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“The Men – Il mio corpo ti appartiene”

Film, 1950

Ottobre 2020

 

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La locandina italiana del film (bloopers.it)

“Il mio corpo ti appartiene”, 1950

 

Regia Fred Zinnemann

Sceneggiatura di Carl Foreman

Produttore Stanley Kramer

Fotografia Robert De Grasse

Montaggio Harry W. Gerstad

Musiche Dimitri Tiomkin

 

Durata 85 minuti

Pellicola in bianco e nero

 

Interpreti principali:

 

Marlon Brando: tenente Ken Wiloeck (George Willis nella versione italiana)

Teresa Wright: Ellen

Everett Sloane: Dr. Brock

 

 

La trama

 Ken WILOCEK (George WILLIS nella edizione italiana, ma in questo articolo lo identificheremo con il nome Ken) è un ufficiale con il grado di tenente di Fanteria durante la Seconda Guerra Mondiale. Durante un’azione militare è ferito alla spina dorsale. Rimane vivo ma la sua vita, dopo quel proiettile, cambierà totalmente.

 Ricoverato in un ospedale di riabilitazione, il tenente WILOCECK apprende che rimarrà paralizzato perdendo l’uso delle gambe.

 In una prima fase della riabilitazione, egli rifiuta le cure mediche e di poter incontrare nuovamente la fidanzata, Ellen, che aveva prima di andare in guerra.

 Grazie alle cure del dottor BROCK, e l’ostinazione della fidanzata, Ken reagisce e inizia ad accettare la sua disabilità motoria.

 La riabilitazione offre a Ken la capacità di una sua autonomia quotidiana muovendosi tramite una carrozzina, una nuova quotidianità che lo spinge a sposare la fidanzata e iniziare una vita insieme a lei.

 L’impatto con la vita nuova però, a confronto con le altre persone, innescano in Ken un rigetto della sua paraplegia.

 Tutto sembra spingere Ken all’autodistruzione ma, grazie al dottor BROCK e all’amore di Ellen, Ken deciderà di continuare a vivere e portare avanti il suo matrimonio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note sulla pellicola e relativa produzione

 Il film rasenta la perfezione cinematografica al punto di poter essere considerato quasi un documentario sulla reale vita di una persona colpita da paraplegia. Non è un film contro la guerra (non si sa in quale fronte il protagonista rimane ferito) o a favore della disabilità (non vi è il richiamo costante ai diritti negati alle persone paraplegiche), è di fatto un film contro l’ipocrisia che aleggia intorno alla disabilità e alle cause che la generano.

 

“Strano, strano davvero… avevo paura di morire, ora ho paura di continuare a vivere”.

Ma prendiamocela allegramente, ripeti con me: la guerra è finita e ne sono uscito mezzo vivo. Sono fortunato”.

 

 Il regista riesce a dare una costruzione perfetta dove, ogni personaggio, diviene di volta in volta protagonista.

 Di fatto, Marlon BRANDO non è il protagonista assoluto e può esprimersi al meglio recitativo solo grazie alla presenza degli altri personaggi: dal dottor BROCK alla fidanzata Ellen fino ai compagni di ospedale non escludendo, ovviamente, le persone che guardano con compassione e giudicano la sua persona in dipendenza della sua disabilità. Anche queste ultime, per quanto negative, fanno parte del nuovo mondo in cui vive Ken.

 BRANDO riesce a muoversi in un percorso recitativo difficile senza mai cadere nel melodrammatico o in quel cinema di genere a cui l’America di allora trovava i suoi massimi esponenti in James CAGNEY (sempre nel ruolo del cattivissimo) o di Mickey ROONEY (l’eterno bambinone amico di tutti).

 Film quanto mai anticipatorio in merito all’argomento, allora tabù negli STATI UNITI, della disabilità fisica. Brucia le tappe di quegli aspetti, correlati alla disabilità, che ancora oggi non sono stati affrontati nella loro totale problematica.

 ZINNEMANN, con grande coraggio ma senza innescare un’atmosfera dal fondo drammatico emotivo, affronta a uno a uno i problemi che affliggono la vita di un uomo condannato a vivere su una carrozzina (nel film, nel doppiaggio è definita come sedia con le ruote). In particolare, concentra l’attenzione dello spettatore sulle problematiche tra un uomo paraplegico e una donna normodotata, quest’ultima è sì innamorata ma allo stesso tempo incline alla compassione per colui che prima “era” e ora non è più nulla del suo passato.

 La scena dove il dottor BROCK incontra, nella chiesa dell’ospedale, le madri e le mogli dei reduci è un momento di cinema capace di educare intere generazioni alla conoscenza intima, ma mai pietosa, della disabilità di uomo.

 

“Dottore, sono sposata da nove anni, credevo che io e mio marito ci conoscessimo bene a fondo e che il nostro fosse un matrimonio perfetto ma… è così cambiato, non è più lui… È sempre lui, lo stesso uomo ma con una lesione alla spina dorsale. Si ma quando gli parlo… Oh lo so, lo so. Ora è infelice, è depresso. Sente di dipendere totalmente dagli altri e dice a sé stesso non sono più un uomo e non posso più rendere felice una donna. C’è da stupirsi che gli riesca difficile adattarsi alla situazione?”.

 

 I diversi coprotagonisti disabili, del film, sono descrizioni precise delle numerose problematiche quotidiane che affliggono questa parte di esseri umani: la rabbia interiore, il senso di sconfitta e il dolore disumano che porta un uomo a vedere il suo corpo cambiare, le difficoltà di comunicazione con altri individui, dai matrimoni per interesse economico da parte di donne che ne approfittano della situazione emotiva del disabile stesso, le persone che nei locali pubblici guardano queste persone con un occhio misurato tra la pietà e il rigetto in quanto icone viventi della loro potenziale vulnerabilità della loro integrità fisica.

 Il regista sa descrivere ognuno di essi nelle loro vere peculiarità, senza dover far loro indossare la consunta casacca dell’eroe buono, onesto e pronto a ripartire da zero, capace di accettare silenziosamente il nuovo destino che lo attende.

 L’ospedale di riabilitazione, il palco dove si consumano e si alternano speranze e fallimenti, è costituito da questa popolazione di uomini che di colpo non possono più contare su sé stessi ma sono ora esseri fragili, rispetto al mondo che sta fuori della loro quotidianità ospedaliera, dove il sopravvivere fisico ed emotivo è alle volte sono in balia di eventi non controllabili e spesso dipendenti da coloro che sono normodotati.

 Da qui, la loro rassegnazione a chiudersi in un mondo di volontaria segregazione, l’ospedale, dove essere su una carrozzina non è una colpa ma quasi il distinguo di essere uomini speciali perché ora appartenenti ad una sorta di élite di sopravvissuti al rifiuto e alla discriminazione di altri. L’ospedale rifugio e prigione, dove tutti sono uguali nell’essere persone diverse solo nel nome e nel volto ma non nel destino che li attende.

 

“Qualche lagnanza oggi Butler? Un leggero caso di paralisi a tutte e due le gambe ma nulla di grave. Tutti spiritosi in questa corsia… Non volete essere risanato? Nooo, non voglio essere risanato, né riaggiustato, rieducato e riparato, e se non vi dispiace non voglio nemmeno riprendere il mio posto nella società!”.

 

 Come ha scritto Fiamma SATTA nel suo blog, il film tocca argomenti negli anni ‘50 impossibili da discutere quali la sessualità sociale (oggi quanto mai in auge), la vita di coppia, la capacità di procreare di un disabile quindi la sua sessualità individuale e la sfera erotica che si ha in una vita di coppia.

 Sempre SATTA, sottolinea che nel doppiaggio italiano è assente la parola “accettare” mentre vige ripetutamente la parola “rassegnazione”. Evidente che chi ha curato il doppiaggio non ha saputo cogliere quanto il film, nella sua lingua originale, proponeva e specie nei dialoghi del dottor BROCK (protagonista conduttore della storia), a sua volta vittima indiretta della paraplegia che colpì la moglie e di cui morì conseguentemente.

 

 

 

 

 Il film ricevette solo una nomination agli OSCAR come miglior soggetto e sceneggiatura.

 All’uscita del film, la rivista VARIETY riportò una recensione favorevole annotando che: "Il produttore Stanley Kramer si rivolge al difficile argomento cinematografico dei paraplegici, trattati in modo così attento ed esperto da essere sensibile, commovente e tuttavia, allo stesso tempo, divertente e umoristico".

 Per recitare la sua parte, il giovane Marlon BRANDO trascorse alcune settimane in centro di riabilitazione per reduci (le quattro foto sopra lo mostrano durante le riprese). Questa esperienza non solo servì a insegnargli come si vive e ci si muove su una carrozzina ma a cogliere gli atteggiamenti emotivi che il suo personaggio doveva proporre nella recitazione.

 Se vogliamo, questo film fu ripreso in una pellicola del 1978 diretta da Hal ASHBY “Tornando a casa - Coming Home” dove, i medesimi argomenti, sono ripresi e affrontati affondando, con maggiore determinazione e immediatezza, la volontà di penetrare nel mondo della disabilità.

 Lo stesso Oliver STONE realizzerà il film del 1989 “Nato il 4 luglio - Born on the Fourth of July” costruendo molte scene con le stesse modalità di fotografia e di ambientazione che ZINNEMANN aveva ideato per il film “Il mio corpo ti appartiene”.

 

 

 

«Molte volte mi sono sentito disperato ma guardando un film mi sono rasserenato, allora ho capito che gli attori danno un grande contributo alla società».

Marlon Brando

 

 

 

 

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