna. Queste sono autocostruite con un semplice foglietto di alluminio da cucina.

 

In coda, furono montate due appendici orizzontali regolabili e che ho replicato con del semplice Plasticard tagliato e verniciato di rosso (il rosso Tamiya in bomboletta è perfetto!). Infine i due tiranti per le pinne posteriori, ricavati da semplice plastica di scarto dei kit di figurini. Questa basta scaldarla con una fiamma e tirare lentamente da ambo gli estremi per ottenere dei tondini del diametro desiderato.

 

 

 

 

Per gli interni ho posizionato delle cinture di sicurezza ma non sono il modello corretto che allora Autodelta installava sulle vetture. Quelle originali erano tendenti al grigio e avevano una fibbia rettangolare di allaccio solo per la parte addominale. Le due bretelle erano cucite sulla fascia addominale ed erano regolate solo all’altezza delle spalle con due fibbie in acciaio. Purtroppo ho scoperto tutto ciò pochi anni fa e dopo lunghe ricerche. Stesso discorso per l’estintore di bordo che conteneva un liquido ignifugo e posto in pressione. Era una grossa bombola posta tra i due sedili e doveva garantire l’estinguente sia per il motore sia per l’abitacolo.

 

 

 

Gli scarichi erano sbagliati inquanto ve ne erano solo due e non quattro. Nulla di irreparabile, è bastato limare quello esterno e poi riverniciare il tutto con alluminio spray.

 

 Sotto una serie di scatti della vettura reale tratti da un documentario che fu allora prodotto per raccontare quell’edizione che si svolse a settembre, 28 e 29, invece che il 15 e 16 giugno come era consuetudine. Questo spostamento di data fu determinato da una sovrapposizione di gare mondiali, Can Am in particolare, che avrebbe impedito a scuderie e piloti di partecipare alla maratona francese.

 Le due foto in bianco e nero, purtroppo, sono poco nitide in quanto scansionate da un numero del settimanale Autosprint che, allora, pubblicava ancora in monocromatico le foto dei vari servizi. Le frecce colorate aiutano a comprendere alcuni dettagli che erano presenti sulle Alfa 33/2 presenti al via.

 Le vetture 33/2 che parteciparono, furono dotate di varie modifiche per poter reggere il confronto con le Ford GT40 e le Porsche 907 a coda lunga presenti sia in veste ufficiale sia tramite privati.

 Il quarto posto assoluto della coppia Giunti/Galli rappresentò quindi un grande successo perché non fu solo una prova della validità di mezzi meccanici ma anche dell’organizzazione della Autodelta, della capacità dei piloti e di affiatamento forte tra i componenti della scuderia. Da ricordare che il quinto e sesto posto furono occupati sempre dalle altre due Alfa 33/2 sempre della scuderia Autodelta.

 

Screenshot credit A.C.O.

Screenshot credit A.C.O.

 

 

Screenshot credit A.C.O.

Screenshot credit A.C.O.

 

 

(Foto credit Autosprint)

(Foto credit Autosprint)

Giunti con la L’Alfa 33/2 (Screenshot credit A.C.O.)

Lucienne Bianchi con la Ford GT40MK.I (Foto credit Autosprint)

 

Copertina del programma della gara del 1968, curiosa la scelta di mettere in copertina la Ferrari 330P4 che aveva partecipato alla edizione del ’67.

 

Dati tecnici dell’Alfa Romeo 33/2 Daytona

Motore posteriore, longitudinale verticale, 8 cilindri a V di 90°, monoblocco e teste in lega leggera, 2 valvole per cilindro, 4 alberi a camme in testa con comando a catena. Alimentazione a iniezione indiretta Lucas, accensione a 2 spinterogeni, 2 bobine, 2 candele, lubrificazione a carter secco.

Cilindrata di 1995cc per una potenza di circa 270cv a 9600g/m. Cambio a sei rapporti più retro. Velocità massima circa 300km/h.

Telaio tubolare con carrozzeria in vetroresina per un peso medio di 580kg.

Anteriore e posteriore: ruote indipendenti, bracci e barre trasversali, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici, barra stabilizzatrice. Freni a disco autoventilanti.

Tra il 1867 e il 1969 ne furono prodotti 30 esemplari.

 

Note al presente articolo

 Per ragioni sciagurate, le foto che avevo scattato nel 2010, non le riuscivo più a trovare. Dopo tanti anni sono riemerse da una cartella che avevo su un hard disk. Per dare anche la percezione dell’atmosfera di quella edizione, ho preferito utilizzare materiale fotografico dell’epoca e questo ha comportato una minore qualità delle immagini delle vetture e dei protagonisti di quella edizione.

 

 Gli screenshot della gara sono tratti dal documentario francese “Le 24 heures du Mans 1968”, realizzato da Andrè Goepfert per la società A.C.O. (1968)

 

 

 

«Le Mans non piace a nessuno. Si tratta di marciare a velocità troppo alte per troppo tempo. E poi, è una prova lunga, terribilmente lunga, soprattutto se ci si mette di mezzo anche la pioggia. È però la corsa che tutti vorrebbero vincere. Una vittoria a Le Mans è una pietra miliare della carriera. Per me, però, non rappresenta la vetta e spero di ottenere altre vittorie di grande importanza».

 

Lucienne Bianchi intervistato da Philipe Toussaint per Autosprint

 

 

 

 

 

 

Immagini, nomi di prodotti, marchi, sono: tutelati dai rispettivi copyright se registrati o non scaduti, fanno riferimento e solo ai loro legittimi proprietari.
Sono qui pubblicati a solo titolo d’informazione non costituendo profitto di sorta in tale contesto.

Policy privacy

 

Creative Commons License