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L’uovo
di Marzotto
E' una storia di un'Italia post conflitto.
E' la storia di un nuovo tipo di eroe al volante di altrettanti
nuovi bolidi a 4 ruote.
Il Conte Giannino Marzotto ha lasciato alcune utili e preziose
testimonianze sul suo passato di gentleman driver, figura di pilota
che ormai non esiste più o, se ce ne sono ancora, si guardano bene dal farsi
notare troppo in giro. Il tempo non ha cancellato la sua figura e
una vettura unica che nacque dal suo desiderio, con i suoi fratelli
(Umberto e Vittorio),
di andare oltre ciò che il denaro poteva loro permettere.
Già, perché lo si é sempre additato come il figlio di una famiglia
ricca, non come un bravo pilota. E lui, questo giudizio, lo pativa.
Così, come per automatismo mentale, Marzotto raccontò nei dettagli
come nacque il prototipo dell’Uovo.
“Verso il mese di novembre del 1950, decisi così di acquistare due
telai nudi del nuovo modello Ferrari 2560cc 12 cilindri mono
carburatore, della potenza di 156 cavalli al banco prova. Mi par di ricordare che i due telai costassero
poco meno di sei milioni insieme.
Mi divertiva il fatto di costruire uno spider ed un coupé assai
singolari, ispirati alle mie idee: uno per la montagna ed uno per la
pianura. Corsero per me mio fratello Vittorio e anche alcuni
amici”.
Ed
ecco i requisiti di base che Marzotto aveva pensato.
“Le idee in linea di principio erano assai chiare. Una carrozzeria
molto bassa ove tutto fosse tondeggiante e rastremato: in sintesi,
molto aerodinamica. L’Uovo era il nostro traguardo di riferimento…
Volevo un telaio assai rigido che facesse lavorare sospensioni ed
ammortizzatori, senza subire od assorbire torsioni causate da buche
o dall’irregolarità della strada. Disposizione dei pesi tale da
creare un forte effetto sovrasterzante evitando il coricamento
usuale nelle Ferrari [ma] di serie. Peso ridottissimo ottenuto con
l’impiego di materiali speciali e controventati. Freni iperventilati e regolati da doppio circuito idraulico, obbiettivo quello
di spostare avanti o indietro la pressione dell’olio sui tamburi a
seconda del tipo di percorso di gara. Come realizzare questi
obbiettivi? Questo il problema affrontato con Reggiani e Fontana:
giovani, fantasiosi, ottimisti! Il radiatore delle monoposto era
assai più basso di quello normale [turismo e sport]. Ordinammo
perciò questo componente e su di esso progettammo il muso della
vettura… I parafanghi erano molto slanciati e protesi verso il
basso; lasciavano un’ampia fessura destinata a meglio ventilare i
tamburi dei freni anteriori… Occorreva ora un parabrezza molto
inclinato che offrisse la minore resistenza all’aria…. Reggiani
aveva lavorato nell’ industria aeronautica durante la guerra, sul
Macchi 2005 e provvide in modo esemplare. Con viva sorpresa
scoprimmo che il cristallo non dava luogo a riflessi fastidiosi: la
visibilità era ottima. Il piccolo tettuccio si raccordava alla coda
con un ampio plexiglas sotto il quale era riposta la gomma di scorta
sopra il serbatoio, mentre i parafanghi posteriori andavano
raccogliendosi verso l’alto concludendo la coda della vettura. Il
fondo era quasi completamente carenato per ridurre gli attriti
dell’aria. Purtroppo Ferrari non ci consegnò in tempo il radiatore
del monoposto e fummo così costretti a rialzare, in corso di lavoro,
tutta la parte anteriore della vettura per alloggiare il radiatore
di serie della 2.560 cc. Non ci fu mai più il tempo, l’occasione o
la voglia di rimediare all’incidente della mancata consegna del
radiatore adatto… Mi piacerebbe, davvero, saper disegnare l’Uovo col
cofano 15 centimetri più basso: dovrebbe apparire molto più filante…
Al telaio nudo di Ferrari fu sovrapposta una struttura di tubi
controventati e legati dalle lamiere in Peraluman, uno speciale tipo
di lastra di duro-alluminio difficile da lavorare, ma leggera e
rigidissima. Allo scopo di costituire una scocca rigida, del tipo
Lancia Aprilia, il tettuccio armato da tubetti era stato costruito
con una discreta divergenza dal piano di appoggio del cristallo nel
parabrezza senza montanti. Alcuni tiranti d’acciaio costringevano il
tettuccio alla sua sede, creando nel contempo notevole trazione
sulla parte posteriore della carrozzeria, che risultava perciò
inscatolata ed irrigidita.
Alcuni pesi erano stati portati alle estremità: per esempio il
serbatoio maggiorato della benzina, la gomma di scorta, la
dislocazione degli ammortizzatori, doppi per ogni evenienza. Lo
stesso posto di guida era molto arretrato verso l’asse posteriore,
rispetto al normale.
Quale risultato di questi interventi, la vettura in curva era
sensibilissima all’impostazione e particolarmente reattiva all’uso
della potenza. Piuttosto delicata e comunque difficile da guidare.
Non ricordo esattamente le caratteristiche tecniche: credo il peso
a secco fosse inferiore ai 900 chilogrammi”.
Giro di Sicilia
La Ferrari consegnò in ritardo, nel gennaio 1951, il primo dei due
telai sul quale fu costruito il Coupé “Uovo". A Maranello l’Uovo
venne mostrato al Commendatore Enzo Ferrari. Il Drake lo giudicò
pesantemente, un prototipo che non sarebbe durato il tempo di una
gara.
Il
Giro di Sicilia, era lungo oltre 1100 chilometri su strade statali
con oltre 8.000 curve, 25.000 cambi di marcia, cioè molto divertente
per il giovane conte.
“Conducevo la corsa alla guida dell’Uovo fin da Palermo ed avevo un
vantaggio di circa 20 chilometri sul secondo assoluto alla periferia
di Messina.
La guida molto sovrasterzante della vettura ne agevolava
l’inserimento in curve e controcurve; il doppio circuito frenante
dava affidabilità e maneggevolezza straordinarie: il risultato era
premiante. Il nuovo serbatoio di benzina da 156 litri, per una
autonomia di circa 550 chilometri e installato per risparmiare due
rifornimenti alle Mille Miglia, aveva fatto una piccola crepa
aggiustata con un po’ di gomma da masticare… Quando sentii a Messina
bloccarsi il ponte posteriore, guardai nello specchietto per vedere
cosa accadesse dietro a me: vidi un riflesso rosso nel plexiglas che
concludeva la coda della vettura. Pensai subito ad un incendio e fui
lestissimo nel fermare l’automobile ed a scenderne precipitosamente.
Fortunatamente nulla accadde: si era solamente sfilato il
differenziale a causa dell’erroneo montaggio – compiuto dalla
Ferrari – di uno spinotto di sicurezza. Le vibrazioni avevano
sfilato l’albero.
Il riflesso del sole mi aveva dato una sensazione diversa dalla
realtà: cosa di cui fui molto lieto pur dovendo ritirarmi dalla gara
e rinunziare alla vittoria che si profilava assai probabile. Rientrai in treno a Palermo per partecipare con entusiasmo alla
vittoria assoluta e contemporanea di mio fratello Vittorio e di una
vettura di mia progettazione. Volevo telefonare a Ferrari prima che
avesse notizie della corsa, anche per ironizzare… quel tanto che
basta… I telefoni del tempo non mi consentirono di parlare con
Maranello prima della partenza della nave che ci riconduceva in
continente. Quando al lunedì potei parlare col Commendatore per
chiedergli un commento sulle vetture da me progettate e sull’esito
della competizione, egli mi disse testualmente: “…come avevo
previsto… ha vinto una Ferrari!”.
Mille Miglia
Per conoscere a pieno il rapporto tra Marzotto e la Mille Miglia,
occorre iniziare dalla sua vittoria del 1950. E poi fare la
conoscenza di Marco Crosara, suo coequìpier, e coprotagonista delle
due vittorie del giovane Giannino. Nel ‘50, appunto, la coppia vince
la Mille Miglia a bordo di una Ferrari battendo campioni notissimi come Fangio, Villoresi,
Ascari.
Inizia cosi la collaborazione, ma in un rapporto di odio e
competizione, tra Giannino Marzotto ed Enzo Ferrari. Marzotto non è
un qualsiasi cliente, non solo per ragioni di nome ed economiche, é in
grado dì competere contro i piloti della squadra Ferrari, assieme ai
quali si schiera, in veste "ufficiale" anche se poche volte. Una
contorta e contraddittoria storia di stima e amicizia, che
continuerà fino alla morte del Commendatore Ferrari.
Come ha scritto bene Rita Anni, la vittoria del ‘50 passa alla
storia come il "trionfo in doppiopetto". Conte di titolo e di fatto
più che pilota, il giovane rifiuta quindi di indossare la classica tuta e
corre in un elegante abito, che ha conservato fino alla sua morte, a
doppio petto in tinta marrone-vinaccia. E’ l’eleganza nello sport
automobilistico che solo il nobile pilota può imporre al
pubblico e al circo dei motori. I cronisti esaltano questo
dettaglio, narrando che all’arrivo della Mille Miglia del 50 il suo
abbigliamento risulta perfetto e intonso (da qui la leggenda delle
camicie pulite). In seguito, lo stesso protagonista, confiderà che
l’abito era completamente rovinato e pieno di chiazze di olio e di
acqua sporca. Il pubblico vicentino esulta per la splendida vittoria
di un discendente del re della lana: "… aveva l’aspetto
[riferisce Il giornale di Vicenza] composto di un gentleman che si
reca a prendere una tazza di the in una casa distante pochi
chilometri. Faceva pensare per un attimo al romantico e leggendario Lindbergh, all’argonauta che in abito da passeggio si gettò tra due
mondi con un giocattolo quasi per sfidare con un atto di spirito il
destino".
I rapporti tra Marzotto e Ferrari si rendono più ostici quando,
nel 51, Giannino decise di cimentarsi come progettista. Lui ritiene
che le Ferrari siano poco aerodinamiche e che vi siano miglioramenti
ulteriori per renderle più grintose in sterzata e ripresa. Alla
presentazione dell’Uovo le impressioni e i commenti furono negativi
da parte di tutti: costruttori, piloti, giornalisti.
"E’ stata una delle gare per me più significative. Volevo
dimostrare con quel progetto la mia abilità anche come teorico
della velocità oltre che come pilota. Nonostante la Mille Miglia per
noi quell’anno finisse a Senigallia, la prova fu positiva. Io non
fui particolarmente deluso del fatto di essermi ritirato. Avevo
dimostrato che le mie idee potevano funzionare e a questo davo,
anche allora, più importanza che non agli allori. La stessa macchina
ha poi vinto altre gare nonostante gli innegabili difetti che
sarebbe stato possibile eliminare con studi più approfonditi”.
Alla Mille Miglia 1951 parteciparono le temutissime e, millantate,
Ferrari 4.100 pilotate da Villoresi dal fratello Vittorio.
Marzotto non teme “la concorrenza” più di tanto, ha fatto montare
tre carburatori alzando i cavalli a 186 e la cui velocità massima
permette alla vettura di stare dietro alle Ferrari ufficiali. Coppia ed
accelerazione forse erano inferiori a quelle delle 4 litri, ma la
maneggevolezza del 2.560 era maggiore.
Nei primi 600 chilometri di gara, con una velocità media di 180
km/h, Marzotto prende un vantaggio di 10 minuti, pari a circa 30
chilometri sul secondo assoluto. Nel misto appenninico l’Uovo sembra
non avere rivali. L’unico particolare difettoso sembrano
essere i tergicristalli: si staccavano dal parabrezza quando la
vettura era tra i 160 e i 180 km/h di velocità per poi tornare al
loro posto e funzionare regolarmente. Aerodinamica, pare che fosse la
sola causa di ciò. Ma qualcosaltro inizia a non andare più bene.
Marzotto è a Senigallia quando inizia a sentire uno strano e sinistro
rumore giungere dal retro treno. Il pilota si ferma, scende e
controlla le gomme e la trasmissione sui semi assi. Tutto a posto,
almeno a vedere le cose alla svelta, sotto la pioggia e con gli
avversari che si avvicinano. Marzotto e Crosara ripartono ma dopo
poco il rumore è di nuovo forte e sempre più preoccupante.
“L’idea
che si bloccasse il differenziale alla velocità di 55 metri al
secondo, e sul bagnato, mi agghiacciava. Mi fermai ancora
raccomandando per scrupolo, al mio amico Marco Crosara, di
controllare la gomma posteriore sinistra mentre io verificavo, letteralmente con le mie mani, quella di destra
ma senza trovare
però alcuna irregolarità. Conclusi che il differenziale di Ferrari, una
volta ancora [come in Sicilia], ci aveva traditi: dovevo per questo ritirarmi!”.
La
macchina venne ritirata dalla competizione, troppo alto il rischio
del blocco del differenziale. Come disse lo stesso Marzotto “…non
era forse Senigallia famosa per il brodetto e la frittura?” In
qualche modo un conte deve pur mantenere un certo distacco dalle
amenità della vita. L’Uovo viene trasportato a Modena, dove arriva
anche Marzotto pronto a far polemica con Enzo Ferrari per i problemi
di trasmissione riscontrati. Il commendatore modenese pazientemente subisce
lo sfogo del conte. Ferrari è preso in contropiede da come sono
andate le cose e infastidito anche dal successo che ha riportato
Giovanni Bracco, con la Lancia Aurelia B20. Gigi Villoresi era arrivato primo
assoluto ma aveva dovuto portare al limite la sua 4.100 per
strappare la vittoria: meccanica e parafanghi la dicevano lunga su come
era andata la gara. Decisero quindi di andare in officina per vedere
insieme il guaio che aveva fermato l’Uovo.
“…mi venne un colpo quando vidi sulla ruota destra della vettura,
quella che io stesso avevo controllato, sporgere un bubbone sul lato
interno. Compresi subito che i miei polpastrelli non avevano
raggiunto il punto in cui la gomma era desciappata … Avrei potuto
cambiare pneumatico e ripartire in testa perdendo solo tre o quattro
minuti. Ferrari non disse nulla, ma appena tornati nel suo ufficio
prese un bullone e me la scagliò addosso! M’inchinai leggermente per
sfuggire al proiettile… sorrisi salutandolo. Lui aveva rischiato di
perdere la corsa, io l’avevo già perduta! Come si fa a litigare con
un uomo così?”.
All’edizione del 52 Marzotto fa da direttore di scuderia, l’Uovo
viene messo in gara con l’equipaggio
Guido MANCINI e Adriano ERCOLANI, ma anche a questa edizione il
prototipo non riesce a concludere la corsa. La Scuderia
Marzotto schierò tre equipaggi, si ritirarono tutti. Quell’anno
Marzotto decide di seguire la Mille Miglia a bordo di un piccolo
aereo che sorvolò tutto il percorso, non certo in modo più
confortevole rispetto ai piloti in gara. Ma Marzotto é sempre avanti
anche nella veste di team manager.
Giro di Toscana
Il Giro di Toscana era una gara di velocità pura sulla distanza di 600
chilometri tra le colline del Chianti e le coste Maremmane. La
partecipazione, alla gara, Marzotto la decide all’ultimo minuto e
telefona all’amico Marco Crosara per dirgli di trasportare l'Uovo a
Firenze. La macchina non è stata revisionata e si presenta non nelle
migliori condizioni di gara. Lo stesso Marzotto confesserà che la
gara fu presa sotto gamba dato che il sabato sera avevano deciso
anche di fare le ore piccole in allegra compagnia di gentil sesso.
Punto critico le gomme che non erano equilibrate; ad ogni frenata e
curva lo sterzo vibrava violentemente obbligando il gentleman driver
a dover controllare le traiettorie con la pura forza delle mani. In
poco tempo erano piene di vesciche e doloranti per lo sforzo.
Particolare interessante è l’aneddoto del caldo dentro l’abitacolo,
al punto da costringere Marzotto a mettere la mano destra di fuori
per convogliare aria all’interno. L’occasione anche per una
sigaretta, cose ormai impensabili per i piloti odierni.
In
gara c’è anche suo fratello Vittorio, a bordo di una FERRARI 4.100.
Vittorio aveva problemi di frizione, per cui Giannino rallenta e lo
aspetta. Si fermarono a bordo strada e decisero un minimo di
strategia per il rifornimento di carburante a Livorno.
Involontariamente Vittorio passa in testa e così Giannino percorre
gli ultimi 100 km di gara alla velocità di oltre 230 km/h. Giannino
arrivò primo assoluto, sudato e con le mani letteralmente piagate.
“Spento il motore non fui più capace di rimetterlo in moto: fu la
mia più lunga permanenza al traguardo! Avevo vinto per puro caso, ma
il fatto che l’Uovo avesse ancora una volta dimostrato le sue
qualità, mi dava un po’ d’orgoglio…”.
La sua filosofia nel mondo delle corse
“Le corse su strada erano in diretta: chi le vedeva vi partecipava
con maggior calore di quanto non faccia oggi seduto su di una
poltrona davanti a 27 pollici di schermo. Gli esperti avevano poco
tempo e spazio a disposizione. I loro commenti erano abbastanza
distratti sul piano tecnico, prevalendo la tendenza di parlare
dell’uomo piuttosto che del mezzo. Anche oggi è così anche se, pare,
si sia affermata una abitudine a sconfinare nel pettegolezzo”.
“Il mio record sulla Futa (Mille Miglia del 53, nda), il sorpasso di
Fangio, la media tenuta (142,47 km/h), sono dati di cronometro che dal punto
di vista emozionale lasciano pochi segni. E’ innegabile che le
vittorie mi facessero piacere e mi emozionassero, lo spirito con cui
correvo era però molto poco competitivo, era più grande la curiosità
e il bisogno di sperimentare me stesso e le mie vetture che non la
voglia di superare gli altri. Forse era questo atteggiamento, unito
a un po’ di timidezza, che mi faceva sembrare freddo e cinico nei
confronti delle vittorie e dei festeggiamenti".
“Troppo ho già detto dell’Uovo: è probabile che mi piacesse
terribilmente proprio perché l’avevo concepito io. L’ho sempre
giudicato “Orribilmente bello! Questo significa che nella vita il
legame partecipativo è estremamente importante ed anche che
quell’epoca consentiva di cimentarsi con molta semplicità. Oggi le
cose sono più complicate: non è – per esempio – consentito
dimenticarsi i guanti in gara ! Si lamenterebbe, se non altro, lo
sponsor. Le corse non erano importanti e popolari come lo sono oggi.
L’ assenza della televisione costringeva però il pubblico dei fans,
degli appassionati ad essere presente sul percorso”.
“Enzo
Ferrari mi diceva che quando il pilota siede assai vicino alle ruote
anteriori, la guida risulta più facile ma pericolosa, perché il
guidatore non percepisce in curva lo sbandamento del mezzo. Ponendo,
al contrario, il pilota vicino alle ruote posteriori, egli coglie al
massimo il movimento della coda, restandone persino intimidito.
Credo avesse ragione”.
"Lo
spirito con cui si correva era simile a quello dei grandi giochi
degli antichi. Ci voleva certo del coraggio ma non era quella,
almeno per me e il mio modo di correre, la caratteristica
essenziale. C’era la volontà di superare dei limiti grazie alla
tecnica e all’intelligenza dell’uomo; la spericolatezza brutale in
una gara così complessa [Mille Miglia] serviva a poco. Anche la vittoria era non
tanto nei confronti degli altri concorrenti quanto sui mezzi, sulle
strade, sulle condizioni atmosferiche: grazie alla Mille Miglia le
prestazioni delle vetture venivano testate ogni anno in modo
severissimo e davanti ad un pubblico attento. Oggi le gare
automobilistiche sono un’altra cosa, le vetture che corrono su pista
hanno poco in comune con quelle che il mercato mette a disposizione,
chi segue le corse di Formula 1 può trovare ben pochi agganci con la
sua esperienza di pilota normale. Per questo, insieme ad altri amici
che hanno vissuto con me l’avventura della Mille Miglia, accarezzo
il sogno di riedizioni competitive della gara che vedano sfidarsi,
con tutte le misure di sicurezza del caso, vetture serie, magari
solo diesel, sullo stesso percorso che ha fatto diventare grande
l’automobilismo italiano".
“Avrei
voluto guidare più spesso l’Uovo, anche alle Mille Miglia 1953: ma
la sorte volle diversamente. Una abulia perversa – od altri impegni
– mi sottrassero al suo fascino”.
La macchina finì negli Stati Uniti e non è ancora chiaro in quale
modo. Sta di fatto che nessuno la riesumò nei ricordi della Mille
Miglia. Poi un collezionista la rimise in sesto verso al fine degli
anni 80. Un incidente durante una gara rievocativa e poi il restauro
finale ad opera di un collezionista italiano, il notaio Guasti di
Milano. A fine restauro chiese allo stesso Marzotto di valutare lo
stato del restauro e della messa a punto e l’assetto. Così lo stesso
Marzotto ha raccontato l’episodio “Non compresi nulla salvo forse
una cosa: l’Uovo era rimasto più giovane del suo ideatore.
Per questo forse lo sogno ancora!”.
La sua filosofia nella vita
In gara é un conto, nella vita le cose
sono molto diverse e Lui le prende sul serio. Senza nulla mancare
nel ricordo della figura di Marzotto,
egli riuscì a far parlare di se anche per aspetti imprenditoriali e
politici. Con Enzo Ferrari più di tanto non era
accondiscendente, nonostante li legasse la loro posizione di
imprenditori e industriali. Un uomo particolare che indicava la sua posizione
politica verso il centro-destra ma definendosi "comunista
adolescenziale, utopista, liberale, postkantiano, aristotelico".
Dal suo appoggio a Berlusconi nel 2005, con una donazione
nelle casse di Forza Italia di 1 milione di euro, fino alla rottura
politica ufficializzata tramite l’invito verso il Cavaliere a “togliersi
dall’attenzione della pubblica opinione”.
Scriveva il Conte nel 2011, mettendo nero su bianco il congedo
dall'ex leader di riferimento: “Sono stato personalmente
indifferente ai gossip che l'hanno coinvolta in eventi indifferenti
alla politica e alla mia sensibilità Ora alla notizia di reiterati
rapporti con personaggi che era meglio neppur aver mai incontrato mi
sovviene un vecchio detto: «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei'.
Per me è troppo: se possibile continuerò a votare
l'organizzazione che Lei ha guidato, ma non riuscirò mai più a dare
il mio numericamente umile consenso alla Sua Persona”.
Un
uomo aperto a posizioni nuove sociali che forse contrastavano con una
certa idea sociale, ma convenzionale, che la gente e la stampa
poteva avere su di lui. Ne fu un esempio la cena con 500
immigrati organizzata nel salone di Villa Trissino nel giugno 2010,
Marzotto spalancava così le porte della sua casa
all’internazionalità della nuova comunità veneta.
La "Festa dell’accoglienza", come Marzotto la ribattezzò,
nasceva dall’incontro con il circolo Nessuno Escluso. Lo
ribadiva sempre in modo chiaro, da buon Veneto che era fiero di
essere: “I briganti vanno messi in prigione, gli irregolari
mandati a casa, ma gli onesti vanno premiati”.
Le citazioni del Conte Giannino Marzotto, del presente articolo, sono
tratte dai seguenti articoli:
"Sessanta Miglia di Vicenza", di Rita Anni
Studioemme edizioni Maggio 1988 (edito su sport.quotidiano.it)
Ferrari “Uovo” di Giannino Marzotto, di Antonio Udine
(2012)
(edito su www.f1passion.it)
"Marzotto,
addio al Conte Giannino", di Andrea Alba e Alberto Magnani
Corriere del Veneto, 30 luglio 2012 (edito su
corrieredelveneto.corriere.it)
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