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"work-shop" 2009 – 2020 “The Men – Il mio corpo ti appartiene” Film, 1950 Ottobre 2020 |
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La trama Ken WILOCEK (George WILLIS nella edizione
italiana, ma in questo articolo lo identificheremo con il nome Ken) è un
ufficiale con il grado di tenente di Fanteria durante la Seconda Guerra
Mondiale. Durante un’azione militare è ferito alla spina dorsale. Rimane vivo
ma la sua vita, dopo quel proiettile, cambierà totalmente. Ricoverato in un ospedale di riabilitazione,
il tenente WILOCECK apprende che rimarrà paralizzato perdendo l’uso delle
gambe. In una prima fase della riabilitazione, egli
rifiuta le cure mediche e di poter incontrare nuovamente la fidanzata, Ellen,
che aveva prima di andare in guerra. Grazie alle cure del dottor BROCK, e
l’ostinazione della fidanzata, Ken reagisce e inizia ad accettare la sua
disabilità motoria. La riabilitazione offre a Ken la capacità di
una sua autonomia quotidiana muovendosi tramite una carrozzina, una nuova
quotidianità che lo spinge a sposare la fidanzata e iniziare una vita insieme
a lei. L’impatto con la vita nuova però, a
confronto con le altre persone, innescano in Ken un rigetto della sua
paraplegia. Tutto sembra spingere Ken
all’autodistruzione ma, grazie al dottor BROCK e all’amore di Ellen, Ken
deciderà di continuare a vivere e portare avanti il suo matrimonio.
Note sulla
pellicola e relativa produzione Il film rasenta la perfezione
cinematografica al punto di poter essere considerato quasi un documentario
sulla reale vita di una persona colpita da paraplegia. Non è un film contro
la guerra (non si sa in quale fronte il protagonista rimane ferito) o
a favore della disabilità (non vi è il richiamo costante ai diritti negati
alle persone paraplegiche), è di fatto un film contro l’ipocrisia che aleggia
intorno alla disabilità e alle cause che la generano. “Strano,
strano davvero… avevo paura di morire, ora ho paura di continuare a vivere”. Ma
prendiamocela allegramente, ripeti con me: la guerra è finita e ne sono
uscito mezzo vivo. Sono fortunato”. Il regista riesce a dare una costruzione
perfetta dove, ogni personaggio, diviene di volta in volta protagonista. Di fatto, Marlon BRANDO non è il
protagonista assoluto e può esprimersi al meglio recitativo solo grazie alla
presenza degli altri personaggi: dal dottor BROCK alla fidanzata Ellen fino
ai compagni di ospedale non escludendo, ovviamente, le persone che guardano
con compassione e giudicano la sua persona in dipendenza della sua
disabilità. Anche queste ultime, per quanto negative, fanno parte del nuovo
mondo in cui vive Ken. BRANDO riesce a muoversi in un percorso recitativo
difficile senza mai cadere nel melodrammatico o in quel cinema di genere a
cui l’America di allora trovava i suoi massimi esponenti in James CAGNEY (sempre
nel ruolo del cattivissimo) o di Mickey ROONEY (l’eterno bambinone
amico di tutti). Film quanto mai anticipatorio in merito
all’argomento, allora tabù negli STATI UNITI, della disabilità fisica. Brucia
le tappe di quegli aspetti, correlati alla disabilità, che ancora oggi non
sono stati affrontati nella loro totale problematica. ZINNEMANN, con grande coraggio ma senza
innescare un’atmosfera dal fondo drammatico emotivo, affronta a uno a uno i
problemi che affliggono la vita di un uomo condannato a vivere su una
carrozzina (nel film, nel doppiaggio è definita come sedia con le ruote).
In particolare, concentra l’attenzione dello spettatore sulle problematiche
tra un uomo paraplegico e una donna normodotata, quest’ultima è sì innamorata
ma allo stesso tempo incline alla compassione per colui che prima “era” e ora
non è più nulla del suo passato. La scena dove il dottor BROCK incontra,
nella chiesa dell’ospedale, le madri e le mogli dei reduci è un momento di
cinema capace di educare intere generazioni alla conoscenza intima, ma mai
pietosa, della disabilità di uomo. “Dottore,
sono sposata da nove anni, credevo che io e mio marito ci conoscessimo bene a
fondo e che il nostro fosse un matrimonio perfetto ma… è così cambiato, non è
più lui… È sempre lui, lo stesso uomo ma con una lesione alla spina dorsale.
Si ma quando gli parlo… Oh lo so, lo so. Ora è infelice, è depresso. Sente di
dipendere totalmente dagli altri e dice a sé stesso non sono più un uomo e
non posso più rendere felice una donna. C’è da stupirsi che gli riesca
difficile adattarsi alla situazione?”. I diversi coprotagonisti disabili, del film,
sono descrizioni precise delle numerose problematiche quotidiane che
affliggono questa parte di esseri umani: la rabbia interiore, il senso di
sconfitta e il dolore disumano che porta un uomo a vedere il suo corpo
cambiare, le difficoltà di comunicazione con altri individui, dai matrimoni
per interesse economico da parte di donne che ne approfittano della
situazione emotiva del disabile stesso, le persone che nei locali pubblici
guardano queste persone con un occhio misurato tra la pietà e il rigetto in
quanto icone viventi della loro potenziale vulnerabilità della loro integrità
fisica. Il regista sa descrivere ognuno di essi
nelle loro vere peculiarità, senza dover far loro indossare la consunta
casacca dell’eroe buono, onesto e pronto a ripartire da zero, capace di
accettare silenziosamente il nuovo destino che lo attende. L’ospedale di riabilitazione, il palco dove
si consumano e si alternano speranze e fallimenti, è costituito da questa
popolazione di uomini che di colpo non possono più contare su sé stessi ma
sono ora esseri fragili, rispetto al mondo che sta fuori della loro
quotidianità ospedaliera, dove il sopravvivere fisico ed emotivo è alle volte
sono in balia di eventi non controllabili e spesso dipendenti da coloro che
sono normodotati. Da qui, la loro rassegnazione a chiudersi in
un mondo di volontaria segregazione, l’ospedale, dove essere su una
carrozzina non è una colpa ma quasi il distinguo di essere uomini speciali
perché ora appartenenti ad una sorta di élite di sopravvissuti al rifiuto e
alla discriminazione di altri. L’ospedale rifugio e prigione, dove tutti sono
uguali nell’essere persone diverse solo nel nome e nel volto ma non nel
destino che li attende. “Qualche
lagnanza oggi Butler? Un leggero caso di paralisi a tutte e due le gambe ma
nulla di grave. Tutti spiritosi in questa corsia… Non volete essere risanato?
Nooo, non voglio essere risanato, né riaggiustato, rieducato e riparato, e se
non vi dispiace non voglio nemmeno riprendere il mio posto nella società!”. Come ha scritto Fiamma SATTA nel suo blog,
il film tocca argomenti negli anni ‘50 impossibili da discutere quali la
sessualità sociale (oggi quanto mai in auge), la vita di coppia, la
capacità di procreare di un disabile quindi la sua sessualità individuale e
la sfera erotica che si ha in una vita di coppia. Sempre SATTA, sottolinea che nel doppiaggio
italiano è assente la parola “accettare” mentre vige ripetutamente la parola
“rassegnazione”. Evidente che chi ha curato il doppiaggio non ha saputo
cogliere quanto il film, nella sua lingua originale, proponeva e specie nei
dialoghi del dottor BROCK (protagonista conduttore della storia), a
sua volta vittima indiretta della paraplegia che colpì la moglie e di cui
morì conseguentemente.
Il film ricevette solo una nomination agli
OSCAR come miglior soggetto e sceneggiatura. All’uscita del film, la rivista VARIETY
riportò una recensione favorevole annotando che: "Il produttore Stanley
Kramer si rivolge al difficile argomento cinematografico dei paraplegici,
trattati in modo così attento ed esperto da essere sensibile, commovente e
tuttavia, allo stesso tempo, divertente e umoristico". Per recitare la sua parte, il giovane Marlon
BRANDO trascorse alcune settimane in centro di riabilitazione per reduci (le
quattro foto sopra lo mostrano durante le riprese). Questa esperienza non
solo servì a insegnargli come si vive e ci si muove su una carrozzina ma a
cogliere gli atteggiamenti emotivi che il suo personaggio doveva proporre
nella recitazione. Se vogliamo, questo film fu ripreso in una
pellicola del 1978 diretta da Hal ASHBY “Tornando a casa - Coming Home” dove,
i medesimi argomenti, sono ripresi e affrontati affondando, con maggiore
determinazione e immediatezza, la volontà di penetrare nel mondo della disabilità. Lo stesso Oliver STONE realizzerà il film
del 1989 “Nato il 4 luglio - Born on the Fourth of July” costruendo molte
scene con le stesse modalità di fotografia e di ambientazione che ZINNEMANN
aveva ideato per il film “Il mio corpo ti appartiene”. «Molte
volte mi sono sentito disperato ma guardando un film mi sono rasserenato,
allora ho capito che gli attori danno un grande contributo alla società». Marlon
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